mi querido

IL MIRACOLO DI GARDEL


Ho preso la metropolitana e sono andata alla Chacarita, il più grande cimitero di Buenos Aires. Qui sono sepolti gli umili, non i ricchi e i generali che stanno invece beatamente a quello della Recoleta, monumentale cimitero che ha accolto, stranamente, anche Evita Peròn, di origini ben poco nobili, visto che prima di diventare la regina dei descamisados era una prostituta. Suo marito il colonnello invece è stato sepolto alla Chacarita ma io non sono andata a vistare la sua tomba. Quello che mi interessava quel 24 di giugno era assistere allo spettacolo della celebrazione per i settanta anni dalla morte di Carlos Gardel. Gli argentini son patriottici e adorano i miti. Gardel il cantante, con quel suo cappello Borsalino calcato in testa e la sigaretta accesa perennemente tra le dita, incarna perfettamente da vivo come da morto il supplizio dell'emigrante e la sua nostalgia di casa mai appagata. Anche Gardel morì esule, perciò chi meglio di lui poteva rappresentare il cuore infranto degli argentini figli di immigrati con una patria sconosciuta per forza da riconoscere come propria? Entrando al cimitero non sapevo da che parte andare tale è l'ampiezza che si presenta davanti a chi ne varca il cancello e vedendo un gruppo di persone camminare ho pensato di seguirle, sicura che andassero anche loro a rendere omaggio al grande cantante. Alcune signore piangevano e altre erano sorrette da uomini. Li guardavo stupefatta e già stavo per fotografare quella scena incredibile di gente in lacrime dopo settant'anni che mi sono accorta dell'errore: stavo seguendo un funerale!Alla fine la tomba di Gardel l'ho trovata. La sua statua troneggia nel mezzo e tra le dita aveva, ovviamente, una sigaretta che qualcuno aveva appena acceso. C'erano signori con il cappello e il vestito della festa, signore anche loro col cappello nero in stile anni '30 e labbra scarlatte. Alcuni cantavano le canzoni di Gardel seguendo le note suonate alla chitarra. C'era gioia, allegria come è ben raro vederne in un cimitero. Ma c'era anche, svolazzante nell'aria, qualcosa di magico. Una signora me l'ha  sussurrato: si dice che compia miracoli d'amore.... Un giornalista del canale SoloTango che trasmette appunto tango 24 ore su 24, mi ha piazzato il microfono sotto la bocca e mentre la telecamera mi riprendeva ho dovuto rispondere alla sua domanda. Avete un mito così in Italia? No, gli ho risposto, non me ne viene in mente nessuno. E intanto pensavo: non siamo mica così scemi, noi.Mi sono girata e tra  tanti signori di una certa età ho visto il bel sorriso di un ragazzo alto, con i capelli castano chiari e la macchina fotografica al collo. Sorrideva a me, non smetteva di guardarmi negli occhi e di sorridermi. Siamo usciti insieme dal cimitero e al pomeriggio siamo andati al teatro dove si celebrava la vera commemorazione di Gardel. La gente urlava, cantava, appaludiva mentre i ballerini si esibivano sulle note delle sue amate canzoni e io mi sentivo immersa in quella gigantesca onda nazional popolare che in Italia odierei senza pentimenti. Nicolàs sorrideva e scattava foto. Dopo otto mesi e mezzo, al nostro secondo incontro, si è fermato in un'edicola a comprare una rivista di fotografie appena uscita e mi ha detto: questa è per te. C'era il suo servizio fotografico di quel giorno alla tomba di Gardel. Miracolo argentino.