C'è solo l'A.S.Roma!

Eccolo, il fantasma di Zeman...


Forse il fantasma di Zeman ha cominciato ad aleggiare sulla Roma un mese fa: quando Iaquinta s'è inventato ala destra divorando Juan come un grissino, quando Trezeguet s'è bevuto Mexes come un cognac, quando Doni s'è inchinato a raccogliere il primo pallone finito alle sue spalle dopo settimane di gioiosa imbattibilità. Fin lì, c'eravamo illusi: nessun gol subìto a San Siro, nella Supercoppa strappata all'Inter nella sua tana, e nessun gol subito a Palermo, poi contro il Siena, quindi a Reggio Calabria e anche nel felice intermezzo dell'esordio in Champions League, contro la Dinamo Kiev. Cinque partite senza macchia, palloni finiti solo nella porta giusta, una saracinesca alle spalle della difesa pure rinnovata e con qualche titolare qua e là fermo ai box.Forse il fantasma di Zeman, il profeta della Roma bella-che-non-balla, si è materializzato su quell'uno-due bianconero, poi doppiato dalla nuova beffa di Iaquinta, per continuare a svolazzare sui sogni giallorossi a Firenze, quindi contro l'Inter, infine all'Old Trafford. Nove gol subiti in quattro partite dalla difesa che pareva improvvisamente diventata di ferro, segno della maturità e dell'equilibrio raggiunti, a capo di un mercato scoppiettante, impostato in buona parte sulla discussa - nel bene e nel male - cessione di Cristian Chivu. Forse è apparso in quella notte, guarda caso contro l'avversaria più detestata, il fantasma di Zeman, che del resto fu fedele compagno di banco di Spalletti nelle aule del Supercorso di Coverciano. O forse questa Roma tornata via via colabrodo, spensierata e incosciente sprecona delle proprie bellezze, innamorata di sé al punto da smarrire qualsiasi concretezza, piaciona e narcisa fino a sconfinare nell'autodistruzione è sempre rimasta sotto pelle. Magari era la stessa anche a Palermo, dove del resto ci salvò un palo di Miccoli. E quindi contro il Siena, quando i due ex Corvia e Galloppa divorarono gol che avranno spinto i tifosi toscani a maledire le loro radici. E in tutte le occasioni, nemmeno poche a ripensarci, in cui Doni sfoggiò una reattività esplosiva lontana anni-luce dalle mollezze del sonnolento neo-papà Curci.
Sta di fatto che spenti con malinconia i fuochi di un gelido sabato di ottobre, l'immagine di una Roma di nuovo terribilmente zemaniana nel senso peggiore del termine - spettacolare nel gioco prodotto quanto in quello sofferto - ci è rimbalzata addosso con spietatezza assoluta. Eccoci, ci risiamo. Fatte le debite proporzioni, la quaterna stampata dal Napoli all'Olimpico a tre settimane da quella interista, ha riportato a galla la memoria del terrificante 4-5 incassato proprio dall'Inter nella più folle notte della Roma guidata dal boemo. Un gol fatto e uno incassato, uno incassato e uno fatto, sull'allucinante otto volante del match masochista e indecifrabile. C'è ancora chi lo sussurra senza arrossire, nel vasto popolo giallorosso: certo, quel giorno perdemmo, però come giocava, quella Roma...Già, come giocava? Cinicamente parlando (qualcuno direbbe capellianamente), in modo non molto diverso da questa. Lasciando spesso sul campo spesso splendide impressioni e ancora più splendidi punti. Presumendo di aver chiuso la sfida appena passata in vantaggio. Cedendo di schianto alla prima reazione avversaria. Facendosi inseguire dai commenti irritanti che i molti gufi perennemente in agguato ancora dedicano ad alcuni protagonisti di ieri e di oggi, Totti su tutti: siamo belli e spettacolari, non vincenti; scialacquatori e spensierati, mai cinici e concreti. C'è stato il rischio di farsi risucchiare da queste ovvietà, nella serata di ieri appena alle spalle, in mezzo alla sarabanda allestita da Lavezzi (che giocatore! Da prendere subito se si cede Mancini...), Hamsik e Zalayeta sotto gli occhi di un Olimpico freddo non solo per i troppi posti vuoti. E c'è il rischio di dovercisi confrontare nei prossimi giorni, specie adesso che dietro l'ovvio comincia a prendere corpo qualche verità, a fronte di tre impegni che rischiano di dettare il verso a una stagione intera: lo Sporting Lisbona già martedì, poi il Milan, quindi il derby. Spetterà a Totti e compagni vincere almeno questa sfida: dirci che questa Roma è lontana, nei contenuti, nella capacità di concentrarsi e soprattutto nelle prospettive, da quella divertente quanto incompiuta del biennio boemo. E spetterà a Spalletti, che ci aveva illuso di aver finalmente costruito un gruppo giusto non solo con il gioco, ma anche nella testa, allontanare in fretta il sospetto di essere stato contagiato dagli aspetti più discutibili della filosofia dell'amico di Praga. Magari cominciando dal primo atto concreto: visti l'andazzo e la classifica, non sarebbe bene ripristinare da subito la vecchia sana abitudine del ritiro pre-partita?