arrocco

Il pegno


 
 E' inutile. Pago pegno ogni volta che te ne vai. Allora non trovo via d'uscita, come una falena che avanzando dalla notte buia, sbatta sul vetro anelando alla luce, oltre. Grande obolo ai mostri, alle fantasie che assillano in grandioso girotondo, alle immagini che gridano dal pozzo del visto, del vissuto, del sentito.Il labirinto sta lì, senza sforzo ad ingoiarmi, come tra i vicoli bui di Napoli sotterranea, sotto l'ira di un Vesuvio che furioso leva voci infuocate. Corro per scappare verso un mare che, creduto salvezza, si rivela impenetrabile, senza quiete da offrire, e rimango con il fiato corto sulla spiaggia a chiudere gli occhi e a tapparmi le orecchie, per non vedere e non udire quella folla che preme. I Cristi crocifissi nelle lande deserte da aguzzini della sabbia, le fanciulle offese, elette a Madonne da una morte errabonda e i bambini affamati di ogni fame. Tutti loro urlano, sommessamente, oltre le mie dita trasparenti. Io devo ascoltare ogni storia, guardare ogni piaga, sentire ogni dolore.Pago il pegno e ingoio tutto quel mondo, fin giù, dentro. Fino al ballo di un vagabondo davanti alle vetrine illuminate di un Natale estraneo, fino al suo figlio forse perduto e ad uno inventato. Fino a quello sognato e desiderato.Pago pegno. Poi so che tutto passa.