Cet

Quanno Chiove


  Apparentemente non fa niente. Ha un altro spazio vuoto da riempire e ci gira in tondo come se stesse preparandosi a far qualcosa e chissà che e facesse degli esercizi rituali e meditativi per approcciarsi. Sono i soliti riti propiziatori che gli appartengono. Prima non erano questi i gesti. Li ha acquisiti con fossero un senso di colpa da espiare che mano a mano si è spogliato della colpa di esistere nella semplicissima gratitudine verso se stesso di essere incapace di fare a meno dell’apprezzabile solitudine di un uomo nato in un freddo carruggio tra case di allora, del tempo che fu, e quello del dopo guerra e, poco più in basso, il porto e il mare. Sapeva tutto questo, conosceva perfettamente  i dettagli e aveva coscienza che Elisabetta non c’era più. Lui non era più solo in una piccola casa con una scala interna di metallo che portava lassù dove le palpebre non si abbassavano mai. Aveva guardato Camilla dormire; aveva adagiato  la penna. Si era alzato e l’aveva baciata sulla guancia. Dormiva e ha aperto gli occhi per sorridergli e accarezzargli i suoi ani di figlio e di compagno amorosamente infedele. Pensava ad una scrittrice, poi le venne in mente un verso di una canzone dal titolo Chi tene o ‘mare. “Chi tene ‘o mare è fess e contento. Chi tene ‘o mare nu tene niente”.