Pegaso

UN MIO RACCONTO


LA SUA MUSICAprima parte
*Lui c’era nato, in quel piccolo paese, stretto fra le sassose colline regno di possenti querce da sughero ed il mare; dove le antiche case facevano da corona alla piazza nella quale si riunivano a riposare gli anziani uomini, al riparo sotto i rami del gigantesco leccio dalla corteccia ruvida e scura; scura come gli abiti delle donne che attendevano il ritorno dei loro uomini. Restavano immobili sul piccolo molo silenziose e severe strette nei loro neri abiti quasi monacali; senza mai staccare lo sguardo dalla grigia linea dell’orizzonte. Poi, quasi in processione, andavano in chiesa a rendere grazia per il ritorno in porto delle barche a San Pietro, che fu pescatore e conosceva la fatica dell’issare le reti con la speranza di trovarle piene di pesci d’argento.Poco dopo che le campane della chiesa battevano i dodici rintocchi il portone della scuola s’apriva e gli scolari con i loro grembiulini bianchi o neri uscivano allegri e vocianti, disperdosi lungo le stradine lastricate in liscia pietra grigia di quel paesino dove il tempo sembrava si fosse arrestato; le strade erano quasi tutte troppo anguste per consentire il passaggio delle automobili e così la pace la faceva da padrona. Strade odorose di pane appena sfornato e di cibi preparati con amore da chi sapeva che condividere il cibo non serviva a nutrire solo il corpoI bambini nelle calde ore pomeridiane si riunivano a giocare nella piazza, sotto lo sguardo vigile ma discreto delle nonne intente nei loro lavori di ricamo mentre ricordavano i tempi lontani quando regna la gioventù e la vita era ancora una strada tutta da percorrere.Nell’aria si spandeva l’odore del mare, che s’univa a quello del mirto e del rosmarino, il profumo di quel piccolo paese, unico dolce amato ed indimenticabile come quello della mamma; profumo che rimane nel cuore sino all’ultimo battere del cuore.Era un bambino tranquillo e riflessivo, in cuor suo sentiva che non era destinato a vivere come i suoi fratelli sul peschereccio di famiglia; viveva una occulta inquietudine, sentiva che il suo animo era portato ad un qualcosa che non riusciva a decifrare, un abbozzo di futuro non ancora delineatoAveva una fervida immaginazione; il suo gioco preferito era quello con una piccolo pianoforte, in quei tasti di legno bianchi e neri c’era tutto il suo piccolo mondo segreto, era pieno di suoni, suoni che diventavano musica. Lui vedeva la musica, e riusciva a infondere tanta passione quando suonava che rendeva visibili i suoi sentimenti; ed allora le bianche lenzuola stese ad asciugare diventavano vele gonfie di vento di un veliero candido che solcava silenzioso l’oceano del cielo, trasportando sulle ali del vento le emozioni.Spesso i bambini salivano lungo la stradina che si snoda sino al faro; sino alla piazzola a strapiombo sulla scogliera, dove, circondata da ginestre mirti e roseti sorgeva un austera villa in pietra, sormontata da una snella torretta che dominava l’orizzonte; era l’ultima casa del paese da li lo sguardo si perdeva lontano verso ovest sin dove mare e cielo si fondono.Da lassù si vedevano passare le navi che partivano dal porto della caotica città che sorgeva vicina dal tranquillo paese eppure sembrava distante anni luce; lui sognava di salire su una di quelle navi a girare per il mondo, inseguendo il suo sogno.La suo migliore amico era in realtà una bambina, con grandi lunghe nere trecce, strette da vezzosi fiocchi di seta rosso fuoco, e dai grandi occhi neri. Trascorrevano tutto il tempo libero assieme, a pescare tra gli scogli o a cacciadi piccoli granghi; ridendo e facendosi teneri dispetti.Trascorsero gli anni, come le  rondini abbandonano il nido, giunse anche per i bambini il tempo di abbandonare i banchi della scuole per intraprendere il cammino della vita ; il suo sentiero lo portò ad abbandonare il paese natale per trasferirsi in città a studiare pianoforte; interminabili giornate alla tastiera con le dita che facevano male a ripetere lunghi interminabili esercizi, con gli occhi che di nascosto cercavano fuori dalla finestra l’abbagliante luce del mare, ma quella luce era nascosta da alti anonimi palazzi, ribassava gli occhi concentrandosi sui tasti bianchi e neri.Il suo paese era lontano un ora di macchina, ma quella strada la percorreva raramente, solo per le vacanze e qualche raro fine settimana, preferiva rimanere in compagnia del pianoforte, accarezzando con dita sempre più agili la tastiera a viaggiare con la fantasia.  Mercoledì la seconda parte di un racconto d'amore 
racconto di Gaiaimmagini prelevate dal Web