Cronache

Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 11


Cosa significa scrollarsi il prepuzio nel giardino del Bene e del Male? Non so voi, cari miei, però io cominciavo a farmela nella braga. Ero salito in alto. Più in alto dei palazzi, più alto delle antenne di Tele Brianza, il mio sguardo si soffermava sulle formicuzze che vanamente si affannavano, sul ritmo dei semafori, e appena un po' più in là, vicino al monte, vedevo conigli e topi in fuga, laggiù. Come un elicottero, come un gufo padroneggiavo le correnti ascensionali, spaventavo le prefiche, portavo lutti ai casolari, e superando la curvatura terrestre, mi soffermavo sui delitti della storia, un maestoso rewind che mi condusse a confrontarmi con un'esplosione tremenda, un fungo di fuoco che si fissò sulla retina e mi impedì per sempre di vedere ancora le cose concrete di questo mondo in decadenza. Solo il nero mantello della morte, ormai, mi era dato di rimirare. La morte, capite? La morte sovrana. I luminari che chiamai a consulto me lo confermarono. Prima o dopo sarebbe toccato anche a me, di morire. Le prime unghiate del male che mi stava per inghiottire colpirono la fida emorroide, il tenero tenero Giacomo, che mi fu asportata nel corso di un intervento chirurgico a cuore aperto. Il giorno del funerale di Giacomo fu un giorno di grande mestizia. A che prezzo stavo pagando la mia popolarità planetaria? Mentre la bara di Giacomo il Maggiore scendeva nella terra fredda, pensai che doveva per forza esistere un modo per sconfiggere la puttana con la falce e da lì a poco cominciai ad accarezzare l'idea di costruirmi un mausoleo, il più grande e perfetto, un colossale tempio di marmo e fieno che avrebbe ospitato per l'eternità me e la mia gente, a cominciare dalla mia piccola, cara, fotogenica emorroide.