Preferirei di no

La grazia del mio cuore (di Clotilda Trevino)


Ringrazio bartelio che ha insistito perché ricopiassi in questo spazio una mia vecchia lettera. Confesso che per scriverla ho dovuto saccheggiare alcuni dei poeti che amo. Perdonatemi. Spero di non disturbare e ne approfitto per augurarvi un buon Natale. Sempre vostra, Clotilda)Caro Vittorio,mi perdoni anzitutto l'ardire che mostro nel chiamarlacol suo proprio nome, perché questo è il suonome, vero? Mi perdoni dunquequesta libertà che mi prendo,questo piccolo gesto di intimità che forse lepotrà sembrare inopportuno, affrettato,persino volgare, ma come leicertamente saprà,poiché è uomo di buone letture,"nomina sunt consequentia rerum",i nomi sono conseguenza delle cose,(sopporti, la prego, la civetteria di questapiccola citazione latina: sa la soddisfazione perchi, come me, non ha nemmeno fatto le scuole)e il suo è un bel nome, un nome franco eaperto, lo stesso nome, per quel delicatoe fitto reticolo di coincidenze nel quale citroviamo a camminare, lo stesso nome, dicevo,che ho dato a uno dei miei figli, Vittorio.Ho sorriso questa mattina, sa, quando holetto la sua risposta ai miei sciocchicomplimenti.Ho sorriso a quella sua buffa e tenera,ancorché malandrina,profferta amorosa.Sa, alla mia età fa una certa stranasensazione, come un formicolio, uncalore che sale dai piedi.Non perché non lo si desideri, anzi: maicome in questi anni ho sentito forteil ridestarsi dei sensi, per troppo, troppotempo sopiti, ho sentito tornare la memoria della carnee del sangue. Ma lei sa che gli uominicomunementerivolgono la loro attenzione a chi ancoraha tutti i propri ossicini in bocca, Vittorio,lei sa certamente com'è. Gli uomini, e le donne, Vittorio,anche le donne, si saziano di beni spirituali,anelano realtà invisibili, ma non amano le rughee la pelle vizza. E' una cosa a cui sifa l'abitudine, presto o tardi.Come a tante altre, del resto.Vorrei tornare a quel suo bel testo, Vittorio.In un momento di distrazione _ del restole avevo pur detto quanto fossi indaffarata _ho chiamato quel testo "racconto", anche se raccontoin fondo non è. Se non le dispiace e senon le appare offensivo, vorrei parlare piuttostodi supplica, una sorta, mi conceda, di preghiera,di perorazione,come se il personaggio che dice iosi rivolgesse a una divinità assente,una divinità la cui sede sia vacante,quasi a invocarne l'epifania,ma non ne ricavasse che un ricordoun ricordo struggente, se vuole,ma difficile da stringere al pettoo nel letto,la sera.Sa, Vittorio, non so se ho intesocompiutamente le parole che leiha speso,e temo persino di avere equivocato;nel qual caso, mi appello alla sua magnanimità:ho la mia età e le mie stanchezze.Ma le dicevo di quanto mi avessero toccata,di quanto percepissi come prossimii temi che ha sfiorato.Il suo discorso mi ha ricordato una storiaascoltata tanto tempo fa,una storia che parlava, non me ne voglia, di ragni.Non vorrei sembrarle insolente,tutto fuorché questo, mi creda,ma per un oscuro gioco di rimandi, la storia si è messaa marciare di vita propria dentro la mia testa.Una storia bizzara e persino buffa, se vuole.Le femmine dei ragni hanno buoni costumi, diceva,e si accompagnano al maschio che fa i saltipiù alti, al maschio dal pelo più scuro,al ragno che sospira le parole più dolci,ma che sa anche fare la voce più grossa;sino a che non subentra sulla scenaun ragno migliore. E poi un altro ancora,un terzo ragno sensibile, che ha gusti comuni alla ragna:si parte sempre dai gusti comuni, Vittorio,e poi nel giro di pochi giorni ci si ritrovaa fare leggiadre acrobazie nel letto,così diceva la storia.Ma presto, anchequesto terzo ragno mostra la sua debolezzadi aracnide, ha le coliche, gli spuntanogrossi peli dal naso, e dimentica spessoi calzini sotto il letto.Così arriva il quarto ragno, il ragnomigliore di tutti, quello che legge kafka,musil, proust e ama bach. Aspetti, come lodefinivano in quella storia, ecco: bach, un robot senza cuoree meccanico geometra. E bach determina ilsuccesso del quarto ragno, e la ragnagioca di nuovo la scena del "non ti amo più, mio piccoloinfame terzo ragno, ti ho amato ma il mio amores'è seccato, come un geranio senz'acqua":come avvizzisce il sentimento, quando le oresi accumulano e i denti si cariano,e il fiato diventa un ansito sempre più pesante.Non c'è Bach che tenga, Vittorio.Queste sono le cose che diceva la storia,che si chiudeva in un gran ballo, sa,un gran ballo,un gran numero di scheletri che ballavanoin un cimitero, e tutti si tenevano permano e tutto non era più vanità,ma solo un ballo sciocco che faceva dire:che abbiamo fatto, che abbiamo vissuto,che cosa abbiamo creduto, Vittorio,valeva davvero la pena,piccolo mucchio di ossa.La seconda cosa che vorrei dirle, Vittorio, ha a chefare con la mia vita. E' la mia storia, se vuoleascoltarla, se non s'è ancora stancato,arrivato a questo punto, e ne avrebbe del resto ben donde.Avevo un marito, sa, un maritocol quale ho convissuto per trentadue anni.Abitavamo al Lorenteggio, in un palazzo trapiazza Tirana e Largo Fatima, pensi che nomi:dalla bestemmia del socialismo realealla devozione delle pastorelle.Vivevo in uno di quei palazzi,uno di quei palazzi che la gente nemmeno vede,presa com'è nelle pieghe della propria giornata.Uno di quelli con le strade che ti passano all'altezzadel soggiorno, ed eravamo solo una finestra,io e Osvaldo, una finestra,buia di giorno e accesa di notte, una finestracome tante,in un palazzo che nessuno guarda davvero,un palazzo che forse vedono solo i ragazzini,nella loro infinita crudeltà di ragazzi,quando immaginano,sciocchi e bambocchi,la vita da insetto che vi si svolge.Osvaldo, mio marito, aveva lavoratotrent'anni in Ansaldo, impiegato all'acquisto deimateriali, prima che chiudesserola fabbrica. Aveva fatto le scuole seraliin gioventù, aveva potuto studiare.Un privilegio.Gli andò bene, sa, quando chiuse l'Ansaldo.Pre-pensionamento e via, con tanti anniancora davanti a sé. La sua seconda vita,la chiamava. E come ci era attaccato.Come ci siamo tutti ostinatamente attaccati,Vittorio.Sa, quella mattina gli ho tenuto lamano e lo guardavo in faccia, anche sesi faceva sempre più tiepido, e il suo polso più fermo.Non ha avuto nemmeno il tempo disalutarmi, Vittorio. Non s'era fatto nemmeno la barba.Ha farfugliato cose incomprensibili.Un rantolo che faceva glu-glu-glu.Quel dolore al petto, la corsaal Niguarda, l'ambulanza che scartava trale macchine, il vigile che fermava con la paletta.Tutto inutile, Vittorio.Me lo hanno restituito, qualche giorno dopo,pezzo di carne inerte in una cassa scura,quel che restava dell'uomo che avevo amato.La vita è una dimidiazione continua,e non so se c'è modo di accettarlo,di prenderla così com'è.Un poeta (i poeti sono come le lampadinetascabili, che dimentichi in un cassettoe vai a cercare quando ti salta la luce;hanno solo parole: ma lei sa, Vittorio, che le paroleche scambiamo sono una seconda pelle checi sfreghiamo addosso),questa poeta ha scritto chenel grande dilemma ontologicoche lacera il mondoè necessaria la morteperché la vita sia bella.Eppure noi avevamo fatto un patto,io e Osvaldo, avevamo fatto un patto,zitto, silenzioso, lui e io, assieme.Gli stiravo le camicie e luipreparava il ragù, comprava il pane,la carne dal macellaio, passava lo straccioin cucina.Nel patto avevamo scritto che non cisaremmo mai separati,perché si stava bene assieme,nella nostra piccola vita da insetto,perché era un riparoun modo come un altro per carezzarci e farcidel bene, perché il freddo che ci attende,là fuori,non dà tregue ed è per sempre.Avremmo voluto depistarlo, sa,quel freddo, avremmo volutoscaldare i nostri cuori con il tranquilloinvecchiare fianco fianco,facendo a volte sì ancora l'amore,in una maniera quasi ispida,ma sempre senza fare rumore,come se potessimonasconderci da queste insidie,come se stando zitti, senza parole,il tempo non ci potesse trovare.E per un lungo tratto di stradaè andata bene, è andata benone,ci siamo amati, abbiamo con-diviso lenostre vite, senza mai saziarci l'una dell'altro:come ci si può saziare veramente di un essereumano?Ma non è mai così, accidenti, Vittorio.Il poeta che ho imparato a leggeree ad amare dopo la morte di Osvaldodice e si chiede, e ci chiede, dove diaminesiano finiti tutti i baci e gli abbraccie le promesse e se risaliranno mai allasuperficie, da quegli abissi profondi.Chi lo sa, Vittorio.Forse qualcuno ci sputerebbe sopra,sopra questa nostra vita da insettima chi se ne importa,ogni vita ha il proprio colore econosce i propri fallimenti:tra pensiero ed espressionepassa una vita, dicono,e le cose cambiano a seconda del tempo che fa,e nessun amore è migliore di un altro.Io posso dire che fino a che èdurata è stata una pacchiauna vera pacchia e che sonouna donna fortunata, Vittorio.Ho amato e sono stata riamata:che altro chiedere, Vittorio.Porto i fiori a Musocco la domenica mattina,e siamo in tante, sa, un'allegra compagnia divedove, e a volte cantiamo sorridendo quellacanzone che saprà: Volver, tornare."Volver... con la frente marchita,Las nieves del tiempo platearon mi sien...Sentir... que es un soplo la vida,Que veinte años no es nada,Que febril la mirada, errante en las sombras,Te busca y te nombra.Vivir... con el alma aferradaA un dulce recuerdoQue lloro otra vez..."Ciò che non scordo è quel che avevo giurato di fare,e che non ho fatto.Avevo pensato a un mattino chiaro di primavera,perché potessi sentire il frescoe l'allegria salire dalla strada, Vittorio.Avevo immaginato di salire su una sediatra i gerani del balconeancora in ciabattee spiccare il voloe confondermi con il frescoe con l'allegria.Ma poi perché, mi sono detta,non ho nemmeno un dio ad attendermi,solo un niente che non riesconemmeno a coprire con l'immaginazionesolo quel freddo,e sapere che il mio corpoavrebbe riposato accanto al suo,in quel lento e silenzioso disfarsiche è di tutte le cose, Vittorio,per tutte le creature,un calmo sonno che si scioglie piano,come dice un altro poeta,quel calmo sonno può attendereanche perché non è nulla:non è davvero nulla,solo un modo di consolarmi, pensandolo.Sono rimasta quitra i miei, tra i nostri figli,tra i nipoti,non l'ho fatto, perché nonostante tuttola vita mi piace, mi piace che sia cosìa volte crudele a volte dolceuna cosa che finisce sempre troppo in fretta.Quindi, per quel poco che vale _e per me, per questa donnetta sola,i ricordi sono tanto, sono tutto,sono il mio tavolo e la mia musica,il mio modo di tenere osvaldo dentro,coperto, come se fosse ancora qui _per quel poco che vale posso dirlesenza esitazioneche quel vuoto non è me.Siamo proprio due cose diverse, Vittorio,io e il vuoto,siamo due cose diverse, grazie al cielo,e lo resteremo ancora per un po',lo resteremo sempre:perché quando ci sarà lui,il vuoto,non ci sarò più io,e quindi l'onda che ho smossosopra la superficie del lagotornerà a sciogliersie sarà come se io non mi ci fossimai tuffata.Un bel modo di fregare il vuotonon trova, Vittorio:restituirgli un altro vuoto,fargli marameo, se vuole,come un bambino,come un moscerino,come un'efèmera.Lo sa che le efèmere vivono un giornosolo, a volte due, Vittorio.La saluto Vittorio, stia bene,abbia cura di sé e delle persone che amae non lasci mai che alcuno le dicache ha sbagliato, che non ha capitoche non doveva protestare, che non dovevabattere i piedi per terra.E' l'unica cosa che abbiamo, questa pauraquesta tenerezza, questo dolore: è tuttonostro e ci confonde, a volte, nelle serescure, sotto le stelle sfocate di questoautunno infinito, Vittorio."Ovunque proteggila grazia del mio cuore"un tenero baciosua clotildaps. cielo, mi accorgo solo adesso di aver dimenticato l'arrosto! :-)