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Platini si scusa dopo 22 anni. La Juve ancora no...


«Il calcio è bellissimo. Malati siamo noi, non il calcio. Io che esultai all'Heysel non finirò mai di sdebitarmi». A sostenerlo è Michel Platini, oggi presidente dell'Uefa. Una dichiarazione importante, rilasciata a chiusura dell'intervista realizzata da Roberto Beccantini e pubblicata ieri da La Stampa. Parole forti, quelle di Platini, che pure allora disse «quando al circo muore il trapezista, si fanno entrare i clown». Insomma, lo spettacolo doveva continuare, nonostante tutto. Anche se solo per motivi di ordine pubblico, come si disse allora. Parole che fecero forse inorridire qualcuno, ma non erano poi così lontane dalla realtà. Platini, quel giro di campo, insieme a qualche altro compagno, lo fece effettivamente. «E' vero - dice oggi Antonio Cabrini, anche lui quella sera in quell'assurdo e surreale Juventus-Liverpool - ma più per portare un segno di vicinanza ai nostri tifosi, che per esultare per la vittoria». Si poteva evitare? «Una cosa che avremmo potuto fare - continua l'ex terzino bianconero - e che ci venne in mente solo poi, perché in quei momenti non è certo facile mantenere la lucidità, sarebbe stata portare la coppa sotto la curva e posarla lì, come un mazzo di fiori con cui onorare chi era rimasto vittima di quell'atrocità».Trentanove i morti quella sera in quel settore Z dello stadio di Bruxelles. Trentanove tifosi rimasti schiacciati sotto il peso della curva che veniva giù. Con gli inglesi, ubriachi, che premevano, e gli italiani che si ammassavano l'uno sull'altro, senza vie di fuga. «Uno stadio vecchio, fatiscente - ricorda Zibì Boniek - e che dovrebbe ancora insegnarci molto. Anche se non vedo, qui in Italia, l'interesse a costruire stadi diversi e investire in nuove infrastrutture». Zibì ricorda ancora: «Un'esperienza terribile. In cui ci trovammo a giocare perché costretti e non perché volessimo. Basti dire che in campo c'erano già l'arbitro e la squadra del Liverpool, mentre noi eravamo ancora negli spogliatoi». Si disse che i giocatori non sapevano. «Non è vero. Tutte balle quelle secondo cui lo scoprimmo solo l'indomani. Meglio, non conoscevamo il numero esatto delle vittime, ma sapevamo certamente che era venuta giù una struttura e che c'erano stati dei morti». Una questione ancora controversa. Sergio Brio, e con lui altri compagni di allora, da Paolo Rossi a Luciano Favero e a Stefano Tacconi, dicono in coro che: «la notizia arrivata negli spogliatoi parlava di un solo morto e qualche ferito». «Anche se questo, ovviamente, non giustificava comunque eventuali festeggiamenti» ribadisce Cabrini. «Personalmente, non mi sono mai vantato di aver vinto quella competizione - continua Zibì - Quanto alla partita, che pure è stata la mia ultima con la maglia bianconera, la giocammo per davvero. Una volta scesi in campo, del resto, non avevamo altra scelta. Anche perché se avessimo perso, ci avrebbero accusato di non aver onorato i morti, così come ci hanno rimproverato di gioire per aver vinto. Penso anche di non dovermi sdebitare con nessuno. Capisco Michel, che è un uomo intelligente e che, per il ruolo che ricopre oggi, è giusto che dica questo. Anche se dopo ventidue anni. Io posso dire di aver rinunciato, dopo due giorni, al premio partita di 100 milioni di lire di allora, che chiesi di girare ad un fondo creato per le vittime». Anche Boniek conferma che «non fu esultanza, quella, ma rabbia, che avevamo dentro. Io partii subito dopo la gara, perché l'indomani dovevo giocare in Albania, con la mia nazionale. Arrivai a Tirana alle 5 del mattino. A mezzogiorno andai in campo e vincemmo 1-0 con un mio gol. Per dire di quanto ero carico…».«Purtroppo è vero che quella sera ci furono forse delle espressioni di gioia, che mal si inserivano in quel contesto» ripete Cabrini. Ma veramente non eravamo al corrente di cosa fosse realmente successo. Sapevamo di grossi problemi nei due settori, contigui, occupati da italiani e inglesi, ma non più di questo. Giocammo perché costretti. Ci spiegarono che sarebbe stato peggio non farlo. E ancora oggi sono convinto che quella sia stata la scelta più giusta». Una partita che, a molti, sembrò quasi "finta". E, almeno in parte, orientata dall'arbitro, lo svizzero Deina, per dare la vittoria alla Juventus: «No. Una volta in campo, fu partita vera, anche se il rigore onestamente non c'era, il fallo era fuori area. Ma l'arbitro era vicino a me, a metà campo, molto distante dall'azione, e ci sta che non abbia visto bene».La frase di Platini ha certamente pochi precedenti. «Ricordo che già Tardelli - dice ancora Cabrini - disse qualcosa del genere un paio d'anni fa, in un'intervista televisiva. Si scusava, insomma, per quell'esultanza, aggiungendo però, anche lui, che non sapeva…». Quanto quella partita pesi ancora nel ricordo di chi la giocò lo conferma Tacconi, che quella sera parò di tutto e di più: «Basti dire che è stata la partita più importante della mia vita, forse la mia migliore in assoluto. Eppure, ancora oggi non posso raccontarla…».