C'è solo l'A.S.Roma!

Damiano Tommasi in esclusiva su Il Romanista


INTERVISTATO DA DANIELE LO MONACO, PARLA IN ESCLUSIVA SU IL ROMANISTA, L'ANIMA CANDIDA GIALLOROSSA.IL SUO PUNTO DOPO UN ANNO IN SPAGNA:«Andare via da Roma è stata la più grande delusione della mia carriera. Ed è ancora cos컫A Levante un'esperienza bellissima, ho fatto anche il mio primo autogol»«Il prolungamento di Spalletti ha dato la spinta alla squadra. Adesso la strada è giusta»«In Italia manca qualcosa per dare un cambio, ci vorrebbero giovani con idee chiareE' il paese che va così: in Spagna il primo ministro è più giovane di tutti i nostri politici»Damiano Tommasi, 33 anni, una moglie e quattro figli, centrocampista del Levante attualmente a riposo. Non lo cercate in Polinesia, non lo trovereste!Dove sei in vacanza, Damiano?«Verona, finalmente con tutta la famiglia. Poi magari ci faremo anche una settimana al mare».Sarai soddisfatto, la stagione al Levante è stata positiva.«La salvezza era il nostro obiettivo, è stato complicato ma ce l'abbiamo fatta». Quali sono stati i problemi maggiori, per te e per la squadra?«La mia difficoltà derivava essenzialmente dal fatto che la famiglia era rimasta a Roma, dal punto di vista tecnico poi ho sofferto il fatto che in Spagna si gioca molto palla sui piedi e poco negli spazi. Chi punta come me sulla corsa soffre un po', lì si tiene molto la posizione e corre soprattutto la palla. Per la squadra la difficoltà è stata soprattutto la non abitudine alla serie A. In certe partite la pressione di pensare di non essere all'altezza ci ha fatto perdere prima di giocare. Invece quando si lotta per la salvezza dovrebbe essere accettato come inevitabile il fatto di incontrare difficoltà, altrimenti non si lotterebbe per la salvezza...».Hai totalizzato buoni numeri?«Mi pare circa ventotto presenze: al ritorno, dopo il cambio di allenatore, ho giocato tutte le partite meno una per squalifica, all'andata ho giocato meno. Ma per me la cosa importante è stata quella di essere stato sempre disponibile: non ho saltato neanche un allenamento. E poi ho vissuto anche un'altra esperienza: ho fatto il primo autogol da professionista. Un bel tiro, non c'è che dire. Un passaggio all'indietro da fuori area in corsa con il portiere fuori tempo... Purtroppo invece non sono mai riuscito a segnare nella porta avversaria. Ma, in fondo, il mio lavoro non è questo».E poi avete avuto la soddisfazione di raggiungere l'aritmetica salvezza battendo il Valencia nel derby.«Ci sono state molte polemiche, per via dei rigori e delle espulsioni, ma per me le decisioni arbitrali erano giustificate. Loro erano demotivati, noi comunque tranquilli perché sapevamo che al 99% ci saremmo salvati anche perdendo. Il colpo l'avevamo ottenuto la partita precedente vincendo a Santander».Quella sconfitta è costata una dura contestazione ai vostri cugini del Valencia. «Mettiamoci le virgolette rispetto a quello che accade in Italia. Lì è solo volato qualche insulto. La cosa più curiosa è che comunque è stato contestato il Valencia che è stato protagonista di una stagione buonissima: sono partiti dai preliminari e sono stata la squadra spagnola che è arrivata più lontana in Champions. E' stata una delle due squadre, col Siviglia, arrivata più lontana nelle coppe. Ha lottato per il titolo fino alla fine. Ha raggiunto la Champions con due o tre domeniche d'anticipo. Ha avuto diversi infortuni gravi. E' la squadra che dà più giocatori alla nazionale. Insomma, la contestazione mi è sembrata grossolana».Alla fine ha pagato il tuo amico Amedeo Carboni.«Era inevitabile. Sin dall'inizio della stagione era emersa questa differenza di idee tra lui e il tecnico Quique Sanchez Flores. In qualche modo era una situazione che andava risolta».Un po' è quello che è capitato a Capello e Baldini a Madrid.«Stessa cosa. La decisione era già stata presa, ma è stata rinviata solo perché i risultati erano migliorati. Da tempo stavano lavorando sul futuro, lo scoglio è stato il discorso economico».In Italia la vittoria avrebbe fatto cambiare la decisione.«In Italia».Tu con lo spagnolo come procedi?«Bene, ma vorrei impararlo meglio».Hai ancora tempo, no?«Ho un altro anno di contratto, starò ancora qui. Tra quindici giorni partiamo per il ritiro».C'è stata la possibilità che il tuo amico Chivu ti raggiungesse in Spagna.«Ho seguito un po' la vicenda, credo che alla fine peserà la sua volontà. Non ho ancora avuto modo di parlarci».Se preferirà l'Inter ti stupirai?«Sono scelte molto personali. Deciderà lui quel che sarà meglio per se stesso».Nei saluti di fine stagione attraverso il tuo sito hai detto di aver provato anche qualche delusione quest'anno. A che cosa facevi riferimento? «Beh, una cosa che non mi piace molto è questa prassi del premio a vincere di cui si parla molto a fine stagione. In teoria dovrebbe essere un incentivo che non danneggia nessuno, ma poi diventa un problema perché ci sono squadre che pretendono un riconoscimento quando non hanno più niente da chiedere al campionato. I giornalisti azzardano cifre, contatti, fanno ipotesi, raccontano accordi. E visto che comunque non è legale non dovrebbe essere così».Qualcosa che invece ti abbia stupito positivamente?«Beh, il fatto di ritrovarmi a parlare di un'esperienza bellissima anche durante il girone d'andata, quando non giocavo e avevo la famiglia lontano. Non ne soffrivo, ecco. E questo mi ha stupito piacevolmente».Come facevi con la lontananza?«Comunque ogni settimana tornavo a Roma e una volta al mese per tre-quattro giorni venivano tutti a trovare me».Dopo quest'anno che farai?«Non lo so, non ci penso. Quest'anno la mia famiglia starà con me, vediamo come si trovano a Valencia, poi decideremo. Non so quanto potrò ancora giocare, non mi pongo limiti».Che ti è rimasto dentro dell'incidente del 22 luglio 2004?«Tutto, non dimentico niente. Soprattutto tutto quello che ho dovuto passare dal punto di vista fisico e il fatto di aver ritrovato una funzionalità nella quale non credevo più neanch'io».In Italia eri l'anima candida capace di giocare anche a 1500 euro al mese. In Spagna come ti vedono?«Come un giocatore qualsiasi. Ci sono altri elementi della Liga che meritano maggiori attenzioni».E quando non ti allenavi, a Valencia come passavi il tempo?«Mi sono avvicinato ad un'associazione che lavora per l'integrazione degli extracomunitari. E poi ho conosciuto diversi italiani che mi hanno aiutato a star bene».Per curiosità. Da 1500 euro al mese a quanto sei passato?«A molto di più».Da lontano hai seguito l'evoluzione della Roma di questa stagione?«Ho seguito e apprezzato molto. Del resto avevo pochi dubbi sulla bontà della strada intrapresa. E questo campionato anomalo ha aiutato a dar sicurezza a un progetto che sicuramente funziona». Qual è stato l'elemento principale che ha dato la spinta giusta?«Il prolungamento del contratto di Spalletti. Ha dato a tutti il senso di qualcosa di duraturo, di serio e importante, senza se e senza ma. Capello è stato esonerato vincendo e pur avendo il contratto. Quando invece si ha la sicurezza di aver preso la strada giusta per perseguire il progetto, anche risultati come quelli di Manchester fanno inciampare ma non fanno cadere».Ti resta dentro la delusione per come sei andato via da Roma?«E' stata la più grande delusione della mia carriera e quest'anno non ho vissuto niente di così negativo che mi abbia fatto cambiare la classifica. Ma Roma non la ricordo certo per come me ne sono andato».Ripensandoci che cosa cambieresti?«E' difficile da dire. Ripensandoci, non capisco come ho fatto a tornare a giocare, nonostante avessi mille e un motivo per fare cose diverse. Forse ho avuto una fortissima spinta interiore. Più dell'infortunio è stato clamoroso quello che è successo in fase di recupero».Il riferimento, pare di capire, è sempre a tutti quelli che non hanno creduto che tu potessi tornare a giocare.«Certo».Se ti fossi infortunato nella Roma di adesso, sarebbe cambiato qualcosa?«Non credo. In fondo quando sono tornato a giocare c'era la Roma di adesso».Però non c'era Spalletti l'anno prima.«Ma è stato quello che ho saputo un anno dopo a deludermi, non quello che è accaduto mentre recuperavo».Che cosa hai saputo?«Sinceramente, non mi va di parlarne. Parlo di delusioni relativamente ai rapporti personali e professionali. Ormai quello era un ambiente dove parecchi rapporti umani si erano deteriorati. Ma, lo ripeto, io Roma la ricordo per tanti anni meravigliosi, non per gli ultimi due».Quante persone ti vengono in mente se chiudi gli occhi e pensi ai giorni migliori?«Quante pagine hai a disposizione per l'intervista?».Quante ne vuoi.«Provo a dire... Allora, tanti compagni di squadra, da Jonas Thern fino a Simone Perrotta e a Cristian Chivu, penso al cuoco Felice che non c'è più, alla signora Fioravanti, ai magazzinieri Franco e Luigi, a Giorgio Rossi. Ai ragazzi del bar, della portineria, del ristorante. Gente che non riesci mai a ringraziare compiutamente, ma che rendono ideale l'ambiente in cui lavori. Ricordo Luca col suo striscione. Quando io venivo fischiato, Luca alzava il suo stendardo: "Tommy io sto con te". Poi dopo s'è mischiato a tutti gli altri, ma all'inizio non erano in tanti. Però, vedi? Nomino queste persone e ne lascio fuori tante altre». Ma hai dato un'idea. Quanto al campionato italiano, ti sembra davvero cambiata l'aria dopo Calciopoli?«Non mi pare sia cambiato granchè. Ci sono state squalifiche pesanti, ma manca ancora qualcosa per dare un cambio, una direzione diversa al modo di trattare il calcio». Dipendesse da te che faresti subito?«Darei la possibilità a tante persone nuove di mettersi in evidenza. Ci vogliono giovani con idee chiare. Ma da noi è persino difficile candidarle, da noi non si dà credito ai giovani. In Spagna, ad esempio, è un'altra cosa, a partire dalla politica. Qui il primo ministro è più giovane della maggior parte dei politici italiani».Potresti essere tu il giovane che potrebbe cambiare tutto. Con un presidente federale come te forse cambierebbero molte cose.«Certi lavori e certi ruoli non si improvvisano. Per come la vedo io per svolgere certi compiti bisogna essere preparati, avere le idee chiare, avere credito, avere intorno persone che credono in certi progetti, ma soprattutto avere prima un progetto da portare avanti».Sembra il tuo identikit. Che ti manca?«Ognuno deve fare il suo, io non vado mai a battere le punizioni...».L'anno scorso hanno provato ad impostare qualche cambiamento. Con i poteri ad Albertini e il coinvolgimento in Nazionale di gente come Donadoni e Casiraghi. Ne sono seguite solo polemiche.«Per me serve prima una preparazione specifica. Non ci si inventa un ruolo così dall'oggi al domani».E intanto Zeman resta ai margini.«Mi dispiace per lui, non lo sento da un po', mi rendo conto che non è facile trovare squadre perché ci sono sempre tanti allenatori, ma lui potrebbe aiutare molto l'ambiente, la società e la squadra in cui si troverebbe a lavorare».In serie A è tornata la Juventus.«Hanno fatto il campionato che si aspettava, ma i loro campioni sono stati particolarmente bravi a trovare le giuste motivazioni. Per me la Juventus può vincere il campionato sin da quest'anno, mi pare che abbia i ruoli coperti anche da due giocatori di grande livello. E la Fiorentina è un'altra squadra pronta per vincere».In un'intervista a Repubblica il tuo amico Franco Baldini si è detto stupito che il medico della Juve Agricola sia ancora al suo posto, dopo le motivazioni alla base della sua "assoluzione".«Agricola è quello che sono stati Calciopoli e l'estate 2006. Non è cambiato granché neanche con gli operatori di mercato che continuano a fare quel che facevano prima. Non credo che sia solo Agricola ad aver mantenuto il suo posto. Del resto noi ci stupiamo di quel che accade nel calcio. Ma mi pare che lo stesso avviene anche per i politici. E' il paese che va così».Buone vacanze, presidente. E a presto.