Cronache

Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 6


Ormai ero diventato intoccabile. Un mammasantissima. Un padrone del vapore. Un Presidente del Consiglio. Negli ambienti della mala, il mio nome procurava coliche renali e dissenteria. Una nota casa farmaceutica mise sul mercato un placebo che funzionava alla grande contro la stipsi soltanto in virtù del suo nome (Palucell), che evidentemente riecheggiava il mio. L'immagine del sottoscritto era presente ovunque: nei saloni di bellezza e sugli autobus, sopra le cattedre delle scuole medie e alle pareti dei vespasiani. L'Ufficio Filatelico della Repubblica realizzò perfino un annullo che mi ritraeva con Giacomo il Maggiore sulla cima Coppi, entrambi in una posa trionfale. Ma tutto questo non mi bastava. Assieme alla mia fida emorroide decisi allora di formare un complesso rock. Io, Giacomo, Dio e Paul Newman assumemmo il nome di Bittols e, anche se formalmente eravamo in tre, fummo soprannominati i FabFour o anche, in subordine, i Quattro ragazzi di Quarto Oggiaro. Avevamo sedici coristi. O lettori: devo proprio dirvi che quello fu il periodo più bello e spensierato della mia vita. Stiamo parlando del decennio che va dal 24 al 25, in pieno boom economico. Essere giovani in quegli anni, come si può descrivere? C'era sempre un'opportunità. Difatti un bel giorno decidemmo di imbarcarci in una nave della flotta Costa. Quante donne, quanti amori. La mia emorroide stordiva le prede al suono delle note di Charles Trenet, poi io me le trombavo, benché fossi un discreto pianista. Il nostro cavallo di battaglia era Que reste-t-il de nos amours? Paul Newman suonava il contrabbasso così come si suona in paradiso, Dio era un chitarrista come non ce ne sono più stati, io al piano e Giacomo voce solista facevamo sempre la nostra porca figura. Una solo cosa mi preoccupava. Non crescevo. Continuavo ad essere alto (se si può dire alto) 1 metro e 63 centimetri. E perdevo ogni giorno una quantità imbarazzante di capelli.