Emanuele Monduzzi

Emanuele Monduzzi: esordio podistico alla Marcialonga Running


Domenica 7 Settembre è stata la data del mio esordio nel mondo del podismo, esordio leggermente postumo all’età di 38 anni e dopo essermi dedicato anima e corpo negli ultimi dieci anni a tuttaltro sport come il beach volley.Per iniziare questa nuova avventura ho scelto la Marcialonga Running (www.marcialonga.it), gara che si disputa in luoghi a me noti per motivi turistici (Val di Fiemme) e che si sviluppa in una distanza ragionevole (25 km) anche se mai fatta dal sottoscritto. Le procedure per l’iscrizione vengono completate facilmente già settimane prima e noto già una certa efficienza nella macchina organizzativa: sarò il numero 291.Il paragone col mondo del beach volley è presto fatto: nel beach volley la burocrazia lavora per depennare più possibile gli atleti, nel podismo bastano invece poche cose e ben chiare per tutti. Così siamo a Domenica 7 Settembre: i compagni di avventura per questa giornata sono l’amico Chicco, che ci seguirà in bicicletta con qualche vettovoglia, e Piero Paganelli il mio mentore, anche lui iscritto alla gara, colui che mi ha aperto gli occhi su questa parte di mondo dello sport.Una premessa su Piero Paganelli (http://www.ultrafatica.altervista.org/) è doverosa: Piero non è un podista qualsiasi ma fa parte di quella cerchia di fuori categoria, eufemismo, che fanno gare letteralmente inumane tipo la Nove Colli Running, giusta per citarne una, anche se il suo vero obiettivo stagionale si chiama Spartathlon, un nome che evoca rispetto e timore in tutti gli ultramaratoneti. Piero mi accompagnerà giusto per sgranchirsi le gambe e farmi da lepre. Il primo impatto alla partenza a Moena è piuttosto forte. Atleti già sudatissimi che si riscaldano da tempo su e giù per i tornanti, gruppi sportivi che arrivano in massa, macchina organizzativa in perfetto moto…ma la cosa che più mi colpisce è la “flora e fauna” che colora il mondo del podismo. Gente di tutti i tipi: alti, bassi, belli, brutti, grassi, magri, dritti, storti…senza parlare poi dell’abbigliamento, coloratissimo e superaccessoriato. Lontanissimo il mondo del beach volley dove gli atleti sono praticamente tutti omogenei ed anche coloro che giocano a fare gli alternativi alla fine sono più omologati di tutti gli altri.Lungi da me disprezzare questo guazzabuglio umano, anzi: la prima cosa che ho imparato nel podismo è che colui che può sembrare il vecchietto pensionato mezzo storto, in gara ti può seminare senza alcuno sforzo e lasciarti kilometri e kilometri indietro.Io stesso non rinuncio al mio abbigliamento da beacher con short fiorato e canotta da torneo di beach volley, d’altraparte sono sempre un beacher nell’animo.La gara sta per avere inizio, non sono teso ma solo un po’ preoccupato, riuscirò a farcela?Si comincia: i blasonati partono ad una velocità alla quale io farei i 100 metri, mentre io e Piero ci posizioniamo sin dalla griglia nelle retrovie per non intralciare quelli che vogliono partire a razzo per fare il tempo così come si dice in gergo.I primi 6 kilometri mi servono per rompere il fiato, poi cerco di trovare il mio passo fino al 13-14° kilometro senza farmi condizionare da quelli che mi sono vicino; qui Piero è bravo a darmi qualche dritta. Finalmente la gara procede per il meglio e riesco a godermi il paesaggio, che conosco già, ma dal fondovalle lo spettacolo è sicuramente più suggestivo.18° km: le gambe cominciano ad essere dure e fiocanno i primi crampetti: a questo punto bisogna ricorrere ai metodi della vecchia scuola così mandiamo il fido Chicco a recuperare grissini e birra. Ora va meglio. Al 21° kilometro, prima della terribile salita finale, decido di “liberare” l’amico Piero, mio fido scudiero fino a quel momento; Piero parte come una furia inerpicandosi sui tornanti come se fosse in discesa con dietro Chicco che fatica a stargli dietro in bicicletta. Ora sono solo, tocca a me.Il fiato è esaurito, lo stomaco è chiuso a tappo, le gambe non girano più: mi rimangono solo cuore e orgoglio. Che fare? Arrivare mestamente al traguardo magari camminando ma senza rischi oppure gettare il cuore oltre l’ostacolo? Tiro il fiato per qualche centinaia di metri poi decido di ripartire e di farlo in salita dove sono sicuro che nessun altro a questo punto lo farà. Lo spirito competitivo, fino a quel momento da me ignorato, mi dà quegli stimoli per risalire quelle posizioni che fino a qualche kilometro prima mi sembravano insormontabili.Ultimo kilometro: mamma mia che emozione vedere quel cartello che oramai pensavo si fossero scordati di posizionare. Faccio l’ultimo sorpasso su una signora norvegese, all’apparenza anzianotta ma con un fisico da spaccalegna. Ultimi 200 metri: qui la storia diventa molto personale. I miei amici mi aspettano vicino al traguardo, mio figlio di 5 anni mi corre incontro gridando ‘forza papà’ e si mette vicino a me correndo gli ultimi metri a mio fianco assieme a Piero che nel frattempo mi era tornato a prendere. Sarà stata l’emozione di vedere la reazione di mio figlio al mio arrivo, sarà stata la fatica accumulata ma faccio tutto il rettilineo finale in lacrime. Sento il bip del chip che rileva il mio passaggio e lo speaker che annuncia il mio arrivo ufficiale. E’ finita. Ce l’ho fatta.Sono 1011° con un tempo pachidermico di 3h15’33’’. Dopo di me ne arriveranno altri 18 in tutto.  Finalmente relax anche se sommessamente ho già un tarlo che mi lavora dentro: mi sono già iscritto alla Maratona di Ravenna, la mia città, e riesco solo a pensare ma ‘chi me lo ha fatto fare’, frase che ho letto più volte nel blog di molti runners. Non so cosa mi riserverà il futuro ma sono contento di questa prima avventura nel mondo del podismo. Questo racconto potrebbe finire qui se non fosse per un particolare epilogo qualche ora dopo la fine della gara. Piero mi chiede ‘Come si chiama quella montagna lì davanti?’ ed io ‘Quello è il Cermis alto circa 2.200 metri’. Piero mi guarda e si va a mettere le scarpe e mi dice ‘Ok, vado e torno’. Ma questa è un’altra storia.