C'è solo l'A.S.Roma!

E Amantino se ne và...


Forse quel rigore poteva cambiare anche la sua di stagione: era stato lui, spostando il pallone un attimo prima dell'intervento scomposto di Wes Brown, sotto gli occhi nel norvegese Ovrebo, bravissimo a cogliere quello che a una prima impressione non era poi così lampante, a mandare Daniele De Rossi sul dischetto quando c'era ancora tutto il tempo per cercare un raddoppio che avrebbe mandato la Roma nella storia della Champions League. Quel rigore sarebbe stato fondamentale, solo che a conti fatti, è stato il suo unico contributo in una partita in cui serviva l'impresa, e per l'impresa non basta un solo lampo, fosse stato pure quello che ha mandato al cinema Reveillere, lo scorso anno a Lione. Troppo spesso, nella sua storia romanista, iniziata cinque anni fa, quando si presentò a Trigoria dopo aver fatto la riserva al Venezia in B, l'esterno di Belo Horizonte ha dato l'impressione di accontentarsi del lampo, della giocata da applausi senza metterci tutto il resto, la continuità, la rabbia agonistica, e la cattiveria necessaria per salire l'ultimo gradino, quello da campione a fuoriclasse. Non lo ha ancora salito, e ora, a 28 anni (li farà a fine campionato), c'è il concreto rischio che non faccia più in tempo. È per questo, oltre che per problemi di soldi e contratto, che la sua parentesi in giallorosso potrebbe concludersi già quest'estate, con un anno di anticipo sulla scadenza di un contratto che qualche mese fa si è cercato in tutti i modi di prolungare. Senza successo, e ora è tutto più complicato. Le trattative sono ferme, ormai da qualche mese, le parti si rivedranno solamente a fine campionato, con tutto che Gilmar Veloz, il suo agente, sta in Italia un mese si e l'altro pure, per seguire l'altro assistito di lusso, Alexander Pato. E a fine campionato rischia di essere troppo tardi per impostare un rinnovo, quando il brasiliano potrebbe andarsene all'estero anche sfruttando la clausola Fifa. Ci sarebbe da appianare una certa distanza sulle cifre: al momento prende 2,9 milioni di euro (lordi) a stagione, l'anno prossimo salirebbe a 3,2. A settembre la Roma era arrivata a due milioni e mezzo netti più una lunga serie di premi legati a rendimento e obiettivi, pareggiando di fatto il tetto salariale voluto dai Sensi, che verrà infranto presto, ma solo per il contratto di Daniele De Rossi. Mancini non è De Rossi, il problema è che lui non se ne rende conto, e neppure Veloz. In estate le offerte erano arrivate, e ben superiori a quelle della Roma: il Lione, destinazione considerata poco affascinante, il Liverpool, appena qualificato per la semifinale di Champions, con tutto quello che ne consegue, sul piano economico e non solo, e l'Inter, su esplicita richiesta del Mancini di Jesi. Con l'eventuale nuova proprietà americana il tetto salariale potrebbe cadere, circostanza che potrebbe favorire la permanenza a Roma del brasiliano. Solo che nel frattempo Mancini non è che stia facendo molto per farsi rimpiangere: non segna dal 19 febbraio, gara di andata con il Real Madrid, non salta l'uomo, non riesce più ad essere decisivo, come dovrebbe essere uno che chiede certe cifre. E non è detto che nel budget di un eventuale futuro proprietario sia compresa anche la parte necessaria per rinnovare il suo contratto. Del resto, che a Spalletti piaccia Di Natale, che gioca nel suo stesso ruolo, è cosa nota da mesi. Ieri Pietro Leonardi, direttore sportivo dell'Udinese, parlando a Teleradiostereo ha smentito la sua cessione. «Di Natale alla Roma non esiste: Antonio all'Udinese ha riportato l'entusiasmo dei tempi di Zico. Non lo cediamo, lo abbiamo detto chiaramente più volte». Ma un incedibile nella storia dell'Udinese non c'è mai stato.