Preferirei di no

Aloè


C'era poi questa poesia di Montale che diceva che è nostro il disfarsidelle sere e la stria che sale al parco dal mare e ferisce gli aloè.Io francamente non so cosa siano gli aloè, ma mi è sempre piaciutoquesto verso della stria che sale dal mare e li ferisce. A dire ilvero non so nemmeno cosa sia la stria, ma non è che si può sempresapere tutto. Del resto le cose che so mi bastano, non ho bisogno disapere cosa siano in realtà gli aloè, mi piace questo verso e sonosicuro che gli aloè esistono. Magari ne ho uno pure in casa e non mene sono mai accorto e forse è pure meglio così perché potrebbecapitare che accorgendomene io dica "ma tutto qui l'aloè?". Quindi continuo a pensare agli aloè di Montale, che poi Montale in una suapoesia famosa diceva che i poeti del suo stampo, i poeti non laureatiamano solo le ortiche i fiori del tarassaco o al massimo l'oleandro,che a dispetto del nome altisonante è una pianta comunissima che avolte ci fanno pure le siepi in autostrada. Però poi Montale se neviene fuori con questa cosa degli aloè, che saranno pure piante comunima hanno un nome aristocratico: ci si immagina il marchese dicavatrucioli che parlando con la duchessa del regno delle duemarzopole dice cara dice potresti per cortesia scostarti che vorreiosservare la stria che ferisce gli aloè?  Mentre sono tutto intento in questa occupazione che amo molto cioèpensare a niente e poi scriverne, mi accorgo che la sera per dirla conMontale si sta disfacendo e è mia è tutta mia, e è decisamente tardi.Mi sono preso questi venti minuti per scendere dal santuario epasseggiare tranquillo sul lungomare, ma è davvero ora che ritorni damio padre. Però si sta bene qui, accidenti.Salgo i gradini che dal lungomare mi riportano verso la basilica.Credo che a quest'ora la messa sia finita e mio padre sia giàpiuttosto spazientito. E difatti come metto piede sul sagrato lo vedoche mi attende con la testa un po' piegata verso sinistra. Dietro dilui c'è la donna che mi ha aiutato a portarlo qui dalla clinica. Miopadre è sempre stato molto devoto, ha sempre frequentato la chiesa,lui e mia madre. "Un buon insegnamento" mi ripeteva sempre il parrocodel paese, "segui l'esempio dei tuoi genitori" diceva fregandosi lemani come fanno sempre i preti. Beh, non è andata proprio così. Comunque mio padre mi vede e fa con la voce storpiata che quando parlanon si capisce mai cosa dice: "Era ora che sei arrivato, sono stancoho sete." La signora dietro dice "Carlo stai tranquillo, sono passaticinque minuti, non c'è niente da preoccuparsi." "Altro che cinque minuti" dice lui e poi aggiunge qualcos'altro chenon capisco, ma non è molto contento. Mio padre è sempre stato un granrompicoglioni, anche prima della malattia, e non è che tra noi siafilato proprio tutto liscio. Certo adesso la malattia lo ha fattodecisamente peggiorare.L'idea di scendere fin qui dalla clinica ce l'ha avuta più che altroDomitilla, questa signora che ci accompagna, che è una signora gentileche abitava vicino a mio padre e mia madre e faceva loro i mestieri,li aiutava. Poi quando mia madre è morta ha continuato così. Ognigiorno viene e si dà da fare, aiuta papà a alzarsi, lo fa camminare.Ora che facciamo questo tentativo di recuperarlo, si è offertavolontaria di accompagnarlo e mi ha tolto di impaccio, perché sennònon avrei saputo come fare col lavoro. Non ce l'avrei mai fatta avenire sin qui tutti i giorni, forse nemmeno il sabato e domenica. Domitilla ha detto che vicino alla clinica c'era il santuario diArenzano, che è molto famoso, ci sono i carmelitani scalzi e veniresin qui non può che fargli del bene, ha detto.Mi ha aiutato a sistemare papà sull'auto, ho piegato la carrozzellanel bagagliaio e siamo partiti direzione Arenzano. "Dopo Loreto è ilsantuario più visitato", ha detto mentre salivamo per i tornanti.E in effetti c'era un sacco di gente. Abbiamo parcheggiato di fianco aun pullman di bergamaschi. Un ambulante scherzava e diceva loro"Bergamo Zanica" e alcuni ridevano."Quanti turisti" ho detto quando siamo scesi dall'auto. "Pellegrini, non turisti: è diverso" ha risposto Domitilla.C'era questo tizio, un mendicante con le scarpe senza calze e ungiubbetto blu, che passava con tre tappeti piccoli tipo persiani sullaspalla e francamente non capivo come potesse credere di venderli.Erano davvero in cattivo stato. Quando è iniziata la messa si èsistemato sul sagrato di fianco al portone e ha steso il braccio inavanti con la mano aperta a chiedere la carità. Il sacrista dallachiesa gli faceva segno di no, ma lui non si è mica scomposto,tutt'altro. E' rimasto in posizione per tutto il tempo della messa eera ancora lì quando sono risalito dal lungomare. Ho sentito uno deibergamaschi che diceva "bisognerebbe fargli la carità anche solo perla costanza." All'ingresso della basilica c'è questa statua del bambino gesù,sistemata su una colonna. Il santuario è dedicato a lui, al bambinogesù di Praga. Non chiedetemi perché sia proprio di Praga. Il bambino gesù di Praga è tutto particolare, tutto vestito di unasottana lunga e rossa e con una corona da re sulla testa. L'effettoche fa è strano: sembra un extraterrestre, uno di quei terribilibambini con gli occhi fosforescenti. Mi aspettavo che da un momentoall'altro saettasse in giro il raggio della morte, colpendo ovviamentesolo i miscredenti come me.Ho spinto mio padre nella basilica e lo abbiamo sistemato in primafila dove stanno gli ammalati. Non sono credente, mi pare chiaro, peròin certi momenti ci si aggrappa a tutto, anche se i medici dicono chenon ci sono speranze di miglioramento, che l'ictus bisogna accettarlocosì com'è. Papà non muove metà del corpo e ha difficoltà di parola,ma io dico che un po' di esposizione al bambino gesù non può chefargli bene.Poi sono uscito ho guardato attorno, c'era una sera di Aprile cosìbella. Ho passeggiato per qualche minuto tra i giardinetti davantialla chiesa, ho guardato giù verso il mare. La messa sarebbe finitaintorno alle sei, avevo una mezz'oretta e così ho deciso, come giàsapete, di scendere a mare. C'era un sacco di alberi per la strada, forse persino degli aloè,l'aria era fresca e benché fosse solo Aprile parecchia gente stavastesa sulla spiaggia. Il sole era caldo ancora e lo si sentiva conpiacere sulla pelle. Ho camminato sul lungomare e poi mi sono messo suuna panchina, sotto una grossa palma. Ho guardato verso le ondeleggere e chiuso gli occhi. Respiravo piano e pensavo a quando con imiei venivo al mare da bambino, a Pietra Ligure. Per andare inspiaggia ci facevamo un bel pezzo a piedi lungo l'Aurelia. Ricordoquella striscia sassosa in riva al mare e dietro noi la massicciata.Stavamo in affitto in una casa alta con un balcone che girava tuttointorno all'appartamento e una rete fina che impediva alle cose dicadere verso il basso. Noi bambini, io e mia sorella, ci giocavamo perore sempre seguendo l'ombra che girava attorno alla palazzina. Ricordomia madre che ci preparava da mangiare il pesce, e poi l'odore difritto e mio padre che dormiva sul divano davanti alla tv. Mi sono acceso una sigarettina. Pensavo a Montale, ai suoi aloè. Ilsole andava e veniva, si stava alla luce piena e poi improvvisamenteuna nuvola grossa faceva ombra e le cose attorno cambiavano e era comese perdessero il colore. Allora faceva un po' freddo e veniva vogliadi coprirsi, ma solo per qualche minuto. "Forse adesso è ora di andare" mi dice Domitilla svegliandomi dai mieipensieri. "Sì, ora andiamo" le dico sorridendo. Risaliamo in macchina e scendiamo verso la litoranea, nel traffico checi porta di domenica sera verso la clinica. Sul lungomare mio padre sifissa che vuole scendere, che vuole un gelato. "Gelato" dice "panna e cioccolato" e non c'è verso di convincerlo, facome un pianto da bambino e chiama mia madre, si rivolge a Domitilla ela chiama Teresa, che era il nome di mia madre. "Teresa un gelato, digli a questo qui di fermarsi" fa.Accosto alla prima gelateria. Ci sono un sacco di persone, ragazzi conlo scooter, famiglie in coda, ragazzine che leccano il cono e parlanoe ridono con gli amici. Scendo dall'auto, tolgo la carrozzella e aiutopapà a sedercisi. Faccio parecchia fatica, papà è un uomo corpulento el'inattività forzata lo ha fatto anche ingrassare. Un signore gentilemi aiuta a sollevarlo e Domitilla lo spinge sul lungomare. Mi metto infila, un gelato panna e cioccolato per lui, uno fragola e cocco perme: sempre incompatibili noi due, anche nei gusti del gelato. Passeggiamo, io con il mio cono, lui con una coppetta che gli tiene Domitilla. Con l'unica mano che muove prende il gelato ese lo porta alla bocca e ne perde un bel po'. Non è un bellospettacolo, si sporca tutto. "Si torna come bambini, da vecchi" dice Domitilla mentre gli puliscela bocca con un fazzoletto.Le sorrido e così riprendiamo a camminare, col gelato, sotto il sole.C'è una arietta che Domitilla pensa sia meglio coprirsi bene e gliallaccia il golfino. Ci fermiamo dirimpetto i bagni Pucci: che nomeper un bagnino, penso, e guarda le sdraio costano quaranta euro algiorno in agosto, dice il cartello.Mio padre mangia il suo gelato e guarda verso il mare. Poi si volta eosserva i ragazzini che giocano a rincorrersi sul marciapiede e nelparco giochi. A un certo punto un ragazzino nel gioco si avvicina emio padre lo chiama. Lo chiama che non si capisce, ma è il mio nome,dice Roberto, dice Roberto tutto storpiato. Il ragazzino si fermaaccanto a lui e lo guarda e non ha paura; di solito i ragazzini hannoun po' di timore perché mio padre ha questa voce grossa e si faveramente fatica a capire che vuole dire. Il bambino si avvicina e nondice niente, lo guarda. Lui fa Roberto e gli accarezza la testa, fa unmezzo sorriso, un sorriso storto dei suoi che si fa fatica a capirecosa sia. Poi gli chiede se vuole il gelato, ma il bambino fa no conla testa e poi lo chiamano i genitori e lui corre via. Mi passo una mano sulla faccia. Domitilla dice: "fa freschetto Carlo e forse è meglio se andiamo." Mio padre si lamenta, dice qualcosa che non capisco, ma il senso è chevorrebbe restare ancora per un poco.Ma è davvero tardi, dobbiamo andare. Ci incamminiamo verso lamacchina, i due vecchi e io, mentre il sole si abbassa e la striacontinua a ferire gli aloè.