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escort


 Il termine «escort», nelle cronache, viene oramai usato anche per indicare le povere prostitute africane vittime di maniaci, o le schiette puttane di strada. È un po´ come quando panetterie e drogherie diventarono «boutique dello sfilatino» e «non solo sapone». O le indossatrici di qualunque ordine e grado, anche le più ordinarie, diventarono tutte «top model». Accade quando il piccolo borghese prevale sul popolare, se ne vergogna e lo traveste: è la chiave non solo semantica, anche sociale della nostra epoca. Mansioni e fatica rimangono identici, l´arrabattarsi quotidiano, i soldi duri da guadagnare, le umiliazioni, i sogni andati in fumo. Ma l´eufemismo aiuta a illudersi, e telefonare alla mamma lontana per dirle «faccio la escort» certo è meno penoso che dirle «batto i marciapiedi». Non fosse che questa simulazione di massa copre a stento (sempre più a stento) i più malinconici fallimenti, e le più brutali soggezioni. Chiamare escort le prostitute, «risorse umane» gli impiegati, «manager» certi capiufficio che non decidono nemmeno quando andare in ferie, è una specie di imbroglio terminale, di estremo velario per nascondere la natura bruta dei rapporti sociali. Come tutti i trucchi, non può reggere in eterno.Articolo di Michele Serra per "La Repubblica", 23/7/2010.