Cronache

Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 5


Così, divenuto trinitario, il sessantaquattresimo giorno dell'anno uno, alle ore 72, feci ingresso in una sordida taverna del suburbio: una nebbia spessa stagnava nel locale, una nebbia così spessa che avrei potuto tagliarla con un coltello. Presi infatti il coltello per farmi strada, lo affondai in quella coltre nebbiosa, lo affondai nel cuore di mio padre, come nel burro. Quando ritrassi l'arma e la feci balenare sotto la luce di una lampada a petrolio, il sangue di mio padre baluginò, si rifranse e cadde a terra in piccoli corpuscoli: io, il barbaro, avevo ucciso mio padre. Avevo così obbedito al comandamento supremo: uccidi il padre, violenta la madre, amali e sotterrali. Quel grande fottitore paterno, colui che aveva ingravidato la sartina, giaceva ora con il sangue che gli gorgogliva nella gorgotta. Guardai gli avventori che mi fissavano inebetiti: andate, dissi loro, andate e uccidete e tornate a me con il cuore di vostro padre. Poi alzai una gamba e lasciai sibilare una ineffabile scoreggia.