L'intollerante

Risultati definitivi parte II


A.A.A. Premessa importante: non ho mai preteso di ottenere risultati scientificamente validi e inconfutabili; non mi sono mai fatto portatore di verità assolute, generalizzando teorie che, in quanto esposte da un ragazzo di 20anni non laureato e senza competenze peculiari in materia sociologica, devono essere considerate come "semplici" riflessioni scaturite da comportamenti osservati su un vasto campione di individui e nel corso di due mesi di "sperimentazione". Non sono mai stati riportati i dati personali dei soggetti esaminati e si è sempre dato loro modo di non partecipare alla "ricerca".Detto questo,Mi avvio alla faticosa ma spero interessante disamina dei principali punti che avevo riassunto nel mio post precedente.Punto primo(- Dimostrare che, le stesse dinamiche di interazione in-gruop e out-gruop ecc ecc.) Qualcuno ha banalmente scritto: "hai scoperto l'acqua calda" o, in maniera meno pacata: "grazie al cazzo". Chiunque ne capisca un po' di tale sottovalutata e bistrattata materia(mi riferisco, ovviamente, alla sociologia), sa bene che, la conclusione alla quale sono arrivato, non è per nulla scontata. Basti pensare che, nella virtualità, non esiste empatia comunicativa, né percezione visiva dell'interlocutore né, tanto meno, contatto umano tra chi interagisce...a tutto questo aggiungete la variabile impazzita e altrettanto inesistente nei rapporti "face to face" che è rappresentata dalla possibilità di commentare in anonimo o di nascondersi dietro false identità. Riscontrare che, gli stessi, identici meccanismi di interazione che si riscontrato nel mondo reale, vengono seguiti anche sulle comunità virtuali è, a mio modestissimo e non qualificato parere, una bella conclusione. Dimostra, infatti, che l'uomo, per potersi ritagliare un ruolo, crearsi un'identità, sentirsi parte attiva di un gruppo di individui, non ha bisogno del contatto umano nè della percezione fisica delle persone con le quali interaggisce. Il fenomeno dell'anonimato, d'altro canto, aumenta la possibilità di liti e fa fuoriuscire quell'es che, normalmente, è seppellito dalla nostra coscienza e dai nostri freni inibitori. E' così che, spesso, le comunità virtuali diventano selve piene di belve violente che, forti della loro falsa o inesistente identità, sfogano le loro insoddisfazioni e le loro carenze affettive sul primo soggetto che capita loro. Le "virtual city" potrebbero diventare un interessantissimo e validissimo oggetto di studio e sostituire le ricerca sociologiche "tradizionali". I nuovi, velocissimi e bombardanti mezzi di comunicazione, potrebbero servire ad individuare e prevenire fenomeni di devianza e a scovare, in maniera più agevole, i soggetti deboli, aiutandoli a risolvere i loro problemi. Si potrebbe creare un' equipe di "sociologi virtuali" in modo tale da prevedere mode, tendenze e caratteristiche endemiche del mondo moderno. Anche in questo caso, il discoro è molto ampio è difficile da spiegare, in maniera esauriente, su un blog. il tempo a mia disposizione, ahimè, non è moltissimo e devo scrivere tutte le considerazioni poco per volta. Sono comunque, ovviamente, bene accette critiche, consigli, idee e riflessioni di ogni tipo.