Cronache

Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 9


La morte di Veronica mi addolorò moltissimo, ma il genere femminile mi reclamava, e quindi non potei pavesarmi del lutto molto a lungo. E così, dando di fioretto e di stocchetto, in pochi mesi avevo ingravidato un numero strepitoso di donne; lavorando di fianchetto mi ero dato ai piaceri più sottili dell'arte amatoria. Anche al funerale di suor Beppina, morta un quarto d'ora dopo la figlia, non persi l'occasione per mostrare quanta potenza albergasse nei miei sacri lombi. Avevo individuato una madre superiora dall'aspetto piuttosto losco, con il gonnellino che lasciava intravedere un mutandone in pizzo sui cui bordi il mestruo aveva lasciato un'odorosa traccia: la vidi inginocchiarsi al confessionale e, con le vibrisse sollecitate da quel magnifico tanfo, non potei esimirmi dall'imporle il mio bastone pontificale. Alla pecorina anche le suore sono come le vacche, mi lasciò detto mio padre poco prima di spirare e, certo, il vecchio aveva avuto le sue ragioni. Fu da quell'incesto santo che nacque l'ultima della mia progenie, il cui nome vi rivelerò nel prossimo capitolo. Per ora vi basti sapere che lo scandalo fu messo a tacere da un ometto scaltro come il piombo, un tale Licio Gel che mi venne in soccoso proprio nel momento in cui avevo già messo piede sul patibolo morale della nazione! Fu lui e fu quel pallone gonfiato di Bettinocrassi, il maiale della Brianza, a tirarmi d'impaccio spedendomi a svernare alle Maldive, dove mi impiombarono tacchi in carbonio e mi munirono di un pene in zinco. Poi venne lo tsunami e un'onda tornò a vomitarmi sulle sacre sponde: Zacinto era cambiata, i bolscevichi erano alle porte e i cavalli dello zar avrebbero bevuto nello stagno di Arcore!