arrocco

attardamenti


 Credo ci sia uno scarto tra il saper immaginare e il dover vivere. Ci sono persone la cui capacità immaginativa supplisce alla mancanza di realtà. Sono coloro che hanno a disposizione un bagaglio quasi illimitato di immagini fantastiche, forse innate, forse conquistate (forse entrambe le cose). Allora ogni nome sconosciuto si assocerà a qualcosa che nella mente diviene tangibile, così Istanbul dalle moschee dorate al tramonto così la pietra rosata della città santa, così le alte finestre illuminate e il profumo di baguette della Ville Lumière. Non conoscere, permette il lusso di immaginare (Bernardo Soares spiega gran bene questo "pregio").Poi ci sono le persone che le cose devono viverle. L'immaginare serve solo a propulsione, con annessa ansia di verifica. Non basta sentire la vita, devono sentirsi vivi e devono sentirsi vivi sempre. Come una sorta di ansia da prestazione. L'intelletto sempre stimolato, l'emozione sempre palpitante, i sensi all'erta. Come se il crogiuolo della malinconia partorisse masse informi, subito esposte, senza che il tempo ne maturasse materia per il cesello. Mi sembra una fuga, sempre incalzata dalla sete. Nuovi mondi, nuovi eventi, nuove persone, nuovo fare... che stanchezza!Io so che vorrei moltissime cose. Vorrei vederle, vorrei conoscerle, vorrei viverle. Però molto spesso mi appaga immaginarle. Non significa sia un compromesso alla rinuncia, solo un sentire che si esaudisce in se stesso (spesso, appunto)."Un uomo, se possiede la vera sapienza, può godere l'intero spettacolo del mondo seduto su una sedia, senza saper leggere, senza parlare con nessuno, soltanto con l'uso dei sensi e il fatto che l'anima non sappia essere triste."(F. Pessoa, Il libro dell'inquietudine)