LA COLPA DI SCRIVERE

Haleandra di Gianni Mazzei


E così nel giro di quattro ore di chat, lei gli apparve in cam, bella nonostante si schernisse a dirgli di no per aver pianto tutto il pomeriggio, con l’immancabile sigaretta nella bocca e, al telefono, una voce roca piena di seduzione e incrostata di malinconia.Avvenne in una delle tante domeniche, noiose come mosche che si fermano, nonostante tu le schiacci con la mano o con fazzoletti, sulle cose, sulla pelle schifose e pungenti, allorché, non sapendo cosa fare (fuori pioveva e il tempo grigio non lo invitava ad allettanti pensieri), si era messo in chat.“Haleandra”: gli era apparso questo nick, misterioso come minareti scintillanti e preghiere allo zenit del giorno del muezzin; forse l’assonanza della parola lo portava alla ricchezza visiva della Spagna araba o alla maestosità, inconfessabile come un segreto, di Petra, nella ricerca di un luccichio interiore aggrumato nella sera, nell’apparente aridità di ardite colonne.O, chissà, era quell’umile “H”, silente eppur loquace nella sua perenne attesa che avvenga il definitivo fiat che lo aveva intrigato e cliccato, dicendole “Ciao,sei libera?”.Man mano che si dialogava un mondo inconsueto gli si apriva, come squarcio di luce nelle tenebre spesse della notte.Aveva avuto un’infanzia difficile, con una madre austera che le negava finanche un bacio,perché - diceva - bisogna essere forti nella vita e non vivere nella bambagia coccolati come pulcini nella pezza di lana.Il padre era il suo orizzonte: sempre fuori, girovago, ma presente come meraviglia, come attesa, nella sua pittura che le svelava il mondo e, tramite lui, aveva capito e amato la vita.“Pensa, gli disse, con lui, appena settenne capii un giorno, dopo una giornata di pioggia, che l’arcobaleno non è di sette colori. Sette il kairos, la grazia che però irrigidisce la vita,i mpietrita nella perfezione.L’altro, l’ottavo, che si irrobustisce di inquietudine mentale, me lo fece vedere quel giorno; e come, con il ciclo, sarei diventata donna, quel giorno, dopo la pioggia fui introdotta ai segreti del mondo”.Nella sua mente si affaccia la conversazione di quel giorno, le pause per andare lei a fare la pipì o fumarsi una sigaretta.Cosa l’attirava in questa donna, elegante sì, ma non bella, che, con innocente pudore, gli diceva che era arrivata a quarant’anni e si era sentita a disagio, sporca e contenta per quel sangue che le usciva in quel suo primo rapporto, e sporcava le lenzuola, lei che era stata sempre selvaggia con gli uomini e aveva ceduto, per curiosità, per voglia di completezza solo fisica, la settimana prima con un suo allievo di danza?Non era la tristezza che pur indovinava nelle pieghe delle sue parole, né la tenerezza che ti creano nell’animo le persone desiderose di parlare di sé, del loro animo, con un incanto che spaventa e affascinano, dicendo di loro anche le cose più inconfessabili, quasi che nel trasmetterle all’altro, l’anima diventa cristallina, si purifica dal dolore come acqua rigeneratrice di sorgente sotterranea.“Mi sento sradicata, senza una patria, e vado alla ricerca di me”, continuò a dirgli più volte con insistenza, dopo aver parlato della sua fierezza a rifiutare il patrimonio cospicuo, per sentirsi libera, come il vento, o come il suo cavallo brado cui dava nella mano lo zucchero e si faceva accarezzare, ma non cavalcare.Sapeva dunque che dopo quel franamento esistenziale che si era consumato in quel pomeriggio, con l’apparire lei in cam, sentirne la voce,l ei, selvaggia come il vento e il suo cavallo, non l’avrebbe più rivista né cavalcata se non nei recessi assoluti della sua memoria.