mi querido

Scrivere un giallo


Tutto è cominciato da una storia vera. Una donna di nome Anna Re ricoverata in ospedale a Mantova per la prima volta nella sua vita. Aveva una settantina d'anni e niente di grave: una colica renale. Ma nel computer quel nome non risultava perché se l'era inventato. Alcuni mesi dopo, in una milonga di Milano, mi ha colpito un particolare, come se qualcuno me l'avesse sbattuto sotto gli occhi proprio perché lo vedessi. Era inverno, le giornate corte, il cielo grigio e l'aria fredda. Da molto tempo avevo voglia di scrivere qualcosa che non fosse un articolo di giornale, nè seguire un'indagine di qualche misterioso omicidio. Ho pensato: cosa scrivo? Un racconto? Un romanzo? Ma no. Se l'indagine mi cattura così tanto e da così tanti anni, non posso che scrivere un poliziesco. Si scrive di quello che si conosce e io conoscevo piuttosto bene il delitto. Sono una giornalista vecchio stampo, di quelli che tentano, già il primo giorno, di rispondere alla quinta W del giornalismo anglosassone: perché è stato ucciso? Le cinque W sono regole che si insegnano sempre meno e se si insegnano vengono dimenticate alla svelta. La quinta W, why, nella cronaca nera è una domanda che spesso resta tale anche per le forze dell'ordine o per la magistratura. E' il cosiddetto movente, quello che scatena un odio così feroce da fare superare il limite biblico del non uccidere. Caino ha ucciso Abele per gelosia. Ma cosa ha scatenato in lui la gelosia fino a fargli provare l'impulso di eliminare il fratello? Nei tanti casi di omicidio che ho seguito per lavoro, ho incontrato molti Caino e pochi Abele, nel senso che tra vittima e carnefice c'era sempre un legame particolare, intimo, inconscio, quasi destinato a sfociare in qualcosa di cruento. Ho studiato, in particolare, le dinamiche familiari perché mi sono occupata per diversi anni di omicidi in famiglia. Cè stato un anno, invece, in cui ho seguito cinque casi di omicidio dove le vittime erano tutte donne e gli assassini tutti uomini, o per lo meno, quasi tutti, perché uno di questi è stato assolto e perciò o non è davvero l'assassino o non ci sono prove per ritenerlo tale. Indagare sul male mi ha costretto a fare un percorso che comincia dalle evidenze (le tracce possiamo chiamarle) e termina con il perché l'avrebbe fatto. Nel 2000 ho incontrato il tango argentino e la prima cosa che mi ha colpito sono state appunto le dinamiche relazionali. Per molte persone, il tango è un ballo difficile da apprendere e una musica difficile da interpretare e riconoscere (il familiare un-due-tre). Il suo fascino sta proprio in questa sfida di ritornare con la memoria ancestrale a qualcosa che ci appartiene (così come Caino e Abele) eppure nascosta in qualche meandro del cervello e della pancia (il secondo cervello, quelo emozionale). Ballare tango fa battere il cuore, a volte in modo imbarazzante. E' come se fossimo costretti a denudarci facendo ascoltare all'altro, fisicamente e non con la mediazione delle parole, chi siamo davvero. Mescolare il delitto con il tango è stato un azzardo? Una trovata letteraria? Direi di no. A fine '800, sul Rio della Plata, gli uomini si azzuffavano fisicamente perché non avevano neppure una vera lingua in comune e per di più erano piuttosto ignoranti. Questo crogiuolo di genti immigrate, ospiti di un paese appena nato, non ballava di certo il valzer viennese con dame che si sventagliavano! Anzi, le dame le vedeva, forse, con il binocolo puntato sull'arrivo delle navi dall'Europa, in quella prima classe fatta di sogni irraggiungibili ai più. A loro, neri e bianchi, restavano bricioline da sgranocchiare, conflitti sociali paurosi, ordini cui obbedire, regole da rispettare, fatiche sovrumane da sopportare, vita in comune indesiderata, un po' come nelle carceri sovraffollate di oggi. Nel poco tempo libero perciò bevevano, sognavano, cantavano e si menavano di brutto. Oggi a Caminito, quella bella cartolina turistica dove si mangia guardando ballerini di tango, non c'è un proprietario di ristorante, di chiosco o di qualsivoglia attrazione turistica che non abbia un bel pistolone nel cassetto. A fine '800 c'erano i coltelli. Per difendersi, esattamente come oggi. E perciò il tango, nato tra uomini, non poteva che avere anche quell'aspetto diabolico che ha dato il nome al mio giallo.Così ho deciso di fare una scaletta iniziale, un tardo pomeriggio di novembre, scrivendo su un foglio a quadretti nomi e caratteristiche, fisiche e psicologiche, dei personaggi che avrebbero dovuto rappresentare il bene e il male. Strada facendo le storie si sono intrecciate con la Storia e con la sofferenza universale, sulla quale possiamo chiudere gli occhi,  non i conti.Il giallo è rimasto nel cassetto diversi anni, un po' come le pistole di Caminito. L'anno scorso un amico di vecchissima data l'ha letto e mi ha scritto una mail: va assolutamente pubblicato. Ha cominciato a rimetterci le mani perché aveva alcune incongruenze, anche letterarie, alcuni errori, anche linguistici, e io l'ho lasciato fare senza essere però convinta che ilo suo giudizio sarebbe stato anche quello dei potenziali lettori. Pochi mesi dopo son andata, coem ogni anno, a Buenos Aires e stavo uscendo quando sulla porta di casa, a pianterreno, mi trovo davanti un bel ragazzo sorridente che mi chiede un'informazione. Non sapendogli rispondere, l'ho invitato ad entrare e controllare sul mio computer l'indirizzo che cercava. Siamo usciti insieme e abbiamo rinunciato ai rispettivi appuntamenti per chiacchierare, incuriositi l'uno dall'altra. E' così che gli ho raccontato del mio giallo rimasto nel cassetto, tra Milano e Buenos Aires, passando per la ricerca dell'identità e il mistero del dolore universale. Mi ha detto: va assolutamente pubblicato. Mesi dopo, stavo partendo per una breve vacanza e ho deciso di mandare una mail a un editore di gialli. In venti righe ho scritto la sinossi, cioè il contenuto del mio manoscritto. Cinque giorni dopo, in partenza per rientrare a Milano ricevo una mail dall'editore: avevo cento manoscritti da leggere sulla scrivania, ma quando ho letto quella sinossi la curiosità mi ha fatto leggere il file. In cinque ore l'ho finito. Venga che firmiamo il contratto: lei ha scritto un vero giallo.Ps: Diabolico tango è edito da Eclissi.