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ASSEGNAZIONE CASA CONIUGALE E FIGLI...


Cari amici, vi sottopongo una questione già affrontata l'11/10/07 concernente la casa familiare ed i figli su cui la Cassazione si è pronunciata con questa sentenza appena pubblicata.....Con questa sentenza ( sentenza n.20688 del 2007) la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la disciplina dell'assegnazione della casa familiare prevede che i soggetti alla cui tutela è preordinata l'assegnazione siano figli di entrambi i coniugi ai quali sia riferibile la disponibilità, in via esclusiva o in comproprietà, della casa coniugale. Questi i fatti.Con sentenza di divorzio pronunciata tra i coniugi I. C. e T. L., il Tribunale di Bergamo disponeva l'affidamento del figlio M., di sedici anni, alla madre e l'assegnazione alla stessa della casa familiare (di proprietà comune), nonché l'obbligo del padre di corrispondere per il ragazzo un assegno mensile di lire 500.000. A causa dei contrasti esistenti tra il figlio M. e il nuovo compagno della madre, dalla cui unione era nato un altro figlio, il primo lasciava la casa materna, trasferendosi a casa del padre. A seguito della mutata situazione, il padre chiedeva al Tribunale di Bergamo l'affidamento del figlio e conseguentemente l'assegnazione della casa coniugale, nonché la corresponsione da parte della madre di un assegno mensile di euro 500,00 per il mantenimento del figlio. Il Tribunale di Bergamo disponeva l'affidamento del figlio M. al padre, assegnandogli la casa familiare e disponendo a carico della madre un assegno di mantenimento di euro 200,00 mensili. Avverso tale provvedimento proponevano reclamo sia il padre che la madre., chiedendo, il primo, l'aumento dell'assegno e la seconda la riduzione dell'assegno stesso, nonché la modifica del provvedimento concernente l'assegnazione della casa familiare. La Corte d'appello di Brescia rigettava entrambi i reclami. Quanto alla questione dell'assegnazione della casa familiare, la Corte rilevava che l'art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970 consente l'assegnazione dell'ex casa coniugale al genitore affidatario, dovendosi escludere che la norma possa trovare applicazione nel caso in cui il minore sia figlio di uno solo dei coniugi divorziati. La madre, pertanto, non poteva invocare detta norma per pretendere l'assegnazione della casa coniugale adducendo la propria convivenza con il figlio minore nato da persona diversa dall'ex coniuge. Ed anzi, la norma doveva trovare applicazione in favore del padre, in quanto coniuge affidatario del figlio comune M.. Quanto all'entità dell'assegno, la Corte rilevava che la somma posta a carico della madre dal Tribunale per il mantenimento del figlio M. era congrua e proporzionata alle attuali capacità economiche della madre stessa. Dunque, la legge italiana consente l'assegnazione dell'abitazione coniugale in sede di divorzio all'altro coniuge, solo alla condizione dell'affidamento a quest'ultimo di figli minori o della convivenza con esso di figli maggiorenni ma non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri. In assenza di tali condizioni, coerenti con la finalizzazione dell'istituto alla esclusiva tutela della prole e del relativo interesse alla permanenza nell'ambiente domestico in cui essa è cresciuta, l'assegnazione medesima non può essere disposta in funzione integrativa o sostitutiva dell'assegno divorzile, ovvero allo scopo di sopperire alle esigenze di sostentamento del coniuge ritenuto economicamente più debole, a garanzia delle quali è destinato unicamente l'assegno anzidetto.La  situazione non muta quando, come in questo caso, con il coniuge divorziato che richieda detta assegnazione conviva un figlio minore che non sia anche figlio dell'altro coniuge, ma di una persona diversa. La disciplina dell'assegnazione della casa coniugale prevede che i soggetti alla cui tutela è preordinata l'assegnazione siano figli di entrambi i coniugi ai quali sia riferibile la disponibilità della casa coniugale. Sul piano del rapporto di filiazione e delle norme ad esso relative:- l'art. 261 cod. civ. enuncia il fondamentale principio in forza del quale il riconoscimento del figlio naturale comporta, da parte del genitore, l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi; -con la riforma del diritto di famiglia del 1975, il matrimonio non costituisce più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli (legittimi e naturali riconosciuti), identico essendo il contenuto dei doveri, oltreché dei diritti, degli uni nei confronti degli altri, e la condizione giuridica dei genitori tra di loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell'insieme di regole, che costituiscono l'essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova fondamento nell'art. 30 Cost., il quale richiama i genitori all'obbligo di responsabilità; -il valore costituzionale di tutela della filiazione trova fondamento nelle disposizioni previste dagli artt. 147 e 148 cod. civ., che, in quanto complessivamente richiamate dal successivo art. 261 c.c., devono essere riguardate nel loro contenuto effettivo, indipendentemente dalla menzione legislativa della qualità di coniuge, trattandosi dei medesimi doveri imposti ai genitori che abbiano compiuto il riconoscimento dei figli naturali; -l'obbligo di mantenimento della prole, sancito dall'art. 147 cod. civ., comprende in via primaria il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, e segnatamente, tra queste, la predisposizione e la conservazione dell'ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita, che contribuisce in misura fondamentale alla formazione armonica della personalità del figlio. - l'interpretazione dell'art. 30 Cost. in correlazione agli artt. 261, 146 e 148 cod. civ.,  impone che l'assegnazione della casa famiglia nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio (=convivenza), allorché vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, deve regolarsi mediante l'applicazione del principio di responsabilità genitoriale, il quale prevede che sia data tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere dalla qualificazione dello status.  Quindi la Corte condanna la madre al pagamento, in favore del padre, dell'assegno per il mantenimento del figlio M., nella misura stabilita, dalla data della domanda proposta dal padre.