ballo lento

Post N° 147


 Primo Aprile, ore 20.30. Lui, sconosciuto uomo dagli occhi neri. Io, una data, un nome. Che ti ringraziano, stanotte. Perché stanotte, ne sono certa, mi stai pensando. Impossibile no, non lo è mai stato. Riconoscere l’anima attraverso un gesto, questo no. Ma attraverso un gesto erotico, quello è capacità innata e rara. Invece tu mi hai ricordato tutto questo. Mi hai ricordato l’eros che ho da tempo, messo da parte. Tu, che neanche conosco. Tu, di cui non so nulla, se non il lavoro. Mi sei apparso, accanto, mentre semplicemente sceglievo il colore del mio prossimo ombrello. Ti sei avvicinato con la scusa di parlare con colui che me lo stava vendendo. Di te so solo questo, che eri lì per fare il tuo lavoro, perché te eri la sicurezza e dovevi far rispettare le regole. Hai solo detto a lui, con gentile fermezza, di spostarsi verso fuori, perché dentro l’entrata della metropolitana non è ammesso. E di rumore ce n’era, di pioggia e di passanti che camminavano, insistentemente intorno a noi. Mi sono girata e ti ho visto, sotto un soffitto grigio e un cielo grigio.  Sono tanto più bassa di te. Non hai neanche mosso il volto per guardarmi, solo gli occhi. Ma non ti spostato, mi sei rimasto accanto. È stato allora. È stato mentre aprivo la borsa per pagare, piena di portafogli, spicci e tessera per i mezzi. Una tessera di carta che per comodità, ho messo tra le labbra. Non hai detto una parola, non ti ho neanche visto, perché eri al mio fianco. A volte le cose belle sono così. Sono al tuo fianco e se non ti volti, non le vedi. Oppure, se loro non fanno nulla per mostrarsi. Ero solo così, impegnata a recuperare l’occorrente per un fugace acquisto, che tu hai fatto quel che hai fato. Ho solo sentito qualcosa sfilarmi la tessera dalle labbra, agire lì dove l’intimo solo è permesso, prenderti qualcosa che non era tuo e che sai non avresti mai potuto fare se non so da quale parte del mio corpo tu non avessi avuto il permesso o semplicemente, se non ti fossi messo in testa che andava fatto. Mi hai sfilato dalle labbra qualcosa di mio. E sai che neanche a un amico in difficoltà lo avresti potuto fare. Non ti sei neanche giustificato, ma l’hai guardata con attenzione, e hai chiesto una conferma sulla mia data di nascita.Come se niente fosse.Come se non avessi appena violato la mia proprietà. Come se io fossi accanto a te da sempre. Come se ti avessi dato il permesso. Come un fulmine a ciel sereno. Come un ladro.Ma che ti sei rubato?Battiti del mio cuore incredulo, il mio volto che ti ha guardato e non sapeva che pensare, e come sempre in questi casi, ho fatto finta di nulla. Anzi, ti ho anche ringraziato. Erotico. Gesto erotico, mai visto a tal punto. Erotico brivido e battito di ali. Non ricordo nulla che mi abbia mai trafitto di emozioni così intense e se c’è stato, è stato giusto, normale, adeguato. È stato magari in un amplesso o nelle parole o nelle mani. Mi ricordo tanto adesso, ma solo ora mi tornano in mente quei momenti, ora che tu li hai risvegliati con un movimento della mano, perfetto e incisivo. Mi sono chiesta come hai fatto in un secondo, a darmelo, in un secondo, a capirlo. Mi sono chiesta se non sei un angelo. Perché un angelo è quello che ti riporta la vita attraverso un sentimento o un’emozione dimenticata. E ora, solo ora, io ricordo  le emozioni che mi sembravano lontane. E sono tornate, sono tutte qui. Lui compreso. Sono tutte qui.Tu, oggi, mi hai fatto un regalo vero. Mi hai donato un desiderio forte e intenso che pensavo di non avere. Mi hai fatto sentire il sapore dei sensi con una violenza che non mi avrebbe mai fatto male. E non ti è bastato. Perché non dovevi, ma mi hai seguito per le scale. Perché non dovevi, ma mi hai chiesto dove andavo. Perché non dovevi, ma mi hai chiesto se potevi avere il mio numero. E  io lì solo a chiedermi, senza una parola, come avevi fatto a capire cose che neanche io potevo capire in breve tempo. Non è detto tu abbia capito subito. Tu l’hai fatto e basta. Ma per me è stato bellissimo. Ti ho solo detto “Magari, la prossima volta lo avrai”.“Ma io non sarò qui…La prossima volta. Non lavoro sempre qui.”“E chi può dirlo?”Poi, si sono aperte le porte della metro. Quando sono entrata ti ho sorriso, perché trattenersi era impossibile. E quando si sono chiuse, ho semplicemente visto il più bel sorriso al mondo. Da strappare e portare con me. Per tutto il tempo, per tutta questa lunga notte, per i meandri del mio animo che assopito domandava dov’era la passione, e i battiti gratuiti, la violenza dolce dell’anima che urla senza una parola ma parla con gli sguardi, magari uno solo, magari sufficiente per dare nuovamente, vita. Intima scelta di mettermi le mani laddove non devi e scoprir in me, che potevi farlo.Che ti era permesso. Che dovevi farlo. Che non mi era mai successo. Che ti chiedi quante volte capiti nella vita. Che tornando, ti ho cercato con lo sguardo. Che non è vero che sarei voluta scappare per non cercarti con gli occhi, perché tanto l’ho fatto comunque. Che mi hai fato un regalo immenso nel tempo di cinque minuti. Darmi quanto era giusto darmi, senza badare a convenevoli. Ricamarmi l’anima di ciò che vuol dire bruciare e ardere dentro, graffiare il cuore,  senza neppure sfiorarsi.  Carne nella mia carne e pensiero che è pensiero, angelo bello, con tutta me stessa ti do, e ti rendo.  È stato come sporcarsi con l’erba bagnata.