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La tecnologia accorcia le distanze


Cena da cerimonia al ristorante. Seduta al mio stesso tavolo c'è una famiglia che non conosco: lei una "bambina" quasi adolescente con lo sguardo fisso sul cellulare mentre passa da facebook a instagram ad altri social da me sconosciuti. Il padre un tipo che non sta quasi mai seduto perché tra un boccone e l'altro gli squilla il cellulare e abbandona puntualmente i commensali per andare a rispondere. Poi c'è l'altro figlio, un bambino di otto anni che viene imboccato dalla madre mentre gioca al tablet e che quando dice che ha sete, si ritrova subito il bicchiere alla bocca. Infine c'è questa donna, che nei momenti di pausa nel cibare il pargolo, vaga tra stati whatsapp e la selezione di foto da cancellare perché suo figlio prima si è lagnato che non c'era abbastanza memoria per scaricare un gioco nuovo.Ora, ognuno è libero di fare quello che vuole (anche se magari in alcune circostanze è anche un po' irrispettoso) e di educare i propri figli come gli pare e piace, ma la cosa che davvero mi rattrista è il fatto che se ora mi chiedessero che voce avessero quelle quattro persone o semplicemente di che colore fossero i loro occhi, io non saprei che cosa dire.Abbiamo condiviso lo stesso spazio fisico per un bel po' di ore, ma oltre a quello non c'è stato nessun altro tipo di scambio. Solo tocchi su di uno schermo, risate con qualcuno dall'altro lato del telefono e vita virtuale. Quasi nessun contatto con ciò che c'era attorno, con quello che succedeva ad un palmo da loro, nessun interesse per la vita che gli scorreva accanto, quella vera. Starci senza esserci, corpo senza mente, presenza senza scambio.E' totale estraniazione. E in che altro modo, se non questo, potrebbe essere definito l'essere e il continuare a sentirsi estranei anche in mezzo a così tanta gente?