L'intollerante

Viaggiatore immobile


Ed eccovi qui un altro assaggio direttamente da "Scartato". Mi raccomando, regalatemi come sempre le vostre impressioni
Il libro di diritto regionale è rimasto chiuso; anche oggi. Ma non posso farci nulla: ho nella testa “La noyèe” di Yann Tiersen e non riesco a far altro che scrivere, batto le dita sulla tastiera con una disperazione violenta e vedo comparire sullo schermo la tempesta impazzita di idee, ricordi, immagini veloci e freneticamente sostituite…la mia mente è come un diaproiettore impazzito. Cerco di mettere a fuoco almeno qualcuna delle reminescenze e poi le mescolo con l’immaginazione e con il desiderio; ottengo il quadro mnemonico desiderato e trovo sollievo momentaneo quando riesco a descriverlo, attraverso le parole. Ricordo l’incontro fortuito con un’amica alla stazione e noi due, qualche mese più tardi, a fare l’amore in macchina con una violenza inaudita. Ricordo i suoi respiri ansimanti e i suoi gemiti e penso agli altri migliaia di orgasmi interrotti che dovrò avere per non diventare prematuramente padre, e alle altre paia di gambe femminili aperte che dovrò vedere prima di essere libero di diventarlo sul serio. Penso che, alla fine, la vita sia troppo breve per non godertela e troppo lunga, se sei fortunato, per evitare di rovinartela. Penso al tempo che ho perso guardando il soffitto e a quello che avrei dovuto utilizzare per guardarmi dentro. Penso a ieri a oggi e a domani e tento invano di trovare un punto di contatto stabile e rassicurante che, la mente di un irrequieto viaggiotre del tempo come me, non raggiungerà mai. Penso che, forse, tutto sommato, dovrei pensare di meno, ma poi mi dico che non me ne frega un cazzo di quello che dovrei fare a vado avanti così. Il ritmo della musica, intanto, è diventato più incalzante: ora mi immagino a camminare con lo sguardo incazzato e puntato verso un punto preciso...mi muovo a passi svelti su mattonelle tirate a lucido dalla pioggia; non so di preciso dove sto andando e il punto verso il quale guardo è ancora troppo lontano per assomigliare a qualsiasi cosa che la mia mente possa riconoscere o anche solo immaginare. Però vado, non mi fermo e con me va la musica…mi prende per mano e mi incita a correre ancora più veloce. E’ buffo: ora non so più se sto correndo verso un punto o fuggendo da qualcosa che mi insegue. No: non è la mia ombra; quella mi affianca e, anzi, allungata dalla luce della luna, mi precede. Nel frattempo, le mattonelle lucide, sono state sostituite da esili fili d’erba che, dopo essere stati inevitabilmente calpestati dalle mie scarpe, si rialzano, pian piano e tornano ritti e fieri come prima, ma pur sempre in balia delle suole impietose di qualcun altro. Ed ecco che di nuovo mi fermo e rifletto; penso che anche noi uomini, forse, siamo un po’ come i fili d’erba: di solito stiamo ritti e fieri e non ci basta un calpestio, anche violento, per spezzarci…alla fine, poco per volta, ci rialziamo e torniamo nella posizione originale, quella precedente al doloroso schiacciamento. Si...forse non siamo altro che un prato calpestato qua e la e qualcuno di noi si sforza, invano, di non farsi schiacciare. Non è tanto il doversi chinare a spaventare chi tenta di non essere schiacciato, ma, piuttosto, la fatica che sarebbe necessaria per rialzarsi. La musica però è finita e con essa il mio viaggio; uno dei tanti viaggi che ho fatto senza muovermi di un millimetro