Sgosh!

I FATTI MIEI? MAI!


L'idea di viaggiare in treno mi piace molto. Evito lo stress del traffico, il consumo di benzina che mi dissangua, l'ansia da "oddio dove posso trovare un bagno". Tutte cose che minano assai la mia condizione psicologica già precaria.Nella realtà, il viaggio tranquillo e beato dei miei sogni rimane, appunto, un'idea. Una chimera. Un'utopia, maledizione! Ogni santa volta salgo tronfia di speranza, localizzo il posto ideale, estraggo il mio libro dalla borsa e alla seconda riga arriva, puntuale come l'herpes, lo stracciabudella. Inevitabile come il ritardo dei treni e molto più fastidioso delle tante pulci scarrozzate da Trenitalia. Non si spiega perché, tra l'altro, con i tanti posti disponibili capitino proprio tutti vicino a me. O sono baciata dalla sfortuna, o il mondo è pieno di rompiballe.Se non è il tizio logorroico che al primo accenno di cordialità (un vago sorriso quando mi chiede se il posto è libero, che cela il desiderio di defenestrarlo) si produce in una viva e accorata autobiografia, interessante quanto l'estrazione dei numeri del lotto per una persona che non ha giocato, è l'immancabile persona al cellulare. Non capita mai che una chiamata si concluda con un "dai, sono in treno, ti richiamo tra un po'", giammai!! La telefonata in genere dura tutto il viaggio e non tralascia nessuna sfera personale.E' così che vengo a conoscenza di fatti più o meno raccapriccianti della vita delle persone. Inutile opporsi, perché queste persone urlano e sovrastano la mia capacità di concentrazione nella lettura. Urlano che la Sharon si mette solo con ragazzi che indossano scarpe di marca (ditele per favore di smettere, bisogna che almeno almeno controlli il calzino), che il loro ultimo cellulare è finito nel wc e ha - inspiegabilmente - smesso di funzionare, che detestano essere chiamati per nome dal proprio interlocutore, che avranno il ciclo mestruale di lì a poco, etc.Giovedì seguivo le gesta di Papillon durante la sua ultima evasione. Era lì, mezzo morto nell'acqua da 30 ore, quando si siede accanto a me una ragazzina devastata dai piercing. Si porta il telefono all'orecchio e comincia la sua telefonata. "Oh, eccomi. Scusami, ho preferito aspettare di essere in treno per parlare. Sai, è una cosa un po' delicata".  Come ho fatto a non pensarci? Uno scompartimento pieno di gente è il luogo ideale per iniziare una conversazione con l'ammiratore di turno. Ventisette anni, e ancora non ho capito niente. Riprendo a soffrire con Papillon cercando di contrastare l'incessante blabla all'orecchio, quando mi giunge il programma del weekend: "domani sera si balla rock, poi la mattina dopo si prende il treno per andare alla festa a Bologna, e pensa un po', dopo partiamo subito e ce ne andiamo tutti a Padova... domenica poi non faccio niente, perché sai la scuola... che figata, vero?". A parte che io un programma del genere lo preferisco solo alla mutilazione, e allora capisco che sono irrimediabilmente vecchia dentro, ma vorrei dire solo una cosa: chissenefrega. Della Sharon, dei weekend altrui, delle questioni amorose del resto del mondo, chissenefrega! Una volta ho espresso il desiderio di smettere di ascoltare le faccende altrui e di poter finalmente ignorare la vita del mio vicino. Il destino mi accontenta immediatamente e mi manda un extracomunitario, il quale, avendo la certezza che non capirò mai quello che dice, comincia a chiamare tutte le generazioni di parenti viventi e a conversare nella sua lingua ad un volume a stento sopportabile. Ben mi sta.