Arrakis

Dentro di me...


Oggi, come decine se non centinaia di altre volte, sono uscito dall'ufficio per andare a prendere qualcosa per il pranzo. La tradizionale passeggiata di 3 minuti ufficio->rosticceria, i due secondi di attesa per spegnere la sigaretta prima di entrare, i 4 secondi per scommettere mentalmente su quante persone ci saranno davanti a me, variabile che include tutti i numeri tra - pubblico di un cinema che trasmette film espressionista tedesco in cecoslovacco e mega raduno oceanico di un concerto di Vasco Rossi - ed i 3 minuti per tornare in ufficio.Stavolta però è stato diverso. Sarà perché ero solo, sarà perché avevo bisogno di scollegare la mia mente dall'orgia di lavoro, ma è stato tutto diverso.Appena varcata la soglia del palazzotto-fittato-per-un-anno-fino-a-ultimazione-nuova-ala-sede-centrale mi ha colpito una sferzata di vento gelido misto a neve, misto ad acqua. Come se un enorme Yeti avesse interpretato come offensiva la mia espressione di stanchezza e mi avesse scaracchiato in faccia. Mi sono scoperto a sapere parlare in aramaico antico: non proprio la lingua, solo le bestemmie. Che Yanutzscheru, divinità da me creata per poterla liberamente bestemmiare, mi perdoni per gli impropri che ho lanciato alla sua self-made divinità!Sono bastati pochi istanti perché quel freddo siderale si trasformasse in una meravigliosa bambagia che mi ha isolato da tutto. I nervi hanno richiamato il sangue dagli arti, come il generale di un esercito in rotta; il tatto è diventato un senso del tutto dimenticato. La vista era quasi annullata dal nevischio che lo yeti mi continuava a sputare in faccia, l'odorato era già stato sconfitto nei giorni passati (attimo di silenzio in sua memoria) da un raffreddore talmente potente da riuscire a bloccare totalmente il mio naso (impresa non facile), la lingua paralizzata dal timore di finire tra i denti che battevano se ne stava rintanata a chiacchierare mentalmente con l'ugola. L'udito, unico senso ancora pronto e attivo, non trovando niente di utile su cui esercitare le sue vitali funzioni, preso da depressione si è ucciso.Vagavo come un bussolotto di ovetto kinder spinto più dall'inerzia che dalla volontà. Ed in questa dimensione di temporaneo esilio glaciale mi sono ritrovato a sorridere. Di certo non era la visione della magnificente zona pre-industriale di Scandicci (anche perché gli occhi erano più stretti di quelli di Bud Spencer), né la gioia per 6'e6'' di pausa in una giornata degna della peggiore fogna di Giacarta. Era che finalmente, dopo molto tempo, riuscivo a staccare da tutto, ad isolarmi dalla realtà circostante e ad ascoltarmi pensare.Non importa cosa dicessero i miei pensieri. In quell'attimo eterno mi sono reso conto dell'immenso che c'è dentro ognuno di noi. E mentre mi addormentavo cullato dalle braccia del mio immenso, ascoltando i miei pensieri cantare una ninnananna di ricordi, mi sono sentito vivo e potente come non mai.