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Un blog creato da malenamil il 12/10/2005

mi querido

viaggio nell'anima di Buenos Aires

 
 

AREA PERSONALE

 

BENTORNATO TANGO

"L'essenza del tango sta nel suo carattere di musica di quartiere, di marginalità.

Il tango lo canta sempre un poeta impegnato. Anche se i tanghi non hanno un contenuto esplicitamente politico, tutti i tanghi sono impegnati perchè sono politicamente scorretti. E oggi lo sono ancora di più, in questi tempi dove la sconfitta, la povertà e l'emarginazione mostrano il loro essere effetto politico. Il tango è scorretto, trasgressivo, e per questo è tornato. In questi tempi di vigliaccheria davanti alle incertezze, questa musica aiuta ad affrontare l'angoscia, a fare riflettere su noi stessi, sul nostro domani.

Dove suona un tango, si stabilisce una complicità di spazio, tempo ed emotività. E questo è il mistero dell'universale. L'energia del linguaggio al di là della lingua, il rito, la corporeità. E' il mistero che ci unisce e ci separa".

(Adriana Varela, cantante di tango)

 

FOTOTANGO

immagine
 

TANGUEANDO

“El tango, hijo tristón de la alegre milonga, ha nacido en los corrales suburbanos y en los patios de conventillo.
En las dos orillas del Plata, es música de mala fama. La bailan, sobre piso de tierra, obreros y malevos, hombres de martillo o cuchillo, macho con macho si la mujer no es capaz de seguir el paso muy entrador y quebrado o si le resulta cosa de putas el abrazo tan cuerpo a cuerpo: la pareja se desliza, se hamaca, se despereza y se florea en cortes y filigranas.
El tango viene de las tonadas gauchas de tierra adentro y viene de la mar, de los cantares marineros.

 

ESIBIRSI AL SALÒN CANNING È UN MUST

 

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C'ERANO UNA VOLTA..JAVIER Y GERALDINE

 

LA DANZA DELL'UNIVERSO

"LOS PLANETAS GIRAN, HAY UN SISTEMA EN EL UNIVERSO QUE ES CIRCULAR Y EL GIRO, LOS ATOMOS TAMBIEN ESTAN GIRANDO SOBRE SI MISMOS Y A LA VEZ EN ORBITA CON OTROS, Y TODO ESTA VIBRANDO Y GIRANDO, TODO ES CIRCULAR Y REDONDO. Y PARA MI EL TANGO COMO DANZA ES ESO"

 
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Bruna Bianchi

Bruna Bianchi Giornalista

 

 

Ballando cumbia

Post n°663 pubblicato il 01 Ottobre 2010 da malenamil

Bailando cumbia

Fuori Buenos Aires si balla cumbia..provare per credere!

 
 
 

La stazione della Pampa

Post n°662 pubblicato il 01 Ottobre 2010 da malenamil

Otamendi

 
 
 

Oltre Buenos Aires

Post n°661 pubblicato il 01 Ottobre 2010 da malenamil

C'è la solita ferrovia che trovi dapperutto, anche a Buenos Aires. E', questa, una ferrovia che pare sperduta, nel mezzo di un campo della Pampa argentina, con le auto che passano e sollevano una nuvola di polvere gialla. Si chiama riserva naturale di Otamendi e non c'è niente, a parte il treno azzurro e arrugginito che passa con ritardo, i ragazzi che lo aspettano seduti al bordo dei binari e la bambina del chiosco che nasconde il visetto color caramello quando vede la macchina fotografica. Fa un po' caldo caldo e un po' freddo freddo, nella primavera dell'altro emisfero che ancora tarda a far forire gli alberi viola e ha fatto schiudere, da poco, solo le frisie gialle che circondano il rio della Plata in questa bocca stretta dove si va a pescare alla domenica. Le auto parcheggiate non hanno tempo come non sembra averne questo luogo sudamericano, vicino alla capitale (sono circa 80 chilometri), ma lontanissimo dalla sua vita veloce, i rumori a scatto,  i suoi abitanti così cittadini. Qui è tutto fermo, polveroso. E' campo  e cielo sterminati. La gente è docile come agnelli senza difese, il turismo non viene qui. Qui ci vengono loro, dalle povere case sparpagliate a macchia, per sedersi al sole di una spiaggetta piena di rifiuti portati dal Rio, bere mate e stare in silenzio. Silenzio di pescatori. Ci sono le barche rotte e i pescatori col cappello di cuoio a falda larga, c'è il chiosco sulla palafitta, un tempo rifugio dei pescatori, col legno che cade a pezzi. La grande nave bianca che passa lascia una scia sul fiume marrone e io sento un filo di musica d'Opera nella testa.  Una bambina piccola e bionda taglia con le forbici un fiore di fresia e me lo offre, su suggerimento della madre seduta a bere mate, con una manina sottile. Il mio sorriso sorpreso e raggiante le fa avvicinare la bocca alla mia e ci schiocca sopra un bacio umido. Non credo abbia più di due anni ed è bellissima. Vorrei stare qui per sempre, in questa pace di cose e persone senza pretese e senza parole inutili, tra bambini che giocano liberi e altri che pescano seri, con le scarpe appese sotto le ascelle, come se fosse il lavoro che sempre hanno fatto nella vita. Andiamo a cercare un posto per mangiare alle quattro del pomeriggio di una domenica, tardi anche qui per trovare ancora qualcosa.  C'è una gara di motocross nel circuito predisposto appositamente e, più in là, altri motociclisti vestiti di nero che aspettano di imbarcarsi per attraversare il rio fino all'isola. Sento dire da uno di loro che non tornerà indietro stasera, sarà un viaggio sul fiume, tra un traghetto e l'altro  fino in Uruguay. L'unico ristorante, un'estancia con giardino, ha già chiuso la cucina e non lascia entrare. Una signora scortese invita a prenotare per la domenica successiva. Sarà della capitale, penso istintivamente, e non di qui.  Non ho ancora trovato un argentino della Pampa che non si faccia in quattro per darti da mangiare a qualunque ora e infatti lo troviamo, poco dopo, a lato strada, alla parilla che assomiglia ai nostri chioschi del sud dove si cucinava carne alla griglia per le famiglie. Non so se ci sono ancora, io ne ho un ricordo antico.  I tavolini di plastica rossi e bianchi sono piantati nella terra, un gruppo di uomini beve birra di fianco alla griglia annerita da chissà quante carni cotte alla brace e due ragazze vengono a dire che non è rimasto quasi più niente. Sulla brace ci sono alcuni pezzi di carne e di chorizo, la salsiccia argentina. La ragazza porta tutto quello che c'è perchè siamo affamati, ma un pezzo di carne, stranamente, è duro. Poco dopo arriva il capofamiglia, l'unico in Argentina che cucina l'asado. Questo pezzo è duro, gli dico. Lui prende il piatto e torna con un altro pezzo di carne infilato sul forchettone, spuntato da chissà dove, stavolta morbidissimo, e siamo tutti contenti. Torna poco dopo a sincerarsi che fosse buona perchè per un uomo argentino è vergognoso sbagliare a servire la carne, peggio ancora se io sono una straniera.  Lo riempio di complimenti sinceri, la carne è buonissima, il vino delizioso. La radio suona la cumbia e io voglio imparare. Arriva un signore con la pancia e mi fa ballare. Gli altri uomini guardano e sorridono. Nessuno  insiste ma balliamo tutti, così, come se fosse naturale in una domenica di relax senza pretese. So che non stanno mostrando le loro abilità, nè che vogliono conquistarmi e neppure mi stanno offrendo qualcosa perchè sono cliente. Stanno solo rispondendo alla mia voglia di condividire un pezzettino della loro vita di tutti i giorni e di portarmi nel cuore tanta semplice serenità.  Il conto, per quattro persone e qualche avanzo dato al nostro cane Romeo è di 90 pesos: a Buenos Aires una grigliata così l'avremmo pagata almeno il doppio.   Per togliere la curiosità:  90 pesos in questo momento sono 18 euro. Ce ne andiamo alle sei di sera, col tramonto in faccia e le figlie del parrillero che stanno accatastando i tavoli e le sedie. Ci scambiamo baci cordiali mentre io ringrazio di avere imparato a ballare almeno il tango che mi ha permesso di muovere, a tempo, anche i passi della cumbia e divertirmi un sacco.

Che bella domenica.

 
 
 

La mozzarella

Post n°660 pubblicato il 30 Settembre 2010 da malenamil

Incontro, ogni tanto,  italiani che hanno deciso di vivere a Buenos Aires. La maggior parte sono nella fascia d'età tra i 30 e i 40 anni. Se gli chiedo cosa gli manca dell'Italia (a parte amici e parenti), tutti mi rispondono facendo una pausa e poi dicono sorridendo: la mozzarella.

 
 
 

Matrimonio d'amore e tango

Post n°659 pubblicato il 28 Settembre 2010 da malenamil
 

Osvaldo y Coca

 

Osvaldo y Coca, un matrimonio che dura da 53 anni.  Ballano per

 il primo anniversario del Moran,  il club di barrio di Agronomia

di Buenos Aires

(Foto B. Bianchi)

 
 
 

Il piccolo cartonero

Post n°658 pubblicato il 28 Settembre 2010 da malenamil

Ha un viso delicato, una maglietta a maniche lunghe blu che sembra pulita e trascina un enorme cassone coperto di plastica dove butta la  plastica e il cartone che incontra nei sacchetti della spazzatura e nei cestini fuori dalle case. Potrebbe avere 12 anni e non so il suo nome ma per me potrebbe chiamarsi Maxi, Ezequiel, Ariel o Gabriel che non fanno i cartneros ma non mangiano più di una volta al giorno. Lo vedo passare alle dieci di sera, da solo, nella silenziosa via dove vivo, nella sua notte di lavoro già cominciata da almeno tre ore. Non ha cenato mi risponde alla domanda diretta, e forse non cenerà se non troverà qualcosa nella spazzatura o qualche ristorante pietoso non gli lascerà qualche avanzo di carne alla griglia.  Ci sono momenti in cui bisogna decidere rapidamente cosa fare e questo è uno di quelli. Ho solo pomodori nella borsa di plastica e gliene offro uno con vergogna perchè ai bambini non piacciono i pomodori e non hanno nemmeno le proteine che ti danno la forza di trainare il carretto per tante ore. Lo prende con un grazie sottile. Lo anticipo di qualche metro e corro a casa a cercare qualcosa di meglio da mangiare e trovo solo biscotti. Glieli metto in mano con più vergogna di prima, perchè i biscotti non sono una cena per nessuno, nemmeno per un bambino. Li prende e ringrazia senza guardarmi negli occhi. Torno a casa pensando se ho fatto la cosa giusta, quella dell'istinto materno che qui suona invece come la carità dell'europeo che non capisce niente dei cartoneros. Mi affido ad Eduardo, che nel quartiere ci vive e i cartoneros li conosce a menadito, per chiedere cosa fare la prossima volta. Lui dice che può essere pericoloso fare capire che siamo buoni con loro. Dice che potrebbero derubare o entrarci in casa, o addirittura chiamare la famiglia per assaltarci e portare via tutto quello che abbiamo. Dice che non si può essere tanto buoni coi poveri che non hanno proprio niente.  Voi cosa fate?, azzardo. Diamo loro da mangiare, risponde.

 
 
 

Vivere in hotel

Post n°657 pubblicato il 28 Settembre 2010 da malenamil

Si chiamano hotel familla e ci si vive come se fosse una casa. A Buenos Aires si vedono nei barrios meno residenziali, spesso sono case antiche a due piani, a volte quelle in stile coloniale con il giardino nel mezzo. Eduardo mi lascia entrare a visitare la sua, in Almagro. Una bella scala stretta di marmo bianco antico porta al primo piano. Ci sono tre poltroncine e piantine ad abbellire quella che sembra essere la hall d'attesa di un piccolo hotel. Qui, un tempo, ci viveva una sola famiglia, quella di un poeta, giornalsta e scrittore. Adesso ci vivono pensionati, signorine sole e Eduardo con la moglie e il bambino di 4 mesi. La sua stanza è un tugurio buio di 15 metri quadrati per il lungo, pieno di cose inutili accastate, un letto matrimoniale in fondo alla parete, finestrelle alte e con le grate. Sembra la cella di un carcere. Lui ne parla contento: prima vivevo  in un conventilllo della Boca, qui è molto meglio. Paga 800 pesos al mese (per 1200 pesos al mese si può trovare un appartamento di 60 metri quadrati) , come tutti gli altri che hanno stanze simili, una addirittura più piccola della sua. In alto c'è la terrazza per stendere i panni e la griglia per l'asado che però non fanno mai perchè non riescono a mettersi d'accorso su niente. La proprietaria vive lì, l'unica ad avere l'aria condizionata e forse una stanza più grande. Ha comprato questa casa solo due anni fa,  per 180 mila dollari, vendendo la sua in zona Congreso. Affitta i tuguri senza aver mai fatto nessuna miglioria, nè aver mai ridipinto nemmeno le pareti comuni. La scala di ferro che porta alla terrazza è arrugginita, i muri perdono i pezzi, la grande vetrata, memporia di un  raffinato stile liberty di inizio secolo, non è mai stata nemmeno lavata.  Eduardo si lamenta: i soldi che incassa dai nostri affitti se li mette via e stop. Diice che è una scelta vivere in uan casa famiglia perchè si divide la cucina e il bagno, ma non ci si sente soli. Dice che è bello stare insieme, come nei vecchi conventillos degli immmigrati, ma sarebbe più bello mettersi d'accordo sulle migliorie da fare per stare tutti meglio e invece ognuno si fa gli affari suoi e insieme non fanno mai niente. Sa fare di tutto e aggiusta quello che può, sperando che la padrona di casa gli abbassi un po' l'affitto ma tante cose non si possono nemmeno aggiustare perchè sotto il tetto di vetro nel centro della casa che si inerpica verso l'alto, c'è un asilo per bambini e sarebbe rischoso metterci le mani.  Nei tanti strati sociali di Buenos Aires Eduardo è un gradino al di sopra dei poveri e due dai poverissimi. Esco da quel picolo hotel familiare che potrebbe crollare a pezzi da un momento all'altro sulla testa dei bambini del'asilo del quartiere,  immaginando un'usuraia che incassa soldi ogni mese, fa vivere Eduardo, la moglie e il  bambino in una cella, e li rende persino contenti. 

 
 
 

Milena Plebs per Pugliese

Post n°656 pubblicato il 24 Settembre 2010 da malenamil

David Palo y Milena Plebs

Milena Plebs y David Alejandro Palo

(foto B.Bianchi)

 
 
 

Omaggio al maestro della musica

Post n°655 pubblicato il 24 Settembre 2010 da malenamil

Lidia Pugliese ha la voce incrinata, a metà tra l'emozione e l'età avanzata. La moglie del maestro che se ne è andato a 90 anni già 15 anni fa, assiste all'omaggio che Buenos Aires ha finalmente voluto riconoscergli: "Niente è mai starto facile per lui, potevano dedicargli la Scalabrini Ortiz, ma non si poteva per legge, e allora va bene anche la fermata del subte Malabia. Pugliese (non lo chiama mai mio marito, ndr.) era un musicista ma soprattutto un uomo. E' stato onesto, sempre, e ha pagato per la sua onestà. Voleva la Casa del tango e l'ha costruita. E' stato  comunista fino alla fine, il suo nome fa del bene a chi lo pronuncia. Sono stati i ragazzi del rock ad amare per primi la sua musica e acclamarlo San Pugliese. Io ho oggi dico grazie a voi tutti che gli volete bene".   Calle Corrientes, a Villa Crespo, dove Pugliese è nato, nella serata in cui si inaugura la stazione del metrò a suo nome - la Malabia - si dice che ora si può andare dalla fermata Gardel a quella Pugliese a fare una passeggiata in memoria dei miti di Buenos Aires conosciuti ormai in tutto il mondo. La seconda moglie del musicista che ha rinnovato il tango con un compas che si avvicinava alla forza del modernissimo rock anni '60, capace di fondare una cooperativa per i musicisti e di dividerne il ricavato delle serate senza mai farne una ricchezza personale, finito in carcere per le sue idee durante la prima dittatura e lasciato poi in pace perchè troppo influente sul popolo durante la seconda, ricorda pubblicamente l'uomo pubblico che ha amato in privato. A fianco a lei Beba, la figlia con la quale non scambia neppure uno sguardo, e la nipote. Sono una famiglia di musicisti semplici e vicini al popolo, ma le idee sono differenti. Cantano le belle voci di Lina Avellaneda e di Abèl Cordoba (che cantava nell'orchestra di Pugliese), suona l'orchestra del barrio e balla Milena Plebs, ormai considerata la decana dei grandi del tango che Pugliese lo ama e lo rappresenta appieno da decenni in tutto il mondo. E' un angolo politico e popolare insieme, con le sedie messe in mezzo alla strada, ai bordi della trafficatissima Corrientes, tra garofani rossi che ricordano quelli del suo obbligato silenzio, quando lo prendevano e lo mettevano in carcere e l'orchestra continuava a suonare senza di lui lasciando appunto un garofano rosso sul suo sienzioso piano. Altri tempi, nuovi (poco) faticosi riconoscimenti per un governo di Buenos Aires lontano milioni di chilometri dalla statura morale di un direttore d'orchestra coerente, giunto con il suo tango fino al teatro Colon, il tempio della musica lirica, per acclamazione e diritto con l'umiltà di un uomo qualunque che sa toccare le corde dell'animo umano e le fa vibrare. Anche, o forse proprio, perchè era comunista.

 
 
 

Osvaldo Pugliese e la classe operaia

Post n°654 pubblicato il 23 Settembre 2010 da malenamil
 

Estacion subte Pugliese

 
 
 

Vecchi e nuovi milongueri

Post n°653 pubblicato il 20 Settembre 2010 da malenamil

Maipù 444, il Cachirulo del sabato, primo turno dalle 20 alle 22 e 30. secondo fino alle 3 di mattina, ha messo un cartello in tutte le lingue: rispettate i codici di questa milonga o andate altrove. I codici sono quelli del milonguero tradizionale: mirada, cabeceo, rispetto, cavalleria, niente esibizioni, niente gambe al vento, ecc.   E' forse la milonga più dura, per chi è europeo, che ti costringe a stare al tuio posto, saper ballare ed essere giudicato impietosamente con lo sguardo fisso persino sulle unghie dei piedi. Dopo tre ore non se ne può più. E' stato bellissimo, ho ballato benissimo, mi hanno invitata e strainvitata, ho imparato tantissimo,  ma approfitto di due ragazzi gay che hanno sbagliato serata (stesso luogo ma il mercoledì) per andare a Milonga 8, a villa Crespo, e condividire il taxi. Maipù ha un'atmosfera pesante, ben poco divertente e io mi sto abituando alle milonghe che fanno stare bene anche l'umore, che, purtroppo,  sono solo quelle dei giovani. Per giovani non si intende ragazzini. Ci sono anche loro (di solito fuoriclasse che insegnano e fanno spettacoli in Europa), ci sono i trentenni,  quarantenni e oltre.  E ci sono i turisti, a vagonate quest'anno, nonostante la stagione sia ancora indietro rispetto a quella che inizia solitamente a novembre e termina a  marzo con la bella stagione.  Un orientale mi invita e dice di essere degli Usa, un meticcio coi capelli ricci e crespi che ha la faccia da brasiliano sputata dice di essere belga. Sono confusa. Le francesi sono invitatissime anche se non ballano tanto bene e non vestono per niente bene. Però sono francesi e ballano tutte con gli occhi chiusi come bamboline e agli argentini piace tanto. Prima li facevano impazzire le orientali, adesso la moda è cambiata, forse perchè le orientali nel frattempo hanno imparato bene il tango e non si lasciano trasportare? Le americane parlano americano alzando la voce, i giapponesi (uomini) parlano spagnolo aprendo tutta la bocca. Milonga 8 si riempie dopo l'1 di mattina e se hai pazienza balli: gli argentini invitano e si possono invitare. L'atmosfera è rilassata, il locale è piccolo: è un club di barrio e costa 10 pesos e non 20. Se anche sono livelli intermedi sono deliziosamente educati, come non ti aspetteresti dai giovani (noi abituati alle cafonaggini europee..) e fanno di tutto per ballare bene. Anche  turisti si adeguano, per fortuna. I giovani argentini hanno  corpi così scolpiti che anche solo abbracciarli è un piacere che si somma, per una lunga serata,  a quello dei milongueri ultrasessantenni della Maipù. La mia serata di tango è inziata alle 20 ed è  finita alle 2. Mi sembra che il mio asse sia cambiato di colpo: cammino coi tacchi nella deserta e ventosa Villa Crespo e non mi fa male nemmeno un alluce.  

 
 
 

Heidi

Post n°652 pubblicato il 20 Settembre 2010 da malenamil

Heidi

 
 
 

L'angelo dei bambini

Post n°651 pubblicato il 20 Settembre 2010 da malenamil

Heidi mi vede per prima, nella confusione di una rapina tra i turisti a Caminito. Due anni dopo le sue scomparse repentine, le sue assenze dal lavoro, le sue non risposte al cellulare, è rimasta quella ragazza che ho conosciuto, con un bambino da tirare su da sola e una casa che dice di avere e non si sa mai se è vero. Il suo abbraccio è caloroso, la riempio d baci di sgridate insieme, come farebbe una madre che vive lontano e per quella figlia sperduta non sa cosa fare se non pensarla.  La sua anima fragile e la sua vita ai margini cozza con il suo carattere forte quando la sento protestare con la vigilessa (la nuova polizia municipale voluta dal sindaco Macri) che si è appena indossata il gubbotto antiproiettile.  Quel ladro che ha scippato un'argentina menttre fotografava, al di qua della via del treno, cioè nel'unica aerea considerata sicura di Caminito, la fa infuriare: noi qui lavoriamo, dice quasi gridando, dovete aiutarci. La vigilessa è una di quelle che prenderesti a schiaffi, qui come dappertutto. Le importa solo che Heidi usi un tono rispettoso, non quello che le sta dicendo. Sono venuti con l'auto, bardati da guerriglia urbana, con la pistola in vista, per accontentare i turisti, ma del ladro che si sa bene dove sia andato con la refurtiva, se ne infischiano. Do man forte ad Heidi: tre strade di cento metri l'una sono poche da controllare per la cartolina Caminito. La vigilessa dice che non spetta a loro, allora replico che prima di loro c'era un poliziotto federale e non ha fatto assolutamente niente. Lei replica che ci vuole la denuncia. Non sapendo cos'altro dire, mi sibila che non so parlare spagnolo, e così come era venuta per mostrarsi, la pattuglia inutie dei vigili metropolitani se ne va, lasciando di nuovo Caminito in mano ai violenti scippatori che mai prima d'ora erano arrivati fin lì.  Vorrei organizzare una spedizione punitiva (per la verità anche contro i vigili urbani arroganti che sono peggio dei poliziotti ignoranti) nelle case dei delinquenti della Boca. Heidi suggerisce un sindacato, io 40 energumeni dei bassifondi da pagare per cacciare via la plebaglia violenta che si sta impossessando delle vie della Boca, vive a sbafo degli ignari visitatori che fotografano i ballerini di tango (più argentini e brasiliani che europei) e non risparmia neppure gli abitanti della Boca che lavorano sodo per 500 pesos al mese. Heidi di lavori ne ha due per campare con Agustin. Se non va al lavoro è perchè fa una vita da schifo e a volte le viene più facile ubriacarsi di  birra anzichè di acqua. Oggi la vedo serena, coi capelli del suo colore naturale e non tinti di biondo, che si compra acqua e non coca cola, che lavora sodo davanti al ristorante finchè la voce le diventa roca gridando vengano a provare il nostro asado. Vorrei che questo luogo magico, della memoria degli immigrati italiani, isola felice dei sogni della gente, fosse sicuro per tutti. Per chi ci va e per chi ci vive. Vorrei che questa delinquenza non diventasse, un giorno non lontano, una scusa per radere al suolo  tutti i conventillos storici dei nostri genovesi di fine '800 e farci chissà che cosa. Il Riachuelo è uno schifo da vomito. Col vento di questi giorni, il Rio della Plata, da cui fuoriesce, si è alzato di colpo abbassandone di conseguenza il livello e si vede un melmoso strato uniforme color petrolio, immobile come un sasso, puzzolente come una fogna. Qui davanti si continuano a vendere mele ricoperte di caramello caldo, noccioline e oggetti artigianali.

Me lo trovo davanti così, di colpo. Ezequiel è alto quasi quanto me. Mi sorride, mi abbraccia. Vieni, dice, c'è mio fratello lì. Gabriel scatta in piedi, all'inizio timoroso di avvicinarsi, poi incapace di staccarsi dal mio abbraccio e dai miei baci che gli coprono il viso. Non li vedo da un anno, i miei ragazzi, di loro non riuscivo a sapere niente. Gabriel ha sempre il viso triste, è più magro, zoppica e ha le spalle curve, come se portasse un peso faticoso. Anche Ezequiel ha perso quella luce negli occhi che lo rendeva un bambino bellissimo. Sono cresciuti, i miei ragazzi dell'isola, ma hanno scelto di stare dalla parte dei buoni. Durante la settimana vanno a scuola ad Avellaneda dalle 7 alle 18 e il fine settimana vendono imagenes a Caminito, quelle che si attaccano al frigorifero, così come faceva Maxi prima di loro. Gabriel non ha più rubato da quella volta del museo, quando l'ho chiuso nella stanza a piangere come un vitello 15 minuti dì'orologio. e se lo ricorda, quanto se lo ricorda.  Ha 16 anni e si lascia accarezzare come un bambino. Chiedo come hanno passato l'inverno gelido nelle loro catapecchie e Ezequiel racconta di quella volta che hanno rischiato di morire tutti soffocati dalla stufa. E di quell'altra in cui il cugino di 23 anni è stato cacciato dalla casa della nonna perchè un tipo gli ha sparato nella gamba. Chiedo della mamma, delle sorelline e del papà che arriva, la mette incinta e se ne va per mesi. Ridono: la fabbrica è chiusa, niente più fratellini.

Non so quale angelo li abbia protetti fino ad oggi, ma sono sicura che per loro ce n'è uno speciale.

 
 
 

Nelly Omar, la voce immortale del tango

Post n°650 pubblicato il 18 Settembre 2010 da malenamil
 

 

Da Buenos Aires

 

di Bruna Bianchi

 

 

Il 18 agosto, quando mancava meno di un mese al suo 99esimo compleanno, Nelly Omar si è infilata il poncho rosso ed è entrata alla Casa Rosada, attesa dal presidente dell'Argentina Cristina Fernandez Kirchner. “Non mi ha chiesto niente, è stata fredda e impersonale. Mi ha consegnato la nomina di Ambasciatrice della Cultura Nazionale e io mi aspettavo molto di più. Volevo il riconoscimento per i 17 anni della ditttatura in cui non ho potuto lavorare”. La cantante più amata d'Argentina, mito vivente e longevo della musica popolare, folcore e tango, ce l'aveva in punta di lingua e gliel'ha detto: “Presidente, dovrebbe avvicinarsi di più al popolo e non parlare alla gente senza che la gente capisca quello che dice”. Lei, che era amica di Evita Duarte e per quell'amicizia con la futura moglie del presidente Peròn ha pagato duramente durante la prima dittatura argentina del '55 e la seconda del '76, è rimasta quello che era e per questo, infine, è stata premiata: coraggiosa e onesta, sempre leale verso il popolo che ancora oggi l'acclama e il peronismo che ha sostenuto scrivendo “La descamisada” per aiutare la sua amica Evita che lottava per l'elezione del generale nel '45. Entrambe un mito, una leggenda eterna nell'Argentina che cambia ma resta fedele alle sue voci più legate alla patria. Quando l'Europa entrava in guerra, Nilda Elvira Vattuone (il suo vero nome) era all'apice del successo. Figlia di un genovese che a 12 anni aveva lasciato l'Italia col padre per lavorare in una “estancia” della provincia di Buenos Aires come falegname, era la settima di dieci figli. A cinque anni cantava a scuola ma non sapeva ancora che la sua vita sarebbe diventata quella di una star. Papà nel frattempo aveva comprato un bel pezzo di terra e la famiglia era diventata agiata. Erano gli ani '30, quando in Europa si diceva “ricco come un argentino” e Nelly sognava di diventare aviatrice. Guardava gli aerei e s vedeva alla cloche come la prima donna pilota, ma un brutto giorno il padre morì di crepacuore e la famiglia, numerosa, subì un tracollo economico. Nelly sognava gli arei quando si accorsero che aveva una bella voce e le proposero di cantare per 180 pesos (allora una bella somma). Il siciliano Ignacio Corsini, uno dei più famosi cantanti di tango, le propose di registrare una milonga alla radio e la mamma di Nelly, pensando alla piccola fortuna in arrivo non si lasciò scappare l'occasione: “Tu sei nata per cantare, non per guidare gli aerei”. Fu allora che cominciò la sua carriera, e fu allora che conobbe Evita Duarte, aspirante attrice. “Ci davamo la mano e dicevamo: siamo amiche, nessuna delle due deve rivelare a nessun altro quello che ci diciamo”. Complici e attiviste entrambe per il peronismo, entrambe ribelli e indomabili. Intanto era nata la radio. Guglielmo Marcoi la inventò in Italia, ma fu la ricca Buenos Aires dell'epoca a farla entrare per prima nelle case e con la radio la musica del tango e del folclore nazionale. Evita Peron muore di cancro nel '52, il so corpo resta imbalsamato nella Casa Rosada fino al '55 quando un golpe militare spodesta il presidente Juan Domingo. E' la caduta anche di Nelly Omar che nel frattempo aveva registrato per le grandi case discografiche i più bei tanghi dell'epoca d'oro del ?40 e '50. E' lei stessa dirlo: “Io sono il prodotto della radio”. La dittatura la zittisce, le porte si chiudono, è costretta a ed espatriare prima in Uruguay e poi in Venezuela. La sua bellissima voce diventa muta e lei comincia a fare la fame. E' allora che indossa il poncho, come Mercedes Sosa, la cantante dei poveri, è allora che quel poncho andino diventa il simbolo della fame e delle ingiustizie: “Ci stiamo avvicinando alla fine del mondo, la gente soffre, per fortuna io non la vedrò”.

Negli ultimi giorni dell'inverno argentino indossa una leggera giacca di lana grigia, comodi sandali, un velo di rossetto sule labbra e parla senza sosta. Ha compiuto 99 anni il 10 settembre. “Ho avuto un sacco di inviti e nemmeno un momento libero”. Mangia una volta al giorno, solo due volte alla settimana la carne, non ha mai bevuto, non fuma, è stata operata di appendicite nel '42 e quando il medico la visita le dice che ha i polmoni di una ventenne. “Tutti i miei familiari sono morti di attacchi cardiaci – dice quasi sorpresa – io credo che il canto mi abbia salvata”. Lo scorso anno si è esibita al Luna Park, il più famoso teatro per i grandi spettacoli di Buenos Aires, con quel suo timbro greve e la voce piena, la sua magica interpretazione del tango e della milonga popolare, quella venuta dal campo, che le ha permesso di essere l'ambasciatrice di tutti, anche dell'altra Argentina che il tango non lo ascolta nemmeno. “Ho vissuto la vita che volevo, cantando. Cosa altro posso volere di più?!. Ha avuto quattro compagni, uno famoso: Homero Manzi. Il grande poeta che ancora commuove con le immortali parole romantiche però non è stato l'amore della sua vita “Era lui a cercarmi, io no. L'ho lasciato quando non ha mantenuto la promessa di dividersi dalla moglie e sposare me”.. Sezza mezze misure, allora come oggi, Nelly ricorda Homero Manzi e il cancro che se l'è portato via a soli 42 anni, nel pieno della sua produzione artistica. “Io sono Malena, io sono Ninguna, io sono tutte le donne dei tanghi che ha scritto Homero”. La canzone Malena, musicata in soli 15 minuti da Lucio De Mare per la straordinaria bellezza delle sue parole (Manzi sostenne che era una donna simbolica e rappresentava il senso della perdita del popolo, perchè il popolo perde sempre, ebbe a dire). La canzone “Malena” è stata una leggenda per 50 anni, finchè Nelly Omar non ha rivelato che quella donna (“Malena canta il canto come nessuna e in ogni verso ci mette il suo cuore) altro non era che lei. Gli studiosi del tango sostengono che si trattasse di Malena da Toledo, un'alta famosa cantante di Buenos Aires, perchè venne scritta nel '41, mentre la relazione tra Nelly Omar e Homero Manzi cominciò nel'44. “Io Manzi l'ho consciuto nel '37 – afferma sicura Nelly – anche se non abbiamo mai vissuto insieme perchè allora vivevo con mia suocera e lui era sposato”.

Lucidissima, spontanea (mi piace esserlo e mi piace la gente che lo è”), quando la chiamano, ancora oggi, per cantare in pubblico, pretende il cachet (è il mio lavoro, non faccio niente gratis). Ogni giorno va al bar del barrio d Palermo, dove vive, a bere un cappuccino con una fetta di torta. Nella sua casa ci sono i ricordi di Carlos Gardel che era amico del padre e con il quale ha cantato alla radio, e nessuna lettera delle tante che le ha scritto Manzi, così come il film degli 'anni '30 che l'ha vista protagonista: “mia sorella ha bruciato tutto”. Rmasta sola da oltre dieci anni dopo la morte dell ultimo compagno , Hector Oviero, il direttore di una rivista di tango, l'unico che ha veramente amato, scherza: “Vorrei un altro fidanzato ma di 40 o 50 anni, al quale possa appoggiare il braccio e non uno a cui debba tenerlo io”. Vorrebbe che tutto tornasse com'era, perchè la società di oggi non le piace. Polemizza con la legge recentemente approvata del matrimonio gay, con la sinistra che potrebbe prendere il potere nel mondo, con i giovani che non hanno cultura, lei che ha avuto a fortuna di essere attorniata da grandi letterati e artisti dell'eooca d'oro, critica il tango di oggi “è un disastro, mescolato con tutto”. Per lei il tango è “espressione del popolo, un sentimento personale. . “Il tango di oggi è una fantasia”. Di Piazzolla dice che non è stato un autentico del tango. “Toscanini dirigeva l'opera, non era sua, era di tutti.. Piazzolla suonava una musica sua e basta”.

E' acclamata ancora oggi per Noblesa de Arrabal, e Sur , tanghi del tempo antico di una Buenos Aires aristocratica e plebea insieme, come era stato suo padre il genovese, sbarcato al porto della Boca a fine '800 tra gli umili immigranti italiani.

Nelly la quasi centenaria, sogna un viaggio in Europa: “Vorrei vedere altri teatri, qui è sempre tutto uguale. Parigi, La Scala di Milano, prima che da lassù mi chiamino".

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La città senza pretese

Post n°649 pubblicato il 18 Settembre 2010 da malenamil

Buenos Aires non ha pretese di immagine, altrimenti le strade sarebbero aggiustate e i palazzi antichi non cadrebbero a pezzi in una delle città più belle del mondo. Non ci sarebbero i poveri seduti per terra, nè quelli che rovistano nela spazzatura giusto di fronte agli alberghi a 5 stelle per i turisti. Tutti i servizi pubblici funzionerebbero a dovere, e invece a dovere funzionano solo le rispettose code davanti ai bus, la cortesia dei portenios, le regole antiche della cavalleria verso le donne, la capacità di attendere un collettivo che non ha orari per non pagare un salatissimo ritorno a casa in taxi. Di auto ne vedi poche di notte, nelle strade silenziose, meno paurose delle nostre, ampie e illuminate che invitano a camminarle. Di giorno i ladri di borse sono sempre in agguato, di notte (sembra un paradosso) se eviti certe zone non incontri nessuno, nemmeno loro.  Le auto sgarruppate o lasciate come catorci inservibili, bruciati dalle fiamme (non dolose) o senza cofano e baule posteggiate davanti alle case, si fanno notare ben pià dei suv, dei fuoristrada, delle Mercedes, delle Honda e delle Citroen ultimo modello che pur ci sono e non sono solo dei ricchi sfondati del Sudamerica populista e capitalista insieme. Le belle vetrine curate di Palermo, cozzano con quelle di merci raggruppate alla rinfusa, cianfrusaglie di cineseria da comprare all'ingrosso nel barrio di Once, quello degli ebrei. Bar stratosferici e all'ultima moda affiancano quelli antichi e cadenti, mai ridipinti per mancanza di soldi e volontà, gestiti ancora dagli stessi proprietari che vogliono morire dietro il bancone e non nel proprio letto e non sempre per bisogno di denaro: servire il cliente è la loro ragione di vita.  Buenos Aires non può avere pretese e la sua gente nemmeno. Sa che domani i prezzi potrebbero improvvisamente schizzare alle stelle, i camion delle merci improvvisamente lasciare vuoti gli scaffali delle merci per uno sciopero generale di giorni e giorni, sa che la luce può saltare in un enorme black out, che le scuole possono cadere sulle teste dei ragazzi, che gli autobus potrebbero schiacciare un  passante o che l'autista dell'autobus potrebbe tornare senza un dito perchè gliel'ha tagliato via un gruppo di rapinatori drogati.  E così anche il tango è improvvisazione senza pretese nelle milonghe che non sono confiterie nè locali alla moda del tango, non rispondono ai requisiti europei ma attirano eurpei per la loro semplicità  e genuinità. Non so quanto resisteranno. Cochabamba 444 è uno di quei luoghi antichi dove si sta bene, un po' nella sporcizia, un po' tra gli appluasi e le risate, un po' tra  chi finge di tirarsela e non ci riesce,  e tra gente di ogni tipo e di ogni dove. Malvestiti o benvesitti, tipi nani e tipi grassi, tipi allampanati e tipi da tango. Qui, a San Telmo, tuti convivono senza giudicare nè essere giudicati. Ci sono le belle francesine e le spagnolette e per loro i giovani argentini che vorrebbero conquistarle soltanto con un tango ben fatto. Ci sono coppie che ti lasciano a bocca aperta, lei che ruota il bacino e miuove i fianchi come nella salsa, ballando in punta di scarpette da ginnastica consumate, lui che sorride con il crocchio in testa, ultima moda dei ragazzi del tango. A volte sono bellissimi, a volte bruttini. A volte ti riempiono di belle parle e poi ti refilano un bigliettino per le lezioni, a volte sorridono tutto il tempo perchè ballare insieme è divertente e non solo romantico o sensuale. Non c'è un argentino che balli come un altro. Ognuno ha il suo tempo, la sa interpretazione, il suo stile, il suo modo di essere, nel tango come nella vita di ogni giorno. Ognuno sa ascoltare la donna con cui balla, sa adeguarsi, sa capirla, sa come fare a farla contenta o per lo meno a non fare, insieme, una brutta figura. Il pubblico c'è e non c'è. C'è quando disrturba (e viene richiamato), c'è quando scherza, c'è quando applaude con entusiasmo per un compleanno o per l'ultimo tango di uno sconosciuto turista che ritorna in patria, non c'è quando si fa gli affari suoi bevendo una birra tra amici mentre gli altri ballano, o quando esce sulle pietre rotte del selciato e se le dà per gioco, come i ragazzini dopo la scuoila, o balla tango sul marcipaiede perchè dentro non c'è più posto neppure per un capello, mentre il vento sferza i visi e tutti si raggruppano sotto un muretto minuscolo e stretto a dirsi che bella serata sta venendo fuori, anche se fa freddo, anche se domani si lavora, anche se va tutto a catafascio,  abbiamo tirato il fiato abbracciandoci in un tango.

 
 
 

Vacanze da tangueri

Post n°648 pubblicato il 18 Settembre 2010 da malenamil

L'odore di aglio riempie tutto il primo piano della casa. La giapponese sta cucinando. Arriva saltellando, mette pesce in padella e mangia guardando video di tango in you tube. Lo spagnolo ordina empanadas o si fa due hotdog alla piastra alle cinque del pomeriggio. Mangia guardando il muro, lava i piatti e se ne va. Il francese lo incontri solo alle sette della sera e non dice nemmeno hola. Di giorno dorme, di notte va per milonghe scattando fotografie. Ha affittato un'auto e corre come un pazzo senza conoscere la città, ma ci azzecca quasi sempre.  Gli italiani fanno lezione tutti i giorni. Se ne vanno che è presto e tornano che è tardi, si fanno la doccia, si vestono, cucinano e poi via alla milonga. Ogni tanto li senti tossire o ti dicono che devono andare dal medico a fare visite. Lo svizzero si alza alle tre del pomeriggio, cucina, accende il computer e gioca con un programma per ragazzi che deve essere di moda. Ogni tanto il suo pc caccia grida spaventose. Lo spagnolo e la giapponese ridono come pazzi parlando del tango. Non ho mai capito di cosa ridano, ma lo fanno sempre al pomeriggio, quando è l'ora della siesta, o alla sera, quando uno vorrebbe andare a dormire magari un po' prima del solito. I francesi sono partiti senza salutare, lo svizzero pure. Alla mattina non vedi  nessuno, al pomeriggio arrivano le coppie argentine a praticare nella sala de ensayo e il tango oltrepassa la finestra chiusa al primo piano, oppure mettono la chacarera a tutto volume e battono le mani fino alle nove di sera Quando Andrès sta facendo pratica con la sua compagna non me ne accorgo neppure. Ha piedi leggeri, tiene bassa la musica e parla con un ritmo intimo. Se mi incontra nel patio mi bacia sulla guancia, si scioglie i capelli legati per ballare e chiede come sto.

 
 
 

La carovana del tango

Post n°647 pubblicato il 14 Settembre 2010 da malenamil

C'è la torta di compleanno, gli invitati veri e quelli che avrebbero voluto esserci ma sono stranieri tornati a casa loro e perciò sulle sedie ci sono le loro facce dipinte in un tondo bianco. Villa Malcom è in festa, il Tano e la Pepa, due ragazzi ballerini dell'ultima generazione, agili e magrini, allegri e romantici, hanno compiuto la loro prima missione: portare il tango nella Gran Buenos Aires. A trenta, quaranta, fino a ottanta chilometri dalla capitale, sono partiti con la carovana, un bus degli scolari, e hanno messo in piedi una milonga là dove non c'era. Anche per quattro o cinque coppie che vogliono ballare e imparare però non possono farlo sempre perchè Buenos Aires è troppo lontana. Per la nostra amata provincia, dice il tano (è un soprannome) che abbiamo nel ciuore e vogliamo che possa ballare come tutti noi. Li hanno aiutati anche i turisti durante un anno, i veri affezionati del tango, anche se è moderno, un po' più lontano da quello delle milonghe tradizionali di Buenos Aires, fatto di giovani ma non solo di giovani, più firendly, meno costoso (10 pesos l'entrata anzichè 20 o 23), meno per apparire e più per divertirsi. Persino la musica alla milonga di Villa Malcom è allegra, le versioni dei tanghi strappano sorrisi a tutti, la luce piena e non soffusa lo restituisce a quel club di barrio che era negli anni '50, dove  si ballava alla domenica pomeriggio, le donne sedute ai lati con la mamma o la zia e gli uomnini al centro, in piedi, che dovevano chiedere il le permesso alla mamma o alla zia per farle ballare.  Il progetto del tango delle milonghe in provincia andrà avanti, ben sapendo che il tango è Buenos Aires, come dice il Tano, perchè sono i turisti che riescono a mantenere aperte tante milonghe qui,  mentre fuori, anche se c'è qualcuno che la voglia di ballare tutte le sere ce l'ha, non si riesce a mettere ancora a mettere in piedi una milonga. Per ora ci si accontenta di due volte all'anno, poi chissà.

 
 
 

Ines y Sebastian, un mondo di tango

Post n°646 pubblicato il 11 Settembre 2010 da malenamil
 

Ines Bolgado e Sebastian JImenez

 
 
 

Campioni mondiali di sentimento

Post n°645 pubblicato il 11 Settembre 2010 da malenamil
 

Sebastiàn non beve, non fuma, a 18 anni si è già innamorato cinque volte e da dieci giorni è campione mondiale di tango. Quando balla chiude gli occhi e sorride, quando parla, racconta una storia di un ragazzo della Buenos Aires moderna, che sembra ricalcare le orme di un Gardel d'epoca, quella degli anni '20. Con Ines Bogado, 11 anni più grande di lui, Sebastiàn Jimènez ha conquistato il podio del titolo più ambito del tango, strappato a 420 coppie in gara nella categoria tango salòn (il più tradizionale), arrivato alla finale insieme con 40 bravissimi ballerini argentini, colombiani e anche italiani. Neanche a dirlo che è il più giovane vincitore da otto anni a questa parte, cioè da quando Buenos Aires decide chi è il migliore a livello internazionale in una danza difficile da imparare e interpretare, nata qui ma esportata da oltre venti anni in tutto il mondo.

Sebastiàn aveva solo dieci anni quando una coppia di ballerini di tango è entrata nella sua classe, la quinta elementare, per mostrare il ballo popolare d'Argentina anche ai bambini, parte integrante della cultura di questo paese e dichiarato un anno fa dall'Unesco patrimonio mondiale dell'Umanità. “Quella coppia era elegante, seduttiva. .Mi ha colpito il ritmo e il movimento. Non sapevo nemmeno cosa stessero ballando – racconta - e quando sono andato a casa ho chiesto a mio padre se potevo prendere lezioni. Ho detto: papà, ballavano abbracciati. E lui mi ha risposto, credo ballassero tango”. Perchè non sono nemmeno diecimila i ballerini di tango in Argentina, e delle famiglie dove si ascolta per radio e a volte si balla in cucina con i nonni, quella di Sebastian non fa parte. Loro, papà nell'edilizia, mamma casalinga e altri cinque figli, in casa hanno sempre ballato folclore, questo sì popolarissimo in ogni casa. Sebastian ha cominciato a studiare un ballo da adulti che era solo un bambino e il maestro lo sgridava: tieni fermo quel braccio, ascolta il ritmo. “Ho fatto una fatica terribile - ricorda – non mi entrava, non lo sentivo”. Sebastiàn studia economia, tra pochi mesi si diplomerà. Il tango, per lui, è stato un divertimetno e lo balla perchè gli piace. “Ho imparato ad invitare le donne adulte perchè è con loro che ho imparato di più. Mi costringevano a marcare più forte, a frenarmi, a imparare ad aspettare e andare più lento”. Doveva usare scarpe con cinque centimetri di tacco per arrivare ad abbracciare le donne, finchè un giorno, ormai 16enne, ha incontrato Ines durante un pomeriggio di pratica in un club di barrio, una milonga rimasta com'era dagli anni '50. “Ci siamo sentiti subito, è stata una cosa chimica tra noi. Lei era così tranquilla che mi dava tranquillità e così abbiamo deciso insieme di lavorare per il Mondiale”. Due anni a provare e riprovare, mentre lui studiava a scuola e lei già da sette anni ballava per i turisti prima davanti ai ristorantini di Caminito e poi in plaza Dorrego a San Telmo, sperando di riempire il cappello di soldi. Quando ballano insieme, Inès e Sebastian sembrano scrivere sul pavimento quella poesia che ha fatto nascere il tango letterato dei figli dei nostri emigranti, Si sorridono delicati, lei perfetta nello stile, seduttiva nei movimenti, lui uomo che guida con espressione infantile e leggera. Quando hanno iniziato a lavorare per vincere il Mondiale (e non solo per partecipare) Ines gli prometteva un regalo: se arriviamo alla semifinale avrai una maglietta con la faccia di Pugliese (il musicista, ndr), se arriviamo alla finale avrai una Ferrari, gli diceva scherzando. La Ferrari gliel'ha regalata davvero quando hanno vinto: un modellino rosso fuoco che Sebastian avrebbe voluto rosa, per gioco. Insieme si sono divertiti ed emozionati e delle invidie delle altre coppie che li hanno visti sfrecciare davanti, così giovani, a loro non importa niente: “Forse ci hanno premiato perchè abbiamo ballato come se fossimo stati da soli”.

La ballerina di strada, dove il tango è nato tra i bassifondi plebei della Boca e di San Telmo, è campionessa mondiale. Il bravo ragazzo umile e romantico che l'abbraccia delicato e sicuro intanto ha già fatto piangere la mamma: suo figlio sarà emigrante, ma non per forza: andrà a ballare in Europa, acclamato da altri ballerini italiani, tedeschi spagnoli, russi e americani che vogliono ubriacarsi di emozioni dimenticate.

 

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Dal parrucchiere

Post n°644 pubblicato il 11 Settembre 2010 da malenamil

Lezioni di tango

 
 
 
 

SU DI ME

Sono nata e vivo a Milano. Giornalista professionista dal 1989, lavoro come dipendente in Italia per un gruppo di tre quotidiani e sono specialista di crimini familiari, ricerca di scomparsi e indagini di cronaca nera nazionali e internazionali. Ballo tango argentino dal 2000. Il mio primo soggiorno a Buenos Aires è del 2004. Ho condotto ricerche sulla storia dell'immigrazione in Argentina e della nascita del tango. Sono stata intervistata in diretta alla radio di tango 2x4 (2008), alla radio culturale de la Ciudad del Gobierno di Buenos Aires (2009) e alla radio dell'Università de La Plata (2004). I post scritti a Buenos Aires sono frutto originale delle mie ricerche, quelli scritti dalll'Italia attingono da varie fonti, principlamente quotidiani argentini.

 

BUENOS AIRES VIDEO

 

LA DANZA DELL'UNIVERSO

"El tango es una danza poderosa porque es armònica con el movimiento del sistema en el que estamos inmersos. Es la danza de Shiva, la danza che le da forma al mundo y el mundo le da la forma a esa danza. Tiene todos los elementos: el hombre, la mujer, al yin y el yang, lo circular, el abrazo"

 

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MALENA, LUCIO DE MARE-HOMERO MANZI 1941

Malena canta el tango como ninguna
y en cada verso pone su corazón.
A yuyo del suburbio su voz perfuma,
Malena tiene pena de bandoneón.
Tal vez allá en la infancia su voz de alondra
tomó ese tono oscuro de callejón,
o acaso aquel romance que sólo nombra
cuando se pone triste con el alcohol.
Malena canta el tango con voz de sombra,
Malena tiene pena de bandoneón.

Tu canción
tiene el frío del último encuentro.
Tu canción
se hace amarga en la sal del recuerdo.
Yo no sé
si tu voz es la flor de una pena,
só1o sé que al rumor de tus tangos, Malena,
te siento más buena,
más buena que yo.

Tus ojos son oscuros como el olvido,
tus labios apretados como el rencor,
tus manos dos palomas que sienten frío,
tus venas tienen sangre de bandoneón.
Tus tangos son criaturas abandonadas
que cruzan sobre el barro del callejón,
cuando todas las puertas están cerradas
y ladran los fantasmas de la canción.
Malena canta el tango con voz quebrada,
Malena tiene pena de bandoneón.

 

EN LA CALLE

 

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ACADEMIA DEL TANGO

 

FOLKLORE ARGENTINO: ZAMBA Y CHACARERA

 
 
 
 

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