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Carlo Liedholm: "Il cuore di mio padre è a Roma"


Mauro Macedonio de Il Romanista intervista Carlo, il figlio del Barone.La provinciale che porta a Cuccaro, quassù nel Monferrato, si chiama anche la "strada del vino". Attraversa la campagna, tra terreni arati e un susseguirsi di vigneti in lunghi filari. I colori sono ancora quelli dell'autunno, anche se l'inverno è ormai alle porte. Il profumo del vino, quello rosso, forte, ti sembra quasi di respirarlo, insieme a quello dei formaggi e dei salumi. Lungo la strada, tra la nebbiolina incipiente, ci accompagna un pallido sole.
Cuccaro è un paesino arroccato in mezzo alla collina. 384 anime, recita la scheda. Una, quella di Nils Liedholm, se n'è andata l'altro ieri. E in paese c'è commozione e rispetto per quella famiglia così riservata, così lontana dai clamori. «Il signor Liedholm, Nils, non lo vedevamo più da tempo - mi raccontano i suoi compaesani al bar della piazzetta. - Non faceva più le sue passeggiate, come quando c'era ancora la moglie. Il figlio Carlo, invece, passa sempre di qui. Si ferma a fare colazione, spesso in compagnia dei due figli». Carlo lo incontro a Villa Boemia, dove si arriva attraverso una stradina non asfaltata nel cuore della campagna. La cascina è l'abitazione della famiglia e, insieme, la sede dell'azienda vinicola (sito internet dell'azienda www.liedholm.com) che padre e figlio hanno saputo far crescere in tutti questi anni. Al citofono il figlio di Nils è gentile. Quando gli dico che sono del Romanista mi apre volentieri il cancello, mi viene incontro e mi accompagna in casa. Entriamo. Nel grande ingresso la bara, di legno chiaro, già chiusa. «In Svezia - mi dice Carlo - non si usa allestire camere ardenti. E soprattutto, si chiude subito la cassa, perché si preferisce conservare il ricordo delle persone da vive. Piuttosto, la tradizione svedese vuole che i funerali vengano celebrati almeno una decina di giorni dopo da quando la persona scompare. E' un modo per sedimentare, quasi metabolizzare il dolore. In questo caso, abbiamo voluto mediare aspettando tre giorni, fino a giovedì, per celebrarli qui a Cuccaro». Una decisione, aggiunge Carlo, che consentirà anche a chi è molto lontano («So che in tanti verranno dalla Svezia - mi dice - dall'ex presidente dell'Uefa, Lennart Johansson, al figlio di Nordhal, amico di famiglia, oltre ad alcuni rappresentanti della federazione. Parenti no, perché non ne abbiamo più da quelle parti») di raggiungere questo piccolo paesino.Un luogo che Nils e la moglie, che lui adorava, scelsero nel 1973, l'anno in cui Liedholm approdò per la prima volta sulla panchina della Roma. «L'idea, inizialmente - spiega Carlo - era quella di acquistare una villa a Sanremo. Sembrava tutto fatto. Poi invece il venditore, che si era già impegnato verbalmente, ci ripensò. E allora, mia madre, che era piemontese, propose di rinunciare al mare per andare a stare in campagna. Quando l'acquistammo, questa casa, era in condizioni molto brutte. C'erano però i vigneti. Anche se l'azienda vinicola è nata soltanto qualche anno più tardi. All'inizio, infatti, ci limitatavamo a vendere le uve». Una passione, quella per i vini, che è andata crescendo negli anni. «Quando cominciammo, nel '77, commettemmo anche molti errori, come l'aver legato troppo il vino al calcio. Anche se lo spumante che realizzammo per lo scudetto della Roma aveva una sua ragione d'essere. Separate le due cose, l'azienda vive oggi di vita propria, viaggia per altri canali e ha assunto anche una risonanza a livello internazionale».Torniamo a Nils. Come ha vissuto suo padre questi ultimi mesi?«Dobbiamo tornare indietro di tre anni e mezzo. Il momento della svolta è stato la Pasqua del 2004. Mia madre era mancata il 9 febbraio e quel giorno, a metà aprile, eravamo in chiesa. Mio padre, forse per l'emozione o il caldo, ebbe una forte crisi cardiaca, qualcosa che colpisce soprattutto chi è stato atleta, come lui. Fu così che gli applicarono un pacemaker. Da allora, però, c'è stato un progressivo aggravarsi delle sue condizionie, soprattutto, i danni si sono man mano trasferiti anche a livello cerebrale. Da tempo era stabilmente su una sedia a rotelle. Non perché gli mancassero le forze, ma perché non aveva più il senso dell'equilibrio. Nelle ultime settimane, poi, era diminuita anche la sua lucidità e, gli ultimi giorni, aveva definitivamente perso conoscenza. Se n'è andato nella maniera più serena e indolore. Quasi passando dal sonno, senza accorgersene…».Un rapporto, quello con suo padre, che ha avuto tanti momenti di complicità, anche professionale. «Ho frequentato a Coverciano il corso come direttore sportivo, ma devo dire che spesso mio padre mi attribuiva meriti che erano innanzitutto suoi. Anche se è vero che gli suggerii, allora, di visionare Ancelotti e qualcun altro. Di sicuro, lui aveva una grande capacità nell'intravedere il campione. Qualche anno fa segnalò alla Roma un giocatore svedese che militava allora in serie B, nel Malmoe. Ma l'affare non andò in porto. Quando la società giallorossa si fece avanti per prenderlo - ma lui era già all'Ajax - il prezzo era diventato esorbitante. Quel giocatore era Ibrahimovic».Una vita ed una carriera professionale, quelle di Nils Liedholm, più o meno equamente divise tra Milano e Roma. Un'andata e ritorno a più riprese.«Lui è stato un tifoso del Milan, perché quando giochi in una squadra non puoi non rimanervi legato. Il suo cuore però, tenendo conto del calore dei tifosi, era rimasto a Roma, una città per la quale ha sempre avuto un amore unico».Si è parlato tanto del Liedholm scaramantico, una caratteristica così poco "nordica"…«E' vero, mio padre ha avuto un periodo in cui è stato molto scaramantico. In realtà, aveva soprattutto un grande interesse per l'astrologia. Qualcosa, peraltro, che oggi viene utilizzato, come metodo di selezione del personale, anche in tante aziende. Lui prediligeva soprattutto i giocatori dello Scorpione o della Bilancia, come lui. Non a caso, Falcao era quello nel quale si riconosceva di più. Lo stesso portamento, lo stesso incedere sul campo campo, a testa alta. Anche se mio padre era forse più potente fisicamente, mentre Falcao era più dotato sul piano tecnico».Come ha vissuto lei, Carlo, quegli anni romani? «Benissimo. Ero un ragazzo, negli anni 70 facevo il liceo classico. Credo che Roma sia la città che ricordo con maggiore affetto. Gli anni dal '79 all'84, poi, sono quelli a cui sono più legato. Erano gli anni del presidente Viola e, anche se si è vinto molto meno di quanto si sarebbe potuto, restano anni bellissimi. Io sono diventato allora un tifoso romanista. Negli anni in cui eravamo stati in altre città, da Monza a Verona e a Firenze, non andavo mai alle partite. La passione mi è nata invece a Roma, dove ero sempre allo stadio. Di quegli anni, resta anche, purtroppo, il ricordo di quell'ultima partita di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Un rammarico, una delusione, che hanno segnato a lungo anche mio padre».Che tornò però di nuovo a Roma, dall'87 all'89, e poi in quella parentesi di fine stagione nel '97, dopo l'esonero di Carlos Bianchi. E ancora, come consigliere della società, in anni più recenti.«Quest'ultima esperienza è stata per lui altrettanto importante. Aveva un bel rapporto con il presidente Sensi e tutta la sua famiglia. Stava bene a Roma. Veniva su, qui a Cuccaro, solo una volta ogni due-tre settimane, perché gli piaceva il ruolo che gli era stato ritagliato».Si è detto tanto dell'eredità che suo padre lascia dal punto di vista calcistico. A lei, qual è l'insegnamento che ha lasciato, sul piano umano?«L'esempio della sua vita. Mio padre era una persona dalla bontà d'animo straordinaria. Penso all'educazione e alla cortesia. Verso tutti. Ma non quella fine a se stessa… Credo che se vi fossero più modelli come lui, anche il calcio se ne gioverebbe…».