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L'ultimo eroe romano e romanista


Una pagina web completamente nera a fare da sfondo con la scritta bianca "Addio Presidente". Si presenta così il sito internet della Roma, il giorno dopo la morte del presidente giallorosso Franco Sensi, spentosi ieri a 82 anni al Policlinico Gemelli. Il canale tematico della Roma ha sospeso le trasmissioni. In onda una foto del presidente Sensi con la frase: "Roma Channel si unisce al dolore della famiglia per la scomparsa del presidente Franco Sensi".Se ne è andato così come ha vissuto. Combattendo a denti stretti e senza paura, una battaglia impossibile da vincere. La sua ultima battaglia. La più difficile, la più importante. Franco Sensi ci ha lasciato così, alle 23.35 di una giornata normale. Una giornata che sarebbe stata ricordata solo come la vigilia dell'arrivo di Julio Baptista a Roma. Il suo ultimo regalo ai tifosi.E se ne è andato soffrendo come un Gesù Cristo dalle braccia spalancate che, anche alla fine del suo calvario, non ha potuto fare a meno di circondare d'amore giallorosso tutta la sua gente.In un ultimo gesto d'amore, con lo slancio furente e rabbioso di uno che ancora non se ne poteva andare, che ancora doveva dire e fare qualcosa per quella sua creatura tanto amata. Per quella Roma che ha fortemente voluto e portato, unico nel dopoguerra, ad uno scudetto scritto con i record. Perché uno come lui, con un carattere "contro", poteva vincere solo così, costruendo una squadra capace di essere più forte persino delle "sviste" degli arbitri e degli odi di un Palazzo che lo amava alla stregua di quanto noi abbiamo amato ed amiamo un sistema-calcio che premia solo i poteri forti e le sottoculture economiche. Ovvero tutto ciò che il Presidente aveva deciso di combattere a proprie spese economiche e fisiche, per riportare il calcio italiano a quella dignità che perduta, che nemmeno dopo Calciopoli era riuscito a partorire, troppo schiavo dei nuovi poteri a strisce verticali controllati da economie petrolifero-telefoniche.Il Cavalier Franco Sensi aveva compiuto 82 anni il 29 luglio. E da tempo era malato. Quelli bravi e noiosi diranno che si portava dietro un male che non perdona. Quelli che lo amavano e basta, invece, scriveranno che l'unico dolore che si portava dietro non era il male che lo consumava, ma la rabbia di non avere più la forza fisica per continuare a combattere in prima linea quel sistema marcio alla radice che lui avrebbe voluto cambiare definitivamente. Quel sistema a cui molti, anche all'interno del suo gruppo, si sono assoggettati e che hanno portato molti giornalisti (in questo caso il sostantivo è un abuso), anche romani, ad attaccarlo, negando la realtà evidente di un sistema truccato più del viso di un presidente del consiglio e venuto alla luce solo grazie ad una serie di intercettazioni telefoniche incontrovertibili. Giornalisti che, con i loro articoli a difesa di un sistema, hanno dimostrato come in Italia un tesserino non si neghi a nessuno, tranne a quelli bravi. E che hanno dato prova di come una mano armata di penna, potesse fare una guerra a colpi di inchiostro proprio contro chi i giornalisti vigliacchi li faceva scappare da Trigoria. Ed erano anche gli stessi giornalisti che avevano scelto di scagliarsi con le truppe pennivendole della "Brigata Tengo Famiglia", proprio contro quel simbolo vivente che rischiava di far naufragare un impianto strutturato ad uso e consumo di una sinarchia sportiva. Quel Franco Sensi che, con i suoi affondi mirati, cercava di portare alla luce le distorsioni di un sistema che piaceva solo a chi ne traeva un profitto, facendo storcere il naso a chi, quel sistema, piaceva. Dove non arrivava l'avvocatura giornalistica del potere lombardo-piemontese (con qualche spruzzatina di biancazzurro laziale, qua e la), arrivavano le trame di Palazzo, innescate dal suo Presidente tramite il ricorso sistematico alla sanzione economica ed alla inibizione.Quando il 13 ottobre del 2002, durante una delle sue rare partecipazioni a Controcampo, circondato da un pubblico ululante avvolto in colori rossobianconerazzurri, definì Galliani come un Presidente che pensava solo a "…combattere le sue battaglie personali…" diede inizio ad una guerra uno-contro-tutti, che poteva avere solo un esito scontato. Anche quando quell'uno-contro-tutti divenne un tre-contro-tutti, con Totti e Baldini che si unirono al loro presidente in una guerra combattuta da pochi ribelli contro un esercito bene organizzato ed armato alla difesa del Sistema. Lui no. Lui non era così. Lui questo Sistema lo combatteva. Ed ha pagato un prezzo personale altissimo, fatto di dolori, rabbia, emarginazione e delusione. Tanta delusione per essere stato abbandonato da tutti, meno che dai suoi "figli". Figli che dalla Curva urlavano il suo nome. Figli che dal campo giocavano e vincevano per correre ad esultare da lui. Almeno fino a che gli è stato concesso di farlo. "Vinceremo lo scudetto se ce lo faranno vincere", disse. E non glielo concessero più. Decisero che la sua Roma doveva sistematicamente giocare "…11 contro 14", come disse Totti, il suo figlio maschio, dopo un Roma-Juve del 2005. Decisero che i suoi figli più belli, in campo e in curva, dovevano "rosicare" per un campionato che era loro fino a mezz'ora dalla fine. Che dovevano piangere lacrime di rabbia sapendo di aver perso pur essendo più forti. Sapevano che così avrebbero annientato le resistenze dell'uomo. Ma quello che non sapevano, era che ne avrebbero fatto un simbolo. Un simbolo d'amore e lotta contro il potere prepotente di una associazione a delinquere, come la definì lui stesso. Un simbolo nato uomo e diventato storia. Storia colorata di giallo e di rosso. Simbolo nato uomo e diventato fiore. Il fiore più bello. E Franco Sensi lo è stato.Un simbolo, un pezzo di storia, un uomo ed un padre.Per tutti. Ad iniziare da quelle figlie che ha cresciuto con in testa l'amore per la Roma e che ha spinto a dirigere nel momento in cui a lui non gli era più concesso.Ti saluto Franco. Ed ora che andrai a sederti in quella Tribuna Paradiso piena di tanti romanisti come te, non perdere la voglia di lottare ancora. Siediti accanto al Presidente Viola e ad Agostino e, se puoi, mettici una buona parola con chi sai tu.E ricordati sempre che noi ti abbiamo amato. Tanto. Sempre.