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IL BASKET IN UNA SOCIETA' STRESSATA di Ettore Zuccheri


Allenare i giovani, per avviarli allo sport, considerando questa attività in diversi periodi storici, comporta atteggiamenti e modifiche che devono trovare, durante il percorso, i giusti adattamenti nella propria filosofia dell’insegnamento, arrangiamenti che tengano conto del nuovo ambiente sociale che cambia. In altre parole, cambia il periodo storico, cambia la società, si modifica l’educazione e abitudini dei bambini e deve necessariamente mutare il nostro modo di insegnare. Siete d’accordo? Proviamo a spiegarlo meglio. Quaranta anni fa la società non era la stessa, giusto? La famiglia viveva con una organizzazione diversa. Lavorava uno solo dei genitori, l’altro accudiva la prole interessandosi di tutti i problemi della casa. I ragazzi giocavano molto di più, erano sempre fuori di casa e i genitori sapevano dove si trovavano, senza preoccuparsi. C’era meno ricchezza, ma più tranquillità familiare. Forse, chi allenava in quel periodo teneva conto, istintivamente, che i bambini apprendevano molto giocando. Il loro primo allenatore era il gioco. Se volevano migliorare il loro repertorio bisognava arrangiarsi a copiare dai più bravi.  La partecipazione mentale era massima.Ora, nella società della fine del vecchio millennio ed inizio del nuovo, siamo più ricchi  , ma tutto il contesto sociale e familiare è cambiato. Per sostenere il nuovo tenore di vita entrambi i genitori lavorano e molte donne faticano a conciliare i figli con la carriera. Sono costrette a destreggiarsi in un gioco di prestigio che porta sì le sue ricompense, ma provoca anche molte tensioni. E gli uomini, i padri di famiglia? Molti si sentono sopraffatti dalle esigenze professionali e scoprono di avere pochissimo tempo per rilassarsi in famiglia. E i bambini?  Per fortuna ci sono i nonni, altrimenti sarebbero guai. Abbiamo a che fare con le separazioni coniugali e per i bambini è un dramma. Comunque, sono continuamente sballottati da una situazione all’altra con cambiamenti di sistemazione che accrescono i loro problemi legati all’insicurezza emotiva . Inoltre non giocano, oppure giocano meno e comunque c’è differenza tra regione e regione nel soddisfare questo bisogno primario. Cosa vogliamo dire? Semplicemente che al nord ci sono molte differenze rispetto al centro e centro sud. Qui, intanto ci sono più bambini che al nord ed è più facile vederli giocare nei cortili, nei campetti o nelle strade. Per gioco s’intende soprattutto quello fatto da soli, interpretato in modo personale e, a volte, inventato da loro stessi. Cosa facevo io quando ero nel periodo della scuola elementare? Ricordo con nostalgia le lunghe giocate pomeridiane a calcio e basket. Quelle fatte anche da solo per imitare i miti sportivi del mio tempo, per apprendere i movimenti che avrebbero messo in difficoltà i miei compagni di gioco. Si poteva apprendere anche dalla sequenza fotografica che trovavi sui giornali perchè non c’erano i filmati. E tutto fatto con la massima libertà, ma bisognava metterlo in pratica al momento giusto, immaginando la difesa. Eravamo negli anni 50.E i bambini di questo periodo storico? Abbiamo fatto un bel salto, ma basta un po’ di fantasia per crearsi una scala di situazioni che, via via, sta peggiorando.  Non giocano più liberamente e quelli più fortunati sono in  ”parcheggio” nelle società sportive che hanno una responsabilità grandissima, a mio parere. I bambini di oggi vivono sotto pressione, uno stress derivante  dalla situazione sociale cambiata e sperimentano disagi a causa della stessa situazione familiare. Il massiccio aumento di problemi di salute fisica e mentale nei bambini, che ormai sembrano diventati di norma, comincia ad allarmare un numero sempre maggiore di genitori. A scuola si può notare che arrivano sempre di più bambini con grossi problemi comportamentali. La loro unica salvezza è rappresentata dallo sport e i genitori li affidano alle organizzazioni sportive e , ultimamente , è possibile farlo fin dal quinto anno di età, quando la coordinazione ha raggiunto un livello appena sufficiente per apprendere semplici schemi motori, giocando. Se i bambini si divertiranno, dentro l’organizzazione delle società sportive, cercheranno sempre di più la soddisfazione dei loro bisogni attraverso il movimento, rifiutando o limitando la TV e soprattutto il divertimento che si prende dai videogiochi. Le società che, a pagamento, prendono in consegna questi bambini hanno una grande responsabilità nell’affidarli ad allenatori che abbiano cultura e esperienza… che non può essere solo cestististica. Riteniamo che sia una meta semplice far divertire i bambini dai 5 ai 7-8 anni perchè esistono molti giochi, fatti con la palla o senza la stessa che danno la possibilità di raggiungere gli scopi prefissati. Ci sono palloni più piccoli e leggeri, canestri regolabili in altezza, tutte le attrezzature adatte a far gioire il bambino per l’ebbrezza di avere realizzato un canestro. Se l’istruttore ha cultura ed entusiasmo non mancherà di dar loro la possibilità di correre e di lasciare dei momenti di libertà per la gestione del loro divertimento. Non deve essere tutto organizzato dall’alto, è importante lasciarli liberi di giocare come vogliono. Almeno un po’.E’ problematico, invece, il passaggio da questa attività ludica al gioco-sport , inteso come avviamento al basket da fare quando hanno 8-9 anni, in terza elementare. Non è possibile, a mio parere, farlo attraverso gli esercizi a parte quelli del tiro a canestro. Tiro e gioco dovrebbe essere il programma da fare nelle classi della scuola elementare; un progetto somministrato attraverso una forma socializzante che abbia come premessa una favola che li catturi con la sua trama. Un gioco in cui il bambino si diverta coi compagni, apprendendo dal gioco stesso i principi base dell’attacco e difesa. E sia una attività accessibile a tutti, maschi e femmine, compresi i portatori di handicap leggeri. Se i bambini di 6-7 anni giocano a calcio, sport naturale e non costruito come il basket, è possibile dar loro la stessa opportunità con la pallacanestro? In altre parole, occorre trovare un gioco-sport che faccia sentire tutti i sentimenti, compresi quelli socializzanti, che si respirano proprio dentro una squadra di basket. Difficile trovare una possibilità da  offrire loro, una esperienza di gioco, in prima e seconda elementare; ma in terza devono assolutamente giocare per apprendere quanto detto sopra. Hanno bisogno di un gioco che abbia “dentro” quasi tutto quello che si apprende giocando, con poche regole, perchè devono pensare a divertirsi.E’ un bel problema da risolvere perchè il basket è uno sport che ha due fondamentali condizionanti, che limitano la possibilità di avere una partecipazione piena al gioco per quelli meno bravi e più deboli. Intendiamo riferirci alla difesa e al palleggio che rafforza, durante il gioco, l’egocentrismo del bambino più bravo e la discriminazione del meno abile. La pedagogia insegna che in questa età è importante il passaggio dalla fase egocentrica a quella socializzante. E il gioco da proporre deve avere questa possibilità. E allora? C’è la possibilità di giocare subito, rendendo  tutti i bambini capaci di partecipare al gioco di avviamento al basket con quello che sanno fare, senza dover prima insegnare nulla? Gli allenatori che collaborano con le maestre nelle classi elementari per tutto l’anno scolastico hanno la possibilità di raggiungere tutte queste mete, se hanno un progetto da realizzare attraverso il gioco, guidati dalla favola. Andare alle elementari saltuariamente, facendo partecipare i bambini a delle lezioni basati sugli esercizi di palleggio, passaggio e tiro, non serve a nulla se non dando dei palliativi inutili. La collaborazione con le maestre deve essere fatta per l’intero anno facendo giocare i bambini, con una meta: il campionato, come insegna la favola.Noi della Pallacanestro "E’Vita Budrio" siamo entrati nella scuola elementare con l’idea di raggiungere, innanzitutto, la metà della socializzazione. Abbiamo cominciato a raccontare la favola del “Jungle Team”, dove gli animali dello Zoo volevano giocare a Basket per partecipare, appunto, al campionato. Dentro questa favola c’è tutta l’attività che un gruppo deve fare per diventare una squadra di amici che , insieme, hanno una grande meta: la partecipazione al torneo scolastico di “Attacco al castello”. E’ questo infatti il nome del gioco-sport per avviarli all’attività sportiva, conoscendo così il basket. In cosa consiste? Si attacca con passaggio e tiro e si difende, ma rimanendo dentro al “castello” (area) dando così  a tutti (ma proprio a tutti) la possibilità di tirare a canestro. Il difensore che esce dall’area per impedire il tiro dell’avversario viene punito con un tiro libero. Se il difensore intercetta la palla, ma rimanendo con i piedi dentro il castello, può utilizzare il palleggio per andare velocemente al tiro nel canestro avversario. Poche regole hanno uno scopo preciso: il divertimento sarà assicurato. Pian piano se ne aggiungeranno altre per rendere sempre più simile , questo gioco-sport , al basket, giocato con tutti i fondamentali. Intanto durante questo periodo scolastico , i bambini apprenderanno l’importanza di un grande fondamentale: il tiro da fuori.Molti colleghi giovani cadrebbero sicuramente nella trappola didattica che, secondo l’ortodossia corrente, tenderebbe a rinnegare l’avviamento al basket basato sulla difesa a zona (castello). Gravissimo errore, a mio avviso. Non credo che sia una priorità da seguire perchè ce ne sono altre veramente più importanti che riguardano il bambino e i suoi problemi. Il basket “ortodosso” può aspettare. Non sarà danneggiato se, quelli che continueranno in futuro, avranno acquisto l’abilità nel tiro da fuori. Pensiamo che gli indirizzi tecnici, intesi come priorità,  in questo periodo siano dannosi. La prima meta è quella che realizza la felicità dei bambini che, intanto,  giocano senza stress. Dopo la loro gioia, la meta più importante sarà la socializzazione. Infatti, dentro una squadra, come insegna la favola del “Jungle Team”, nascono tantissimi problemi interpersonali (di rapporto), rappresentati da gelosie , invidie , mancanza di rispetto ed egoismi. Tutte problematiche che i bambini devono imparare a risolvere con l’aiuto degli educatori. Quando affronteranno il campionato dello “Zoo” (della scuola elementare) si sentiranno talmente importanti, come “squadra”, che saranno disponibili ad ascoltare (anche) qualche suggerimento educativo fatto dalla maestra.Gli istruttori dovrebbero comprendere che, nella società odierna, dove i bambini sono veramente sotto stress, non si deve assolutamente “insegnare” il basket attraverso la conoscenza dei fondamentali, ma farlo subito “apprendere” , usando quello più importante (tiro), attraverso il gioco. Bisogna quindi organizzarsi affinché giochino subito, con quello che sanno fare (poco), sfruttando i loro prerequisiti (scarsi), ma pensando soprattutto alla loro felicità. Pensiamo che “l’attacco al castello” e la favola del “Jungle Team” siano indicatissimi per risolvere queste problematiche, in attività di collaborazione con le maestre che durino un anno. Cosa dice la favola del “Jungle Team”?“IL  JUNGLE TEAM”     Nello zoo di  Roma,  il guardiano permetteva  sempre ai suoi  animali di giocare  a  basket  nel  “bosketto”,  per  distrarsi  dallo  stress delle visite.   Unica condizione,  che non litigassero.   Quelli  più  adatti formarono una squadra e  cominciarono a prepararsi per il campionato europeo degli zoo.   Come detto,  non tutti gli animali potevano partecipare,  ma solo quelli in possesso di caratteristiche particolari:  ·       Il Delfino,  per  la  sua  intelligenza  e  capacità  organizzative,  ma soprattutto per la sua attitudine ad aiutare gli altri;  ·       La Volpe,  per la sua astuzia e capacità di ingannare gli avversari;  ·       Il Cavallo,  per l’intelligenza e la sua propensione alla corsa;  ·       Il Leone,  per la sua potenza e combattività;  ·       La Scimmia,  per l’agilità e capacità di copiare i movimenti tecnici più belli degli avversari e farli suoi.    Il guardiano aveva loro  concesso  la  possibilità  di  utilizzare due recipienti dell’immondizia che accuratamente incastravano  fra due rami degli  alberi  “a  mo’  di canestro”  e come palla usavano quella presa dalla scimmia ad un bambino che avventatamente aveva lanciato dentro la gabbia. Mancava  solo  l’allenatore  che potesse aiutarli  negli  allenamenti e gestire le situazioni speciali della partita.   Inizialmente scelsero il “Cane”  del custode perché  col suo abbaiare dava l’illusione di poter guidare il gruppo.   Presto  però   si  accorsero  che  il  suo  carattere   scontroso  era incompatibile con la  sensibilità  degli animali  della  squadra  e lo sostituirono  con l’Elefante”  molto  più  rassicurante  per  la sua prestanza fisica e per la nota  capacità  di tolleranza e sensibilità ai problemi della squadra. Il gruppo  andava  d’accordo anche perché  la presenza dell’allenatore garantiva la pace tra gli  animali e,  in campo,  l’armonia  era foriera di risultati sportivi eccellenti:  dopo  sole  cinque  partite erano primi  in  classifica  nel campionato europeo ed erano già stati invitati a cena dal presidente dello zoo di Roma.   L’intelligenza del Delfino e del Cavallo era messa a disposizione della squadra,  il coraggio del Leone garantiva la supremazia della lotta per i rimbalzi sotto gli alberi,  mentre l’agilità della Scimmia e la furbizia della Volpe venivano  trasformate in  un  rendimento  veramente elevato sotto il profilo delle realizzazioni.  Ognuno  aveva un  talento da  offrire alla  squadra  ed  il  primato in classifica sembrava irraggiungibile per gli avversari.   Alcuni giornalisti  della “Jungle-Gazzette”  si erano anche sbilanciati nell’ammettere che tutto era dovuto all’intelligenza e perseveranza del “super-coach”,  considerato ora come un mago.   Ma  un  giorno  la  Volpe,  non soddisfatta  dai  successi  di squadra,  si lasciò  sopraffare dal proprio egoismo che  si  insinuò perversamente nei suoi desideri.   Se avesse segnato più canestri avrebbe avuto maggiori attenzioni dalla stampa ed anche i suoi tifosi  personali le  avrebbero tributato grande interesse.   E così in campo era pronta a prendere il primo  passaggio dalla rimessa dal fondo e,  con forzati “slalom”,  si  esibiva in  solitari  “tiri della disperazione”.   Il primo compagno  ad  arrabbiarsi fu  la Scimmia che  tentò subito di sgambettare la Volpe per impedirle i suoi  individualismi,  ma  anche per farle un dispetto.Ne approfittarono subito gli avversari che recuperando la palla,  avevano facili occasioni per realizzare canestri indisturbati.   Il Leone,  istintivamente,  si arrabbiò e scatenò la sua collera mordendo ingiustamente  gli  avversari  e  “ruggendo”  vistosamente  contro  gli arbitri che furono indotti ad espellerlo e squalificarlo.   Senza il Leone la  squadra perse tre incontri  consecutivi,  i  tifosi si arrabbiarono,  la  stampa  specialista  incolpò   l’allenatore  che  ora rischiava il licenziamento da parte del presidente dello zoo di Roma.   Il Delfino ed  il  Cavallo,  notoriamente  più  intelligenti e sensibili andarono a parlare  con  l’elefante  per  cercare  di  risolvere questo problema nato per una questione di egoismo ed invidia.   L’Elefante invitò  a  cena  tutta la  squadra per parlare  insieme del problema e sentire da  ogni animale  quale fosse la  sua versione sulla situazione precaria della squadra e le proposte per uscirne.   Alcuni animali dissero  che erano preparati male  fisicamente,  altri che gli schemi  erano vecchi,  ma  la  Volpe,  paradossalmente,  disse  che si sentiva fuori dal gioco di squadra e non aveva soluzioni  tecniche per esprimere il suo talento.  Il solito vittimismo del colpevole.   Quando fu  il  turno del Delfino,  disse  che  l’amicizia  era  uscita da quella famiglia  e,  per  farla  tornare,  occorreva  che  ogni  animale si ricordasse dell’armonia  iniziale  ed abbandonasse la  voglia di glorie personali.  L’Elefante,    saggiamente,  ricordò  che  era bene non  leggere troppo la “Jungle-gazzette”  e  che i tifosi  non erano  dei  veri  amici perché rovinavano,  senza volere,  la concordia della squadra.   Disse anche che si  trovava perfettamente d’accordo col  Delfino e,  allo scopo,  propose di  ripetere  quella cena una volta al  mese  facendola a turno “in casa” di ognuno e con la squadra al completo.   Il  rivedersi più  spesso e lo stare insieme rinsaldò  lo  spirito di Squadra momentaneamente logorato  ed il gruppo , con l’amicizia,  ritrovò il piacere di giocare insieme e la vittoria.”