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Bencivenga: "Quel ruolo gliel'ho dato io!"


Bencivenga, ex tecnico della Primavera: «Era più indietro degli altri, non sapeva neppure lui qual era la sua posizione ideale»
Donadoni, se De Rossi non avesse fatto le partite che ha fatto con Romania e Francia, sarebbe un tecnico disoccupato, Mauro Bencivenga, con tutto che De Rossi ha fatto le partite che ha fatto, è disoccupato lo stesso. Solo che, mentre Donadoni ha sempre la possibilità di riciclarsi in qualche ruolo nello staff tecnico del Milan, il rapporto di Bencivenga con la Roma si è interrotto nel 2005, dopo dodici anni. Alla Roma e alla Nazionale l'ex tecnico della Primavera giallorossa ha regalato il Daniele De Rossi che conosciamo, trasformando una riserva degli Allievi Regionali nel centrocampista del futuro del calcio italiano. «Davanti alla difesa è già il più forte del mondo, non c'è nessuno che regga il confronto. Anche se - ammette il tecnico - a dire il vero neppure io pensavo che potesse arrivare così in alto, con tutto che si vedeva che aveva talento, che era un bel giocatore, e che poteva arrivare in serie A». Lo ha avuto a disposizione per la prima volta nel campionato 1999-00, negli Allievi Nazionali, che giocarono con lo scudetto sul petto: l'anno prima lo vinsero gli '82, Lanzaro, D'Agostino, Amelia e gli altri, gli unici due '83 aggregati sotto età erano Bovo e Pepe. De Rossi no, lui stava con gli Allievi Regionali di Guido Ugolotti, e neppure giocava.«Io lo seguivo perché ero amico del padre, Alberto, che allenava quelli più piccoli, sapevo che non giocava e mi dispiaceva sul piano personale, anche se ovviamente non interferivo. L'anno dopo ho preso l'annata degli '83, e me lo sono ritrovato a disposizione. Non era né carne né pesce, non aveva neppure un ruolo ben definito: certe volte giocava esterno, o centrocampista offensivo, certe volte attaccante, se glielo chiedevi non lo sapeva neppure lui dove rendeva al meglio. All'inizio era molto indietro rispetto agli altri, poi ha iniziato a giocare. Da centrocampista centrale: noi facevamo un 3-5-2 in cui i centrali erano messi quasi a triangolo, uno davanti alla difesa, e due più avanti, in linea con gli esterni. De Rossi era uno dei due, in coppia con Christian Scarlato, come mediano giocava Fabio Tinazzi, che all'epoca era più pronto di lui. Ma il carattere è sempre stato il suo punto di forza, ed ha fatto i miglioramenti che conosciamo». E così l'anno successivo, in Primavera, De Rossi ha giocato tutto il campionato da titolare, davanti alla difesa, rompendo le trame degli avversari, dietro una linea di centrocampo in cui giocava anche Gaetano D'Agostino, fortissimo in tutto, tranne che in fase di filtro. Ci pensava De Rossi, che in quella stagione entrò definitivamente nel giro della prima squadra, ricevendo, per la trasferta di Firenze, la prima convocazione da Fabio Capello. Che l'anno dopo si prese pure Bencivenga, come collaboratore tecnico, dopo che la società non lo aveva confermato come tecnico della Primavera, preferendogli Ugolotti.«Forse noi che venivamo dal settore giovanile eravamo più portati a dare giudizi positivi sui nostri ragazzi, De Rossi e gli altri, Capello mi sfotteva per questo. Sono rimasto a disposizione della prima squadra fino al 2005, lavorando anche con Pradelli, una persona meravigliosa, lui, Pin, e tutto il suo staff. Poi Spalletti si è portato i suoi collaboratori, io sono andato anche in Albania, a fare il secondo di Leonardo Menichini, due anni fa stavo al Pomezia in Eccellenza. Non stavo simpatico ai senatori, facevo giocare chi dicevo io, i giovani, quelli più in forma, mi hanno fatto la guerra, mandami via a marzo, con la squadra prima in classifica. Loro hanno mancato la promozione, chiudendo al quinto o al sesto posto, e io sono disoccupato». Destino curioso, per un tecnico che il leader del centrocampo della nazionale ha sempre considerato un suo maestro. «L'ultima volta che l'ho sentito è stato dopo quell'intervista in cui mi ha accostato a Capello, Spalletti e Lippi, tra i tecnici più importanti della sua carriera. Una cosa da brividi, e quando l'ho chiamato per ringraziarlo mi ha detto che era lui che doveva ringraziare me. L'ho incontrato per l'ultima volta al suo matrimonio, non mi andava di chiamarlo dopo il gol con la Francia, i giocatori quando stanno in ritiro vanno lasciati tranquilli. Ma ho sentito proprio questa mattina (ieri, ndr) suo padre, Alberto, gli ho detto di dare un abbraccio a lui e a Cassano. Un altro con cui avevo stabilito un rapporto molto bello e molto forte quando stava alla Roma».