Cronache

Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 7


Così quando mi acculattai davanti allo schermo del network inglese (che scoprii essere in realtà una redazione locale di Tele Brianza), mi prepararono un trespolo per pappagallo con sette cuscini sul seggiolino, affinché il mio busto potesse emergere dalla lucente scrivania dello studio. Con l'emorroide tuffato nel morbido dei cuscini tenni così il primo discorso alla nazione: promisi coiti mantra agli impotenti e agli eunuchi, la fertilità alle bisnonne, la pensione per invalidità agli atleti; promisi anche filmini a luci rosse ai ciechi e la musica dei cimbali celestiali ai sordi; promisi fica per tutti e cazzi coi fiocchi alle vergini, promisi lo shampoo per la crescita del pene e lo stantuffo per il coito faidaté. Concionai per sette anni di trentadue mesi e in quel tempo, acquattata sotto la scrivania, debitamente inginocchiata, suor Giuseppina, la mia graziosa suocerina, mi rendeva un sollazzevole servigio orale. Dissi che sotto la mia governanza non ci sarebbe mai più stato "game over" per nessuno, che le campane mortuarie non avrebbero mai più suonato e che la danza macabra si sarebbe trasformato in un eterno carnevale. Quando finii di parlare, sommerso da uno scroscio di applausi, non feci caso che un piccolo bastardino aveva lasciato un fecalino nero sulla punta delle mie scarpe nere tirate a lucido.