arrocco

ottovolante


 
 Hanno tentato di sabotare quella manciata di ore che ci legavano ancora con uno stesso filo, come un veleno che si spandesse nell'aria ad ammorbare, a invadere con violenza ogni angolo privato e segreto. Mio caro Ettore, lo vedi il fumo che sale dall'accampamento acheo? La vedi la serpe che insidia il calcagno dissimulata tra i sassi? Ecco, mio compagno, mio marito, mio amico, mio padre, mio amante, ecco, io vedo l'inganno e non riesco a godere di quel che ci resta, di queste ore notturne che rubiamo all'alba. Troppo forte è l'offesa di questo agire ipocrita, di questo avvicinarsi mellifluo e subdolo. Hanno rubato la nostra fiducia, mio signore e mio dio, l'hanno carpita con finte mosse e paludate parole. Riusciremo a venirne a capo, mio sacro consorte? Riusciremo a sostare all'aria che attraversa le fronde degli ulivi senza più quest'ansia che divora? Ho innalzato sacrifici agli dei, pregandoli per uno sguardo benevolo, ma gli dei non mi hanno guardata e non mi hanno sorriso. E io ora ho il ricordo troppo breve e amaro di pietre calcate in punta di piedi su crateri pieni d'acqua, di altezze vertiginose cui mi ha condotta il mio amore per te e la mia paura del vuoto. La memoria, avara, di tratti precisi e potenti, di un mondo in divenire e di una speranza in embrione. So che questo conta, quella manciata di ore che danno significato al vivere, quella manciata di ore che rimangono dopo aver sfrondato il superfluo, il meschino, il vigliacco. A questo mi aggrappo prima che canti l'allodola. A questo mi aggrappo prima che giunga Achille sotto le mura.