L'intollerante

Un perdente come tanti


Un perdente come tanti, capitolo IArrivo come al solito puntuale, lui come al solito è invece in ritardo di almeno 15 minuti. Di insolito c'è invece il bar al quale mi ha fatto venire per il nostro incontro (per le nostre chiecchierate fugaci e polemiche abbiamo sempre scelto i tavoli del "Solaria"; in pieno centro). Lo vedo parcheggiare in divieto di sosta e scendere dalla sua Audi A6  con un'altra immagine consuetudinaria: il collo piegato per tenere fermo il cellulare tra spalla ed orecchio mentre con le mani tiene documentame vario.Quando penso a Mario lo immagino proprio così: collo curvo a mo di crisi spastica, camminata sicura e rapida e sguardo incazzato (come se all'altro capo dell'apparecchio qualcuno gli stesse comunicando qualcosa di indicibilmente fastidioso ed irritante). A dire il vero Mario non l'ho mai visto ridere veramente; al massimo sogghigna  in una smorfia strana a metà tra il disgustato ed il compiaciuto. Seduto ad uno dei numerosi tavolini riparati dal sole grazie ad un gazebo di legno alzo la mano per farmi notare; lui mi vede, non cambia espressione e in pochi secondi mi raggiunge. Sposta la sedia, si accomoda e continua a parlare:"Si ma io ne ho le palle piene di questi inetti...sono persino più odiosi di quei parassiti dei sindacalisti e di quel minorato di tuo cugino. Questa gente non è nemmeno consapevole di stare al mondo e vuole dire a me come trattare i disoccupati?".Espressione di meraviglia, passaggio del telefono dall'orecchio-spalla alla mano e poi:"Va bene Piero caro...allora puoi andare a farti fottere anche tu". Pollice sul tasto di chiusura chiamata e poi indice su quello di spegnimento. Resto allibito: lo conosco da 5 anni e non gli avevo mai visto spegnere il telefono principale in mia presenza (e non poggiare sul tavolo gli altri due). Tra me è Mario il rapporto dialettico è sempre stato piuttosto semplice: lui fa domande ed incalza, io rispondo e sto sulla difensiva anche nei rari momenti in cui è rilassato e non sta inveendo contro mezzo mondo (me compreso)."Non c'è male""Ottimo...mai nessuno che mi risponde che sta una merda e che vorrebbe stermirnare tre quarti d'umanità"Lo guardo un po' interdetto perchè gli si apre sulle labbra un crepa da sorriso che non gli avevo mai visto prima. "Dai scherzo - e mi da un buffetto sulla guancia sinistra -; oggi non sopporto l'ipocrisia generale". Giornalista da 30 anni, Mario è indecifrabile (almeno per il sottoscritto) ed ogni volta che ci incontriamo deve arringare qualcuno o qualcosa e ricordarmi che "sei solo un pulcino spennato innamorato di se e di quello che crede di combinare nel mondo". E' un adorabile stronzo che può distruggerti per poi dire, quanto stai per metterti a piangere, che stava solo bigellonando con il tuo ego. Oggi dice di essere adirato con l'ipocrisia generale e con la mancanza di tempo.A tal proposito mi chiede:"Quanto puoi dedicarmi?""Anche mezz'ora""Mezz'ora? Wow...vuoi farmi diventare vecchio pivello? Io non ho mezz'ora da dedicare a qualcuno che non sia me da...da...da sempre credo". Spesso ha degli attacchi di megalomia ed egocentrismo autoironici e volutamente infantili che rendono molto più sopportabile il suo altrimenti impossibile carattere da iper-cinico iper-nichilista."Comunque - continua - è proprio questo che ti e ci fotte, pivello. Tu ed io abbiamo molto meno tempo dei te e dei me di 200 e 300 anni fa. Senza tempo non c'è poesia, non c'è riflessione, non c'è solidarietà, non c'è modo di evitare di farselo sbattere nel culo ed essere schiavi ogni santissimo giorno"."Beh dopo devo andare a Casalnuovo per un servizio che...""Si si..un bel servizio che denunci i mali della società, che magari sputtani qualche politico corrotto e qualche azienda truffaldina. Poi lo pubblichi su youtube e facebook, qualcuno dei tuoi fan ti dice che sei stato bravo e tu ti senti potente""Esatto...come al solito prevedi tutto"; gli dico sarcasticamente."Non usare certa ironia con me, Gabriè...sai dove voglio arrivare""No, non lo so""E allora sei tonto e dovresti cambiare mestiere...altrimenti sarai solo un perdente come tanti altri. Un giornalistucolo arruffapopolo precario a vita""Oggi sei più stronzo e delirante del solito, che ti piglia?""Finalmente me lo hai chiesto...iniziavo a pentirmi di averti considerato così tanto in questi anni. Comunque me ne vado, ragazzo...ho già buttato nel cesso due cellulari su tre; oggi ho sfanculato gli ultimi personaggi inutili che ero costretto a tollerare ogni giorno da troppo tampo. Non ti dico poi il casino che ho preparato per la redazione di pirla senz'arte che mi ritrovavo""Te ne vai? E dove?""Lontano dall'ipocrisia...lontano da quest'inferno di scadenze, strette di mano, ascelle sudate, puttane, frignoni, raccomandati, chatters libertari sfigati, macchine, schiavi  inconsapevoli, reperibilità perseguitante, camorra e via discorrendo""Si ma dove di preciso? E quando parti?". Cominciavo a preoccuparmi, a patire con forza l'effetto abbandono potenziale che ti fa rendere conto di quanto è importante la persona che rischi di perdere (o che hai già perduto)."Dove non potrà inseguirmi proprio nessuno mio giovane ed ingenuo amico ma ho deciso di concedere a te l'onore dell'ultimo saluto""Ah grazie...quale aeroporto?""Nessun aeroporto...ci vediamo a casa mia, ci guardiamo il mio preferito per la centesima volta e poi io bevo birra e tua la tua solita cocacola da lattante"A casa di Mario c'era stato una dozzina di volte...sempre per vedere "Mezzogiorno di fuoco". L'idea di ripetere l'esperienza non mi esaltava ma questa volta avevo colto negli occhi del mio caustico e di solito fiero amico qualcosa di di definitivo; una tensione malinconica che mai lo aveva anche solo sfiorato in mia presenza.Arrivo alle 21 in punto davanti alla sua villetta di periferia e notai che il cancello elettrico era spalancato. Citofono più volte ma non ricevo alcuna risposta; così entro con la macchina nel vialetto e la parcheggio al solito posto; davanti al suo garage. Mi avvio verso la porta e, proprio un attimo prima di poggiare l'indice sul campanello, mi accorgo che è aperta. Spingo in avanti la porta che, al contrario di come tradizione romanzesca vorrebbe, non scricchiola nemmeno un po'. "Permesso? Mario? Dove sei?". Sento il rumore della tv a tutto volume che ruggisce dal salotto e continuo a passi lenti proprio verso quella stanza. "We we...mariooo? Dove cacchio sei?". Percorro il lungo corridoio che separa l'ingresso della casa dal soggiorno e, superata la soglia di quella che ho sempre chiamato "la stanza di Mezzogiorno di fuoco", noto la luce della tv proiettata su una rivoltella; a pochi centrimetri un mano con il palmo rivolto al soffitto e le dita leggermente piegate. Qualche secondo per  mettere a fuoco l'immagine ed il cuore mi si ferma: una parte di me è già corsa fuori dalla villa e sta telefonando la polizia; l'altra procede invece tremante