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Nel filo d’aria e di millenni
che lega il vertice alla stella
trascorrono fiumi di pensieri,
con occhi d’animali aperti
su deserte scogliere,
con gesti di creature dispersi
al vento delle sere supreme,
con grida di uragani e di ferite.
Il cielo ruota fino al sonno delle stelle,
fino al gelo dell’alba che disanima la pietra.
Nel filo d’aria e di millenni
l’aspra malinconia del vivente.
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Nella solitudine, nella lontananza
Si provi a immaginare un menhir nella solitudine della campagna magliese o otrantina, verso Cursi o più giù, verso Minervino, di notte, sotto un cielo stellato, e ci si provi a misurare la distanza tra la punta della pietra svettante nel cielo e la stella più vicina, forse ormai spenta. Si provi, per un istante, a misurare il tempo trascorso, le innumerevoli civiltà, gli sguardi imploranti, impotenti, infelici, le preghiere, gli affanni, i pensieri di uomini inesausti che ora sono terra e vento, “filo d’aria e di millenni”, si provi a immaginare tutto questo, e si sarà presi da una vertigine che solo chi ha una lunga familiarità con Leopardi, col Leopardi del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, sarà in grado di tollerare. Tra il vertice di un menhir e una stella c’è “l’aspra malinconia del vivente”, cioè la storia dell’uomo, le sue illusioni e delusioni, i suoi desideri e le sue frustrazioni, il dolore del vivere e la meditazione sul comune destino di morte: “fiumi di pensieri” che hanno la loro sede sopra “deserte scogliere”, nel cielo, e sono trasportati in alto dal vento che sembra essere la loro voce, sempre più lontano da questo mondo dove sono nati nella testa degli uomini (o forse hanno altra origine, altra natura? chi può dirlo?). Un menhir si innalza verso una lontananza di cui nulla si sa, se non dalle parole dei poeti. Che sia stato, dunque, sollevato da terra dalle braccia dei poeti, come un tentativo estremo quanto vano di colmare la distanza tra cielo e terra, tra lontananza e finitudine? Questa dialettica, insita nella metafora che dà il titolo alla raccolta, 'menhir', racchiude il senso della poesia di Prete.
Antonio Prete, poeta e narratore salentino “Privilegio di chi abita una piccola isola o una piccola penisola: poter vedere il sole tramontare in un mare e sorgere in un altro mare. Nel Salento accadeva che, ragazzi, andavamo nell’ultimo giorno dell’anno ad assistere al tramonto sulle rive dello Jonio, e aspettassimo il sorgere del primo giorno del nuovo anno sulle scogliere dell’Adriatico. Crescere tra due orizzonti marini: non so bene che cosa mi abbia dato questa condizione. Certo, anch’essa è all’origine di questo libro che vado scrivendo”
Il poeta di "Menhir"