C'è solo l'A.S.Roma!

Grazie Barone per quest'ultimo gol!


L'aveva solo allenata, ieri ha segnato all'ultimo minuto: non c'è altra spiegazione, grazie del gol Barone. All'ultimo minuto giocando male, quando negli ultimi minuti questa squadra che sa giocare solo bene s'era fatta soltanto recuperare (e sempre 2-2). All'ultimo minuto con una doppia deviazione rimettendo in sesto quella che pareva ormai una maledizione. Ha segnato Lui, e c'è una spiegazione. Perché il destino a un certo punto s'era messo a scherzare coi nomi nella notte dedicata a lui. A Lisbona che inizia con la L come Liverpool, come Lecce, come tutto ciò che ha fatto male a questa storia, c'era un brasiliano che si chiamava Lied...son: radice identica, suffisso simile. Era la maledizione del gol di Laudrup mentre si perdeva col Lecce, della Lazio perché esiste. Quando morì Viola e Sebino Nela in campo piangeva, per il Pisa di Lucescu segnavano Larsen e Lucarelli. Sempre con la L. La sera di ieri era iniziata piena di tuoi segnali. Era iniziata che per Lied...son pareva finita: un contrasto di Juan sulla palla e sul collo della caviglia identico a quello con cui proprio Lied...son aveva messo fuori gioco (dal limite dell'area di rigore) Francesco Totti. Erano passati due minuti, due minuti ancora e Marco Cassetti, come Emidio Oddi a Berlino, aveva segnato solo perché era nato il giorno prima di quella finale: il 29 maggio. Come a dire: il futuro è ancora da scrivere, che significa sempre che il passato si può cambiare. Erano segnali scaramantici, tra l'esoterico e l'astrologico, un amuleto in tasca nel giaccone a due colori che per sbaglio una volta si mise un tuo giocatore (e ci trovò la pietra filosofale, altro che modernismi da Harry Potter); paradossi temporali, rebus da decifrare, violese in questa notte gillorossa e turchese, segnali che questa storia stava per cambiare (quella di Coppe e di Campioni s'intende, quella di chi è rimasto a quel 30 maggio 1984 e che ha un sogno soltanto in fondo al cuore, se è romanista: un giorno, una notte, e Carletto Ancelotti nostro alla festa di luglio scorso ha detto che succederà). Pareva il contrario perché tutto stava andando alla rovescia: se Cassetti in quell'azione sembrava Garrincha, quasi immediatamente dopo la Roma non pareva ma era, quella degli ultimi venti minuti di Empoli. C'erano altri segnali, Barone. Inquietanti. L'1-1 era l'impiccio fra un difensore e un portiere, come in quella notte di maggio, quando un rinvio troppo pieno di paura di Bonetti finì sulla testa di Tancredi: stamattina verrano a salutarti tutti. Verrà Brunetto, verrà il Bomber, verrà Carletto Ancelotti e tanti altri tuoi ragazzi, compreso Sebino se ce la farà a rientrare da Lisbona. Poi quel fantasma brasiliano dal nome paradossalmente svedese, sbucava da dietro all'improvviso, come il destino in questi giorni più brutti. Quando morì Viola ("In 12 anni hai dato tanto, ieri tutto" scrivevamo in Sud in quel Roma-Pisa 0-2 maledetto), Sebino Nela in quel campo piangeva, la Roma perdeva ma non poteva non farlo. Ieri a quel punto, da qualche posto, col Presidente e il Capitano (e non sono mai solo semplici scherzi le coincidenze, altrimenti il 30 maggio non si morirebbe) ti sei fatto giocatore. A Lisbona. Perché giocatore non c'avevi mai giocato con la Roma.Perché da Lisbona arrivò il tuo erede, si chiamava Sven Goran Eriksson, allenava il Benfica che s'era permesso di batterti, per giunta a primavera, e sembrava addirittura poter prendere anche il tuo posto in qualche cuore, invece è finito a vincere qualcosa (?!) con la Lazio. Da dimenticare. Dimenticato, completamente scordato. A Lisbona, perché lì c'era la tua gente che continuava a cantare, la Roma era in difficoltà, presa tra le polemiche di una vittoria sprecatissima in campionato e l'orrore di una quasi eliminazione troppo brutta, troppo in fretta, per poter essere vera. Si giocava male. Mancava il gioco oltre a Totti, Aquilani, Taddei, Panucci, Tonetto (terzo infortunio nella rifinitura dopo quello di Mexes a Parma e di Juan a Cesena con la Juve...), mancava il fiato e il domani faceva un'altra volta paura: polemiche, processi, morali a terra, vittorie obbligate in Ucraina dove pure a Napoleone è andata male. Cose grosse quindi. Questa Lisbon story sembrava finita, ma c'era la tua gente che aveva messo uno striscione: onore al Barone, e continuava a cantare. De Rossi durante il minuto di silenzio si era emozionato, anche se aveva soltanto un anno quando era successo tutto questo (quella notte di Coppe e di Campioni), Mancini guardava al cielo come quando va a segnare, anche se non ti ha mai visto allenare. Lui, Amantino, guardava il cielo e sapeva solo che c'è un suo connazionale che giocava con questa maglia e con il numero 5, che racconta che per lui, quando giocava, eri un padre. La Roma non riusciva a segnare e tutto era andato male: la maledizione di quel nome e di quella iniziale, ma poi hai segnato tu Barone perché ci stai tu adesso a cambiare le cose. Nils Liedholm, ultimo marcatore. Perché è chiaro che soltanto in un tuo paradosso questa Roma che stava giocando male poteva segnare.