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terzo genitore


dal notevole sito: http://www.annaoliverioferraris.it/famiglia/terzo-genitore.html<<Suo figlio non mi ha mai accettato>> racconta Marcello che da tre anni convive con Benedetta. <<Quando i genitori si sono separati Guido aveva nove anni e dopo un anno sono arrivato io. La nostra convivenza gli è stata imposta. All’inizio, incoraggiato da Benedetta, ho cercato di fare il padre in piena regola, ma poi ho visto che non era assolutamente possibile. L’inizio è stato particolarmente infelice: Benedetta che è in rapporti tesi con l’ex marito mi ha presentato a Guido con queste parole “ecco il tuo nuovo papà!”. Non avrebbe potuto esordire in maniera peggiore! Abbiamo temuto che combinasse qualcosa di brutto. Per fortuna non è accaduto. Da parte mia ho fatto quello che ho potuto, ma lui mi ha ostacolato in ogni modo. Io in fondo lo capisco… ho cercato di aiutarlo. Guido è un ragazzino stupendo, intelligente, e tutto quello che fa di cattivo nei miei confronti è un modo per dire “anch’io sono importante, anch’io esisto”. E’ da poco che mi chiama per nome, prima mi si rivolgeva con un “ehi tu…” e quando parlava di me a sua madre in mia presenza diceva “quello…”. Mi ha combinato di tutto, dal sale nel caffè al farmi sparire le chiavi dell’auto… Io dicevo a Benedetta che forse era meglio che me ne andassi, che lasciassi il campo, perché l’ostilità era troppo evidente. Lei ha insistito che restassi. A scuola ha degli alti e bassi ma io non posso aiutarlo nei compiti, non me lo consente, neppure sua madre può aiutarlo, soltanto suo padre.>>Ecco un bell’esempio di inizio sbagliato. I legami affettivi sono stati sottovalutati, in particolare quello tra il bambino e il padre separato. I tempi necessari per elaborare esperienze esistenziali così importanti, come lo scioglimento della prima famiglia e la formazione di un secondo nucleo, non sono stati rispettati. Se alcuni bambini si adattano più facilmente, altri invece hanno difficoltà ad accettare una nuova presenza stabile dentro casa. Se poi l’“intruso” cerca di sostituirsi al genitore assente, la sua presenza può diventare intollerabile. Anche quando disapprovano la scelta fatta dai loro genitori, anche quando pensano che uno dei due abbia torto o non sia un buon genitore, i figli sono restii a “tradirlo” consentendo ad un altro di insediarsi al suo posto. Da una famiglia all’altraSi dice che le famiglie ricostituite del post divorzio assomigliano alle famiglie allargate di un tempo. Ciò però è vero soltanto per alcuni aspetti ma non per altri. Non c’è, per esempio, un passato comune. Le famiglie ricostituite vivono un presente insieme, progettano un futuro insieme ma, a differenza di altri tipi di famiglia, hanno un passato diverso. Coloro che sono vissuti nella prima famiglia (a meno che non fossero piccolissimi al momento della rottura) condividono delle consuetudini, un lessico familiare, esperienze e stili di relazione. Essi sanno quali sono i comportamenti accettabili e quali invece non lo sono: da quelli “minori”, come il posto a tavola e le buone maniere, fino agli standard morali più impegnativi. Possiedono cioè una immagine condivisa della vita e del clima familiare. Questa immagine, interiorizzata e fatta propria dai figli, non può essere modificata a comando. Solo il tempo potrà apportare delle modifiche.Non si può pretendere che un figlio disconosca il proprio passato. Ognuno di noi ha bisogno di raccontarsi, di poter parlare del “prima” e del “dopo” e, nel caso dei figli di separati, di sentirsi libero di tenere i contatti con entrambi i genitori. Bisogna anche considerare che la personalità dei bambini è in formazione e che il loro Io si fonde con quello familiare. Per tutta l’infanzia e oltre, sono orgogliosi di essere riconosciuti come “figlia di…”, “nipote di…”. Si posizionano nel mondo forti della loro identità familiare da cui traggono sicurezza. Anche se esistono grosse differenze dovute alle circostanze e alle caratteristiche individuali, la perdita dell’identità familiare rende più vulnerabili. Il “terzo” può essere accettato (salvo grosse incompatibilità) quando questa fase critica viene superata e la mappa della propria vita familiare ridisegnata. Il che è più facile quando gli adulti sono attenti alle reazioni e alle esigenze non solo dei grandi ma anche dei piccoli. E’ più facile ottenere il consenso dei figli quando si procede per gradi rispettando tempi e sensibilità. Il mito dell’intesa istantaneaUno dei miti più diffusi è quello dell’amore a prima vista tra il “terzo” e i figli dell’altro, che può dar luogo a un senso di colpa quando la scintilla tarda a scoccare. E’ meglio che il terzo non finga sentimenti che non prova. Può invece rassicurare il proprio partner sul fatto che accetta di buon grado i suoi figli, li rispetta e cercherà di adattarsi alla nuova condizione.Il mito dell’amore istantaneo può creare un’altra trappola. Se si esige affetto dai figli del partner per il solo fatto che si vive sotto lo stesso tetto o li si incontra spesso (in vacanza o nei fine settimana), si finisce per negare loro delle scelte libere: si crea una facciata, li si forza a recitare la parte della famiglia felice mentre dietro le quinte cova lo scontento o la ribellione. Poiché non esiste per i cosiddetti terzi genitori un ruolo ufficiale codificato (anzi le parole matrigna e patrigno non godono di buona fama…) solo il tempo e la reciproca conoscenza decideranno quale potrà essere il tipo di rapporto con i figli del partner. In realtà, saranno proprio loro, i figli, a dire l’ultima parola sul ruolo che il nuovo venuto potrà avere nei loro confronti; se cioè è destinato a restare soltanto il partner della mamma (o di papà), oppure se potrà diventare un compagno di vacanze, un amico, un confidente, uno “zio” su cui fare affidamento e da prendere a modello. E qualche volta può anche assumere il ruolo di genitore. Quest’ultima eventualità si verifica più facilmente quando i figli sono ancora piccoli, oppure se il genitore non affidatario è lontano, assente, ha scarso o nessun ruolo presso i figli.Alta diplomazia e problemi di relazioneI progetti e i sogni sono importanti quando si decide di dar vita ad una nuova famiglia; ma se da un lato rappresentano una forza propulsiva, dall’altro non devono essere troppo slegati dalla realtà. Ad una prima fase di rodaggio in cui sembra che tutto fili liscio segue spesso un periodo di turbolenza. La famiglia ricostituita è un sistema complesso (nuovi e vecchi partner, doppi parenti, figli degli uni e degli altri…) e come tale richiede diplomazia, impegno. E’ facile che insorgano risentimenti e gelosie, alleanze e contrapposizioni, problemi di natura economica, scontri tra partner sulla disciplina e l’educazione dei figli o sulle reciproche interferenze. E’ difficile, per esempio, che una mamma separata tolleri le “invasioni di campo” della nuova compagna dell’ex marito. Il sospetto che “l’altra” cerchi di sottrarle il figlio attraverso un eccesso di bontà e gentilezza può renderla furiosa. Dal canto loro i figli possono portare avanti una loro guerra personale, senza esclusione di colpi. <<La cosa peggiore>> racconta una matrigna <<fu che una delle sue figlie per oltre un anno non mi rivolse la parola. Non riusciva a rassegnarsi al fatto che in casa, in pianta stabile, ci fossi anch’io>>. Come tutte le famiglie anche quella ricostituita è un processo in evoluzione. E’ possibile individuare un primo stadio “ottimista”, in cui si fanno dei progetti che però non sempre sono realistici. In questa fase si possono fare degli errori, come ritenere che il nuovo rapporto possa cancellare l’esperienza della separazione; che il nuovo partner possa diventare tout-court genitore di figli non suoi, che possa disciplinarli, che possa imporre abitudini quotidiane del tutto diverse. Bisogna mettere in conto che in ogni nuovo assetto c’è inizialmente un po’ di confusione e che c’è bisogno di tempo per definire i ruoli e le regole capaci di dare stabilità al nuovo nucleo. Possono subentrare delle gelosie tra figli e nuovi partner: quest’ultimo può sentirsi in subordine rispetto ad un figlio e ad un ex marito; un figlio può essere geloso della persona che gli sottrae le attenzioni del genitore. Per questi e altri motivi, dopo un periodo iniziale di euforia, ci può essere una “crisi”, che però è fisiologica. I conflitti che possono nascere devono essere un’opportunità di crescita perché se si supera la crisi si arriva alla stabilità e all’accettazione reciproca. Bisogna evitare di ripetere gli errori del passato. Anche i “fratellastri” che entrano all’improvviso nello spazio familiare possono creare problemi. I più piccoli tendono ad adattarsi più facilmente, i più grandi fanno spesso resistenza nei confronti anche dei fratelli piccoli, in quanto hanno la sensazione di essere defraudati d’affetto e a volte anche di spazi fisici. Bisogna poi considerare che lo stabilirsi di un nuovo status gerarchico non è immediato e che i bambini hanno bisogno di tempo per adattarsi e fare la conoscenza degli altri “fratelli”. Naturalmente dobbiamo tenere presente il clima in cui tutto ciò avviene: se c’è allegria, se si affrontano serenamente i problemi che possono nascere, tutto è più semplice. Ad un certo punto ci si può rendere conto che tutto deve essere rivisto, rivalutato, rinegoziato, ridisegnato: diritti, doveri, tempi, spazi, obblighi reciproci, decisioni, rapporti di parentela. Un segno tangibile del fatto che la crisi è superata e la nuova famiglia incomincia a stabilizzarsi è la comparsa del senso del “noi”: qualcuno incomincia a dire “la nostra famiglia” e gli altri accettano questo modo di esprimersi. Si incomincia ad accettare l’idea di stare insieme. Ci si rende conto che per fare funzionare un sistema complesso è necessaria la perseveranza. I conflitti non vengono negati ma utilizzati come opportunità per imparare qualcosa di nuovo su di sé, sugli altri, sul buon funzionamento del sistema. Si impara ad accettarsi, a non invadere gli spazi altrui, a compiere delle rinunce per andare d’accordo. Si diventa consapevoli che sentimenti, opinioni (antipatie, ostilità, insofferenza) possono modificarsi: diversità che prima irritavano ora sono tollerate e riconosciute come legittime. Si ha il coraggio di rivelare i propri sentimenti, le proprie differenze e si cercano delle soluzioni. Si rinuncia a vincere sempre e a tutti i costi. In un clima di maggiore fiducia, gli errori che si possono fare hanno un impatto minore: offendono di meno, non sono definitivi e irreversibili ma rimediabili. Finalmente ognuno sa qual è il suo posto nel gruppo familiare: cosa si può aspettare dagli altri e che cosa gli altri possono aspettarsi da lui. E’ a questo punto che tutti i componenti della nuova famiglia, di comune accordo, incominciano a delineare alcune regole, a condividere alcune norme, indispensabili per il buon funzionamento del sistema. Emergono degli obiettivi comuni. Ognuno può infine ritagliarsi una sua privacy in cui isolarsi e “ricaricarsi” di tanto in tanto senza che gli altri debbano sentirsi trascurati. Tratti positivi del terzo genitore Nella famiglia tradizionale i ruoli sono chiari e definiti all’origine. Nelle famiglie ricomposte non c’è questa chiarezza e colui/colei che vive con i figli del partner o li vede spesso può avere difficoltà a collocarsi e a individuare una linea di condotta coerente. Può ondeggiare tra un eccesso di ruolo (per es. disciplinando indebitamente figli non suoi) e una fastidiosa marginalità che sfocia nel disinteresse. Pur avendo un buon rapporto con il partner, può sentirsi in secondo piano rispetto ai figli e qualche volta anche rispetto all’ex coniuge, con i suoi diritti di genitore. E’ più facile mantenersi in rotta quando si coltivano alcune delle seguenti caratteristiche:· Empatia. Riesce a mettersi nei panni altrui. Cerca di immaginarsi che reazioni, pensieri e sensazioni avrebbe lui se fosse al posto del bambino o del ragazzo che gli sta di fronte. Più si è capaci di empatia migliori sono i rapporti.·Non stare sulla difensiva. Un adulto dovrebbe riuscire a non reagire in maniera difensiva quando un ragazzino lo mette alla prova (paragonandolo al genitore separato, criticandolo ecc.). Quando un bambino grida alla moglie di papà “non mi toccare!”, “vattene via!”, una donna che non sia sulla difensiva capisce quali timori si nascondono dietro a queste frasi: “mi separerà dalla mamma?”, “se mi affeziono, anche lei un giorno mi lascerà?” Chi non è sulla difensiva capisce senza contrattaccare. E’ giusto però far comprendere ai bambini che ci si deve rispettare a vicenda, anche se ognuno è libero di non essere d’accordo con il punto di vista dell’altro.· Evitare di giudicare. Gli apprezzamenti possono essere diretti e indiretti (del tipo “i miei figli non fanno mai…”, “i bambini intelligenti usano il cervello…”). I secondi possono ferire più dei primi. Trattenersi dal dare giudizi negativi soprattutto nei primi tempi è importante se si vuole costruire un rapporto.· Essere ben disposti. Accetta i figli del partner per quello che sono. Non stabilisce condizioni o insiste perché essi adottino il suo stesso stile nel fare le cose. Ha fiducia nelle loro capacità, dà loro credito quando fanno delle scelte o si assumono delle responsabilità. Rispetta la loro storia familiare e riconosce il bisogno di mantenere dei buoni rapporti con entrambi i genitori.· Aprirsi al cambiamento. La famiglia ricostituita è il risultato di una ristrutturazione del sistema familiare. Il cambiamento pone in discussione molti aspetti della vita quotidiana. Ci può essere una crisi, ma il problema non è la crisi in sé, che può essere salutare, bensì il modo in cui si risponde alle difficoltà. Se non si ha paura di cambiare il clima famigliare è più disteso.· Identità salda. Sa di poter sbagliare ma ha fiducia di riuscire a far fronte ai problemi che si presentano. Coloro che pensano di non sbagliare mai sono poco plastici nei rapporti con gli altri e, pur di dimostrare che hanno sempre ragione, sono pronti a imbarcarsi in confronti che inaspriscono i rapporti invece di risolverli, come le escalation competitive, in cui ognuno per vincere diventa via via sempre più provocatorio e ostile.· Non assumersi responsabilità che non competono. Il terzo che entra in una famiglia dove ci sono dei figli già grandicelli non è responsabile delle abitudini che essi hanno acquisito nelle famiglia di origine. Col tempo abitudini o comportamenti possono cambiare, ma se questo non accade non sarà certamente colpa sua; adulti e bambini sono inseriti in un processo e il genitore ausiliario incontra i figli del partner in un certo momento della loro vita.