C'è solo l'A.S.Roma!

Chiamiamola Coppa Moratti!


di Stefano Petrucci, Il Romanista Ora che tutto è finito, resta ancora più difficile far sbollire l'incazzatura. La partita l'avete vista, sapete tutto. Sapete anche che, ora, ci sarà chi canterà la resurrezione interista, la rinascita di Adriano, la spietata concretezza di Ibrahimovic. Noi, invece, cantiamo solo la rabbia contro lo schifo di Orsato, anzi contro l'Orsato di Schifo e tutto quello che l'ennesimo arbitro inguardabile incarna, all'interno di un sistema non da rifondare, ma possibilmente da azzerare del tutto. Stabilito che la formula della Coppa Italia elaborata dai cervelloni della Lega, poveri noi, fa schifo almeno quanto Orsato, perché non cambiarle anche il nome? Perché, ad esempio, non chiamarla direttamente Coppa Inter oppure, riecheggiando il ricco triangolare intitolato a Berlusconi, trofeo Moratti? Per carità, a leggere il tabellone sapientemente studiato per quest'obbrobrio di torneo anche i meno avvertiti si saranno resi conto da tempo che il sogno palese degli organizzatori era quello di confezionare una bella finale Inter-Juventus. Antonio Matarrese, bontà sua, l'ha quasi ammesso, spiegando con la consueta leggerezza che si era fatto in modo di evitare la ripetizione del confronto finale tra Inter e Roma. L'ennesima puntata della sfida infinita stavolta si è consumata in effetti nei quarti, novanta minuti secchi salvo appendici, ma a evadere senza troppi scossoni la pratica ha provveduto con puntualità la banda Collina-Gussoni, incarnata ieri notte dall'orrida quaterna guidata da Orsato. Sta di fatto che sull'erba fradicia di San Siro, come già un anno fa in campionato, auspice Javiér Rosetti, non ha vinto la squadra che ha giocato meglio, ma la più protetta, la più sostenuta, la più incoraggiata dai fischi per fiaschi del signore chiamato sulla carta a far rispettare il regolamento. Era netto il fallo da rigore di Burdisso su Vucinic, vera svolta del match: fosse stato concesso, come doveva, quanto meno l'Inter non sarebbe passata sull'1-0 sull'immediato rilancio dell'azione. Ed erano altrettanto netti i fuorigioco di Samuel, che ha invece potuto incornare indisturbato a pochi metri dal guardalinee Pirondini, e di Maicon, avanti a tutti sulla traiettoria della respinta di Artur, nella fasullissima percussione che ha innescato il nuovo, decisivo vantaggio interista. Ha sbagliato anche la Roma, per carità. Dormita collettiva della difesa - Juan e soprattutto Riise a russare più degli altri - sul gol di Adriano, lanciato a rete addirittura da un lungo rilancio di Toldo; nessuna reattività sulla ribattuta di Ibrahimovic per il 2-1, dopo la grande opposizione di Artur allo stacco di Samuel. E, ad essere pignoli e severi fino in fondo, qualche mollezza di troppo anche in attacco, consueta sfiga nei rimpalli a parte, laddove sarebbe magari servita qualche bastonata in più, piuttosto che i tocchi di fioretto cui tendono a indulgere sempre Vucinic e soci. Ma non c'è confronto, siamo seri, tra il peso degli errori della splendida pattuglia di Spalletti, a lungo padroni assoluti del campo, e quelli commessi impunemente da Orsato e dai suoi orridi collaboratori. Sono stati loro, molto più di Adriano e Ibrahimovic, che ora qualcuno celebrerà come eroi della prima vittoria nerazzurra nel 2009, a spalancare di fatto ai milionarios di Moratti l'autostrada verso la finale del 13 maggio, nel nostro Olimpico (in semifinale troveranno la Samp, capirai!). Diamo così addio alla stella d'argento, almeno per quest'anno. Ma lasciamo il torneo di cui ci sentivamo legittimamente padroni con più rabbia che rimpianto. Pensiamo al campionato, alla durissima trasferta di Napoli, agli ottavi di Champions che cominciano a profilarsi all'orizzonte. Ma pensiamo anche a difendere i nostri diritti, la qualità della nostra squadra, l'orgoglio dei tifosi che pure ieri hanno fatto sentire con forza la loro voce, nella tana semideserta della squadra che ci ha già beffati senza merito nella volata-scudetto di pochi mesi fa. Ci pensi Rosella Sensi, urlando in pubblico come avrebbe fatto suo padre Franco o semplicemente sussurrando la sua doverosa protesta nella stanza dei bottoni, che può frequentare di diritto - non dimentichiamolo mai - quale vice presidente vicario della stessa Lega che ha costruito la buffonata della Coppa Inter prima e quella di ieri sera poi. Di qui a fine stagione ci sono altri traguardi da inseguire, alcuni addirittura fondamentali per il nostro futuro: vorremmo tanto provare a centrarli senza trovarci altri Orsato tra i piedi.