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Gerardo di Fiore “PARNASSUS”


“Un sogno infantile”di Aurelio De RosePresso la “Franco Riccardo Artivisive”, in Piazzetta Nilo 7, si è inaugurata ieri giovedì 28 aprile la personale di Gerardo Di Fiore. “Parnassus” è il titolo che sintetizza questo evento. Ma quale significato ha voluto dare Di Fiore, che è stato titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli, a questa intitolazione? Leggiamolo. Parnassus è indubbiamente una “ispirazione poetica” e da essa ne derivano la totalità delle opere realizzate per questa personale ad eccezione delle riproposizioni sia del “Il riposo di Bacco” del 2006 che di “Oxigen” del 2003. E’ questo evento, una sorta di narrazione immaginifica, della quale Di Fiore, assumendo la veste di quel personaggio fiabesco del quale accenneremo dopo, spettacolarizza un infantile sogno poetico e surreale, immaginando e quindi particolarmente concretizzando, un personale globalizzato “Père-Lachaise” (il cimitero francese che raccoglie le spoglie dei massimi esponenti della cultura di quella terra). In questo “luogo sacro”, come lo era quello nell’antichità per gli “dei”, inserisce trenta lapidi che recano i nomi di altrettanti artisti viventi. Quelli rappresentanti anche un “quid intellettivo ed ispiratore”, dal quale lo scultore napoletano ha ricavato, nel corso della carriera, elementi di analisi e riflessione. Il primo impatto alla mostra é quindi una installazione che si manifesta e sviluppa, sostanzialmente e significativamente diversa dalle tante banalità che spesso ci vengono propinate. Questa Sua significativa interpretazione, rappresenta anche: un giuoco ironico della vita e della morte con quest’ultima che, in questo caso, diviene “leggera” particolarmente per la materia che utilizza: soffice e sostanzialmente non “eterna”. Quella gommapiuma che può anche volare in alto sottraendosi ai destini terreni che Di Fiore modella da sempre con maestria. Sostanzialmente però, tutto ciò ha anche come merito propositivo, quello della denuncia dell’effimero “protagonismo mercantile” che vige nella società che viviamo. Ovvero quello che espone ogni forma di cultura, non più ad un valore di analisi estetica ma, esclusivamente a quello mercantile. Notificazione questa, che nel contesto di un “registro ironico”, che è alla base ricorrente delle Sue opere, si sviluppa e viene ancor più sottolineata anche attraverso le successive fasi di queste ultime opere realizzate ed esposte. Di Fiore infatti riesce a riscrivere con la materia che gli è congeniale questo suo sogno e, per renderlo forma narrativa, assume come innanzi si accennava, la veste di Parnassus: attore girovago e narratore fantastico. Come tale, cerca di portare agli spettatori, con un tema d’immaginazione e creatività, questa che appare una sarcastica magica fiaba. Fiaba, che ancor più offre significato all’ironia che caratterizza l’intera mostra estrinsecandosi, poi, anche nelle successive oggettualità esposte. Queste, si evidenziano infatti in “C’è posta per Troia” e, nel “Guardando ai nuovi mercati”. Nella prima, in chiave quotidiana, appare una sorta di “bacheca condominiale” (che a nostra interpretazione richiama anche il seicentesco e tragico “monumento infame”). Nelle caselle, di quello che è il corpo dell’ omerico “equino d’insidie”, sono inserite delle teste di guerrieri che attendono ignari l’evento. In tal modo Di Fiore vuole testimoniare, simbolicamente, le continue minacce che possono pervenire attraverso tutte le forme di comunicazione. Con questo “contenitore d’insidie” ha infatti inteso individuare e porre in evidenza, quelle “notificazioni” sempre pronte a manifestarsi ad ogni istante della nostra vita quotidiana. Contemporaneamente, se ci si riferisce all’antico simulacro, evidenzia la evidente continua attesa di superamento della precarietà che vive la nostra città. Nella seconda, l’elemento mercantile è sintetizzato, in forma meno ludica ed ironica. Questo perché, giustamente, la soggettività alla quale si riferisce: quella della mercificazione dei corpi soprattutto giovanili, si evidenzia ed appare sempre più come spettacolarizzazione e, in un andamento profluvio e costante della società non può non suscitare che sdegno in quanti lottano per le creatività ignorate. A queste ultime Di Fiore soprattutto lancia, anche attraverso questo “fiabesco itinerario”, il monito di non intorbidirsi nell’apparenza d’essere ma di lottare perché venga affermato il vero talento.