avvocatoxTE

RICONOSCIMENTO TARDIVO FIGLIO NATURALE E ATTRIBUZIONE COGNOME


Cari amici, eccomi a voi per segnalarvi un altro interessante caso.
In molti mi domandano cosa succede  se il genitore decide di riconoscere tardivamente il proprio figlio naturale e se è possibile sostituire il proprio cognome paterno a quello della madre che per prima l’ha riconosciuto.Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza 26 maggio 2006, n. 12641) si è pronunciata sull'argomento in questi termini, evidenziando e chiarendo l’esatta portata delle norme applicabili. Tutto parte dalla sentenza di rigetto del  Tribunale per i minorenni di Napoli in merito alla richiesta di un padre di attribuire al figlio naturale,nato da una relazione con una donna e da lui riconosciuto successivamente, il cognome paterno in sostituzione di quello della madre. Contro tale sentenza del Tribunale di Napoli ha proposto appello il padre. Tuttavia anche la Corte d'Appello sezione minorenni di Napoli  ha respinto la richiesta del padre in base alle seguenti considerazioni. Vi era stato un notevole intervallo temporale tra il riconoscimento materno, effettuato alla nascita del minore, e il successivo riconoscimento paterno, intervenuto con sentenza . Nelle more, il minore aveva maturato una propria identità personale essendo conosciuto nell'ambito scolastico e sociale con tale appellativo. Raggiunta una età che gli consentiva una certa capacità di discernimento, il minore aveva acquisito nelle relazioni interne ed esterne la consapevolezza dell'appartenenza al gruppo familiare della madre, per cui sarebbe stata sicuramente fonte di turbamento e disagio l'assunzione del cognome paterno sostituito o aggiunto a quello materno. Ulteriore elemento ostativo alla predetta attribuzione era la pessima reputazione posseduta nel ristretto ambiente di vita del minore e comuni limitrofi dall'avo paterno, noto esponente della criminalità organizzata locale. Nessuna utilità poteva derivare al minore dall’essere contrassegnato in società col cognome paterno e individuato, quindi, come il nipote di un camorrista. Tale discendenza non poteva non avere una ricaduta negativa nella stima in pubblico della figura paterna, pur immune da precedenti penali e pendenze giudiziarie. Avendo il cognome la funzione di strumento identificativo della persona, di rilievo costituzionale, non era conforme all'interesse del minore l'attribuzione del cognome paterno. Contro tale decisione della Corte d'Appello, il padre ha proposto ricorso in Cassazione, evidenziando che la Corte d’Appello non aveva considerato gli svantaggi collegati al mantenimento del cognome materno e, in particolare, il disagio cui il minore sarebbe andato incontro, specie in età adolescenziale, per il fatto di portare il cognome della madre e di sapersi qualificato nel ristretto ambiente frequentato come figlio illegittimo; che il minore era ben consapevole di appartenere anche alla famiglia del padre e rammaricato di non portarne il cognome ancor più dopo la nascita di un fratellino,figlio anch’esso del papà e della di lui attuale compagna; che il minore ha diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli, avendo il cognome la funzione, di rilievo costituzionale, di strumento identificativo della persona, obiettando, al riguardo, che, se esistesse il nesso di consequenzialità ipotizzato tra cognome assunto per primo e diritto del minore a mantenerlo, le opzioni di cui all’articolo 262 Cc (cognome del figlio) non avrebbero senso e la norma sarebbe inoperante, laddove è destinata a ricevere attuazione proprio in contesti in cui è già stato attribuito un cognome. Altra contraddizione della sentenza di appello consisterebbe nell’avere individuato, quale elemento ostativo all’attribuzione del cognome del padre, la cattiva reputazione dell’avo paterno. Tuttavia, proprio grazie all’intervento del Tribunale per i minorenni il minore si era ormai inserito nel nucleo del padre frequentandolo assiduamente, tanto da esserne ovunque e da chiunque ritenuto membro e pieno titolo. Peraltro, il cognome del padre risulta assai diffuso nell’ ambito territoriale di appartenenza del minore, sicché appare incoerente sostenere che il portarlo possa arrecargli pregiudizio. La Suprema Corte di Cassazione esamina la questione e ritiene infondati i motivi di ricorso proposti dal padre ed osserva quanto segue. La interpretazione della norma di cui all’art. 262 Cc implica la necessità di considerare la funzione del cognome nel nostro ordinamento e di individuare la ratio dell’enunciato normativo.La Cassazione specifica che è dato ormai incontrovertibile che il cognome nel nostro ordinamento giuridico non svolge solo una funzione pubblicistica, tesa a offrire una tutela della famiglia consentendo ai suoi membri di essere identificati come appartenenti a un determinato nucleo familiare, ma assolve anche a una  fondamentale funzione di natura privatistica, quale strumento identificativo della persona. La protezione dell’identità personale, immancabilmente contraddistinta da peculiari connotati morali,culturali, ideologici, trova, infatti, il suo nucleo centrale nella tutela del nome, che viene considerato non tanto come mezzo necessario di individuazione del singolo nell’ambito dei soggetti di un ordinamento giuridico secondo principi normativi di interesse generale, quanto piuttosto nella sua corrente qualità di simbolo emblematico della identità personale di un individuo e quindi come aspetto, meritevole di protezione, della personalità umana.  Come è stato rilevato in dottrina, la tutela costituzionale del diritto al mantenimento del nome attribuito alla persona al momento della nascita in accordo con le norme di legge deve ritenersi assoluta.Continua la Cassazione sottolineando che, nel caso di filiazione naturale, non essendovi una famiglia legittima da tutelare, il cognome del figlio assolve quanto meno in prevalenza  alla funzione privatistica, in virtù della quale il cognome è una componente dell’inviolabile diritto di ciascun uomo ad avere una propria identità personale (articoli 2 e 22 Costituzione).Dalla stretta connessione tra cognome e status familiare discende che ogni mutamento del secondo sia destinato, di regola, a riflettersi sul primo. Tuttavia, il passaggio da una concezione del cognome quale mero segno di identificazione della discendenza familiare a una visione che lo inquadra tra gli elementi costituivi del diritto soggettivo all’identità personale, intesa come un bene a sé,indipendente dallo status familiare, ha progressivamente sganciato le sorti del cognome dalla titolarità di una determinata posizione all’interno della famiglia.Questa evoluzione è sfociata in alcune significative decisioni della Corte costituzionale, la quale, da  ultimo, con sentenza 120/01 ha giudicato costituzionalmente illegittimo l’art. 299 comma 2 Cc,per contrasto con l’art. 2 Costituzione, nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlionaturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato (maggiorenne) possa aggiungere alcognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli dall’ufficiale di stato civile,sottolineando che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo. Già in precedenza, però, con la sentenza 13/1994, la Corte aveva sancito la illegittimità costituzionale dell’art. 165 del Rd 1238/39, per violazione dell’art. 2 costituzione, nella parte in cui non prevede che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni indipendenti dalla volontà del soggetto cui si riferisce, comporti il cambiamento del cognome, il soggetto stesso possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli, ove questo sia da ritenersi acquistato come autonomo segno distintivo della sua identità personale. Essa ha, cioè, riconosciuto che il cognome gode di una distinta tutela anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona e che, in quanto tale, costituisceparte essenziale e irrinunciabile della personalità. Si tratta poi, di tutela di rilievo costituzionale perché il nome, che costituisce il primo e più immediato elemento che caratterizza l’identità personale, è riconosciuto come bene oggetto di autonomo diritto, riconducibile nell’ambito dell’articolo 2 Costituzione. Riprendendo tali concetti, la stessa Corte, con sentenza 297/96, intervenendo proprio sull’articolo 262 Cc, h a dichiarato incostituzionale tale norma laddove non prevede che il soggetto dichiarato alla nascita figlio di ignoti e successivamente riconosciuto da uno dei genitori possa conservare, anteponendolo o aggiungendolo al nuovo cognome, quello originariamente attribuitoglidall’ufficiale dello stato civile ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale. Questa decisione ha portato a completamento il disegno del legislatore del 1975, che aveva già modificato l’articolo 262, comma 2 Cc, stabilendo evidentemente nell’intento di garantire, nella conservazione del cognome, il profilo identificativo della persona e non quello identificativo della discendenza familiare che il figlio naturale maggiore d’età, riconosciuto dal padre solo successivamente al riconoscimento da parte della madre, non assumesse più automaticamente il cognome paterno, ma potesse scegliere se aggiungerlo o sostituirlo a quello materno.Secondo il giudice delle leggi, quindi, per i figli nati fuori dal matrimonio e non riconosciuti dal padre immediatamente o comunque contemporaneamente alla madre, non solo è esclusa per legge l’automatica imposizione del cognome paterno (articolo 262 Cc) ma deve essere riconosciuta al cognome già acquisito dal figlio, anche se non conforme al rapporto di filiazione, una propria autonoma tutela quale segno distintivo dell’identità personale fino ad allora da lui posseduta nell’ambiente in cui vive.Sulla scia di tale principi, incentrati sull’interesse anche del minore di mantenere il proprio cognome, qualora sia divenuto segno distintivo della personalità, la Cassazione (sentenza 6098/01), in una fattispecie in cui il padre, dopo avere legittimato per provvedimento del giudice il figlio naturale successivamente alla madre, aveva chiesto di attribuirgli il proprio cognome, ha statuito che, ai fini della deliberazione di una simile domanda ai sensi dell’articolo 262 Cc (applicato analogicamente alla controversia), deve valutarsi l.interesse esclusivo del minore, avuto riguardo al di lui diritto alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell’ambiente in cui è  vissuto, nonché a ogni altro elemento di valutazione suggerito dal caso concreto, esclusa qualsivoglia utomaticità.Già da queste prime notazioni è evidente come diversamente da quanto opina il ricorrente, la ratio dell’articolo 262 Cc non va rintracciata nell’esigenza di rendere la posizione del figlio naturale quanto più simile possibile a quella del figlio legittimo ovvero sia di parificare la filiazione naturale a quella legittima privilegiando per tale via l’assunzione del cognome paterno quale quello che, da un punto di vista sociale, non rende riconoscibile lo stato di figlio naturale, ancora ritenuto in molti ambienti svantaggiato: ratio della norma è invece garantire l’interesse del figlio a conservare o a non cambiare il cognome con cui è ormai conosciuto nell’ambito delle proprie relazioni sociali. La corte di Cassazione ribadisce che in sede di applicazione dell’articolo 262, comma 2 Cc, si deve partire dal presupposto, innucleato nella ratio della norma, che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta. Nell’operare la valutazione richiestagli dall’enunciato normativo, il giudice deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome, ma deve avere riguardo all’identità personale posseduta dal minore nell’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre. A tutela dell’eguaglianza fra i genitori, il giudice non dovrà autorizzare l’assunzione del patrimonio (non soltanto ove ne possa derivare danno per il minore, ma anche) allorquando il cognome materno si sia radicato nel contesto sociale in cui il minore si trova a vivere, giacché precludergli il diritto di mantenerlo si risolverebbe in un’ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, tradizionalmente definito come il diritto .a essere se stessi.Il provvedimento deve, quindi, tutelare l’interesse del minore . non necessariamente coincidente con quello del’uno o dell’altro genitore alla propria identità. Il giudice può e deve ricercare di ufficio i datiinformativi per conoscere l’interesse del minore; la relativa valutazione ha connotati di ampia discrezionalità, non trovando limitazione neppure nella volontà favorevole o contraria del minore medesimo. Nessuna violazione dell’articolo 262 Cc è quindi ascrivibile alla Corte d’Appello.La Cassazione sottolinea che il giudice di appello coerentemente e congruamente ha argomentato che: prima di essere tardivamente riconosciuto dal padre il piccolo, di vivace intelligenza e assai socievole, aveva preso consapevolezza della sua identificazione cognominale, frequentando le organizzazioni educative scolari, egli aveva maturato una precisa identità personale per il fatto di essere conosciuto nella cerchia sociale dove è vissuto con il cognome materno; in questo contesto, una mutazione del cognome sarebbe stata di nocumento alla serena ed equilibrata crescita psicofisica del minore e alla sua vita di relazione; ulteriore elemento ostativo alla chiesta attribuzione del patronimico era la cattiva fama goduta nel ristretto ambito territoriale di appartenenza del minore dell’avo paterno per via delle sue imprese criminali, quale noto esponente della criminalità organizzata locale, che gli avevano comportato condanne per complessivi dieci anni di reclusione e otto di soggiorno obbligato; era contrario all’interesse del minore il potere essere additato come nipote di un camorrista. Osserva la Cassazione che del tutto inconferente, per le ragioni in precedenza svolte su ratio e portata esegetica dell’articolo 262 Cc, si rivela la deduzione del presunto disagio psicologico in cui il minore sarebbe venuto a trovarsi per avere una connotazione cognominiale non corrispondente a quella della discendenza patri-lineare propria dell’assetto familiare e rivelatrice dello stato di figlio illegittimo. L’interesse del figlio nato fuori dal matrimonio che la norma intende salvaguardare non è quello di avere un’apparenza di filiazione regolare, ma di conservare (o di non mutare) il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità. Pertanto, la Cassazione, in definitiva, rigetta il ricorso .* * * * * *Quindi, dopo la lunga narrazione di questa sentenza della Suprema Corte, qualora il padre –che tardivamente riconosce un figlio naturale- voglia mutare il cognome del figlio attribuendogli il proprio al posto di quello materno, il Giudice dovrà avere riguardo a CONSERVARE IL COGNOME ORIGINARIO DEL FIGLIO SE QUESTO E’ SEGNO DISTINTIVO DELLA IDENTITA’ PERSONALE NELLA COMUNITA’.