asandabubia

Petteia


Sommando tutto quello che si conosce dei giochi «Petteia» e «Latrunculorum» si può affermare attendibilmente che i due giochi erano identici e che le loro regole erano le seguenti:la scacchiera per il gioco era composta da caselle non dipinte in colori diversi; le caselle erano chiamate «campi»; su ciascun campo poteva essere messa solo una pedina; tutte le pedine erano soggette alle stesse regole di spostamento e presa; le pedine si spostano in linea retta (avanti, indietro e lateralmente) e il loro raggio di azione era uguale a quello della torre negli scacchi; la pedina veniva presa, se non poteva essere liberata dalle pedine dell'avversario che la circondavano. Questa presa si distingue radicalmente dalla presa nel gioco della dama (dove la pedina deve scavalcare la pedina dell'avversario) e negli scacchi (la figura vincente occupa il posto della figura eliminata); l'arrivo della pedina sull'estrema linea della damiera non dava al giocatore nessun vantaggio. L'ampio raggio di azione delle pedine e la mancanza d'importanza della direzione degli spostamenti eliminavano la necessità dell'arrivo della pedina alla ultima linea della damiera.La parola Petteia deriva dal termine greco «pessos» (plurale «pessoi») che indicava le pedine del gioco. Per la prima volta il termine «pessoi» (nel senso di pedine) fu usato da Omero nell'Odissea descrivendo i pretendenti di Penelope.La seconda volta il termine «pessoi» viene usato da Erodoto (484-424 a.C.) nelle sue «Storie». Descrivendo la vita degli antichi abitanti della Lidia: «... c'erano le pedine (pessoi) per il gioco sulla damiera ed essi (i lidi) giocando dimenticavano la fame». (assedio di Sardi?)Le regole del gioco della petteia (polis) sono descritte nell'«Onomastikon» dell'oratore Giulio Polluce (scritto attorno al 170 d.C.). L'oratore spiega che i giocatori devono portare le pedine dall'altra parte della damiera, nella propria «città». E se la pedina viene circontata da due parti dalle pedine dell'altro colore, essa può essere eliminata. Così, la pedina che ha perso il contatto con le altre pedine dello stesso colore, può essere facilmente attaccata e presa.Da questo gioco trae un paragone lo stesso Aristotele (384-322 a.C.) quando nella sua «Politica» parla dei greci cacciati dalla città di Atene (apolidi), paragonandoli alle pedine che, rimaste isolate da quelle dello stesso colore, devono aspettarsi grandi tribolazioni.Il «Ludus Latrunculorum» è un gioco puramente intellettuale, senza dado e senza ombra di azzardo. Marco Terrenzio Varrone (116-27 a.C.) per primo menziona questo gioco. La damiere destinate a questo gioco con le caselle sono state trovate durante degli scavi in Inghilterra. Da queste damiere risulta che una grandezza esatta, prestabilita, non esisteva. Secondo il Murray veniva di solito adottata la damiera 8x8.Come nel gioco dell'antica Grecia «Petteia», una pedina, circondata dalle pedine dell'avversario, si perdeva (veniva presa).Marco Valerio Marziolo (40-102 d.C.) descrive nel suo «Epigramma» questo modo per eliminare la pedina. Anche Publio Ovidio Nasone (40 a.C. - 18 d.C.) nei suoi «Ars Amandi» e «Tristezze» descrive in versi non solo il modo per eliminare le pedine, ma anche le regole dei loro movimenti rettilinei e la non obbligarietà nella presa.Nella poesia anonima «Laus Pisonis» (circa 50 d.C.)si narra del romano Caio Calpurnio Pisone artista e ottimo giocatore di «Latrunculorum».La strategia di questo gioco così viene ricostruita da Ostin sulla rivista «La Grecia e Roma» nel 1934:«Il principio molto importante del gioco era la manovra delle figure fatta in modo che esse formassero un gruppo molto legato. La pedina isolata dal resto e circondata dall'avversario metteva in pericolo se stessa e tutte le altre figure dello stesso colore.Questa teoria veniva confermata dalla pratica. Si è scoperto infatti che la migliore tattica era la formazione di solidi gruppi di pedine. L'avversario, però, con un gioco intelligente ed anche sacrificando qualcuna delle proprie pedine poteva sfondare questa composizione, guadagnando così la libertà di movimento sul retrofronte dell'avversario, ottenendo in questo modo la possibilità di una graduale conquista della fortezza».Questa descrizione è molto accurata e si può adattare anche al gioco greco «petteia», formando così un quadro abbastanza esatto di come erano i due antichi giochi.Nel 400 d.C. troviamo ancora un accenno fatto dal Macrobio nei suoi «Saturnali». Egli scrive: «Tanti romani hanno celebrato le feste in onore di Saturno giocando a «Latrunculorum» e ad «Abac» (gioco d'azzardo con i dadi)».Ma il vero e proprio antenato della dama e degli scacchi è il «Ludus Latrunculorum»: un gioco puramente intellettuale, senza dado e senza ombra di azzardo.E' Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) a menzionare per primo questo gioco (De lingua latina 10. 22. 2). Alcune damiere destinate a questo gioco con le caselle sono state trovate durante degli scavi in Inghilterra. Da queste damiere risulta che una grandezza esatta, prestabilita, non esisteva. Secondo il Murray veniva di solito adottata la damiera 8x8 Tuttavia, senza voler togliere agli Indiani questo diritto di primogenitura, bisogna pur notare che qualcosa di molto simile agli scacchi (e alla dama) esisteva già presso gli antichi Greci e Romani, ed in epoca ben precedente: pare incredibile, ma questo gioco così sofisticato ed intellettuale era molto diffuso tra la rozza soldataglia delle legioni: infatti l'antenato latino degli scacchi era concepito, oltre che come uno svago, come un vero e proprio allenamento alla strategia militare. Che i moderni scacchi risentano profondamente di questa originaria destinazione militaresca è evidente.Più tardi per il gioco con le pedine (pessoi) si usò il termine polis(città). Questa parola viene usata per la prima volta da Euripide(480-406 a.C.) nella sua tragedia Le supplici. Uno degli abitanti diTebe chiede a Teseo come era governato il suo paese. Teseorisponde che nella democratica Atene, come le pedine (pessoi)del gioco polis, tutti gli abitanti, sono uguali.