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« CANTO D'AMORE | Ed ecco... (1) » |
Difficile /e, tuttavia, affascinante) compito per un sacerdote, versato anche per inclinazione intellettuale alla letteratura ed, in particolare, alla poesia, presentare un Autore non nuovo alle riflessioni liriche sulla vita e sullo spirito. Ma oggi si chiede all'uomo di Chiesa di mettere le parentesi alla sua funzione sacerdotale. E veniamo, pertanto, all'impegno di presentare un'opera, nella quale l'amore compare, significativamente, gia nel titolo della Raccolta. E sì, quello che Benedetto Carlucci manifesta è un coacervo di sentimenti, delle più varie destinazioni. Ma è comune la consapevolezza che è proprio l'amore a muovere il mondo». Tutto il mondo. Non sembri casuale. Non sembri casuale che i primi due Sonetti «benedettiani» (18 endecasillabi sciolti, in sei strofe) parlino della Settimana santa, tempo forte per eccellenza dell'anno liturgico del mondo cristiano. Ma, nei versi dei sonetti successivi, esplode l'amore per il «natìo borgo selvaggio». Che borgo non è più, ma che selvaggio, purtroppo, non cessa ancora di essere. Agli occhi felliniani del Carlucci, la vita di Atella è vista e rivista, comunque sempre cantata sul registro di un infinito "a'm'ar'cord" della memoria. Possiamo formulare un augurio finale all'Antore di questo «Canto d'amore»? Un giudizio no, ma l'augurio di produrre sempre ed ancora tanta poesia bella come questa certamente, certamente sì: Benedetto Carlucci lo merita dal profondo del nostro cuore.
Giovanni De Palma
parroco di Pescopagano e poeta
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