Creato da benedicaria il 16/09/2012

Benedicaria

La "Magia" Popolare Siciliana e non solo...

 

 

BENEDIZIONE DEGLI ALBERI

BENEDIZIONE DEGLI ALBERI

"Ciò che io so della Scienza divina e delle Sacre Scritture l'ho imparato nei boschi e nei campi. I miei maestri sono stati i faggi e le querce, non ne ho avuti altri. Tu imparerai più nei boschi che nei libri. Alberi e pietre ti insegneranno più di quanto tu possa acquisire dalla bocca di un maestro." Con queste parole, all’inizio del XII secolo, Bernardo da Chiaravalle consigliava di guardare alla natura per trovare una risposta al mistero della vita. Parole valide da sempre, perché dai tempi più remoti e presso tutte le culture il destino dell’umanità fu strettamente legato alla presenza della vegetazione.

Fin dalla loro comparsa gli alberi hanno costituito un aspetto fondamentale dell’ecosistema: per il ciclo dell’acqua e della vita, per l’equilibrio del clima e per la sopravvivenza delle specie animali. Ma all’umanità, oltre alla possibilità dell’evoluzione materiale, era offerto ben di più. Ci fu un’epoca remota nella quale i boschi, riconosciuti come manifestazione immediata del divino, furono al centro della vita spirituale delle comunità e conseguentemente dell’organizzazione religiosa. Tanto che dallo sciamanesimo eurasiatico a quello dell’America del nord la natura nutrice, simbolo materno di fecondità e di trascendenza, venne adorata come una dea vivente. L’albero, sua espressione, si trasformò così in un potente simbolo del sacro.
Hermann Hesse soleva ripetere che “gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità”.

Presso ogni cultura, tradizioni mitiche e di folklore venerarono questi altari del cielo e della terra, carichi di valenze simboliche. A solo titolo di esempio si possono ricordare le seguenti raffigurazioni:
- l’albero come immagine dell’energia del cosmo in movimento, in quanto simbolo di rigenerazione allusa dalla ciclicità del seme;
- l’albero come microcosmo e sintesi dell’armonia degli elementi - l’aria, che filtra attraverso la chioma, il fuoco, energia radiante raccolta dalle foglie, l’acqua, assorbita dalle radici affondate in terra;
- l’albero come centro ideale del mondo o albero cosmico, asse di collegamento tra i regni sotterraneo, di superficie e del cielo, uniti tra di loro attraverso il tronco dall’apparato radicale alle fronde, ponte di passaggio dal fisico allo spirituale, e in questo senso metafora dell’uomo, a sua volta mediatore tra i mondi.

L’albero, con il significato di porta iniziatica, luogo dell’incontro tra le forze del cielo e della terra da dove attingere energia spirituale, venne utilizzato dalle religioni: l’Albero della Bodhi, dove il Buddha conseguì l’illuminazione, la scala di Giacobbe e soprattutto la Croce, nel suo valore di simbolo dell’unione tra la terra e il cielo. Ma anche l’albero-altare dei druidi, detti non a caso “uomini quercia”, o l’albero-totem degli indiani nordamericani, luogo magico di comunicazione con il divino. Ciò suggerì l’albero, nei millenni, all’umanità. E dalla profondità del suo impatto come immagine dell’inconscio, è possibile cogliere l’estrema varietà delle tipologie iconografiche ricorrenti, riferite nell’espressione artistica alle diverse specie arboree, fin dai tempi più antichi:

- l’albero-asse del Mondo: rappresenta la manifestazione che tende verso l’alto. Ispirò i costruttori delle piramidi, come gli architetti delle cattedrali, nella ricerca di un “centro” di partenza per orientare l’edificio rispetto al sorgere del sole;
- l’albero rovesciato: esprime il cosmo e le origini della creazione come manifestazione divina;
- l’albero della vita, o albero cosmico: è associato al piano della creazione e all’immagine femminile della divinità, dove l’albero alimenta con i suoi frutti e protegge, offrendo riparo con le fronde;
- l’albero della conoscenza del bene e del male: sorge nel Paradiso Terrestre e rappresenta la polarità tra gli opposti, appunto, bene e male, luce e ombra, permettendo così all’uomo di confrontare e in questo modo vedere i propri limiti;
- l’albero antenato, associato alla nascita e alla genealogia di individui o di comunità che in esso riconoscono un mitico antenato;
- l’albero di Jesse, tra i simboli più densi della mistica cristiana. Si può considerare come un esempio di albero antenato con riferimento alla Vergine ed è rappresentato come un albero che esce dall’ombelico o dalla bocca di una figura sdraiata, allusiva al progenitore; dai rami affiorano le immagini della Vergine e del Cristo, cui si associano angeli, profeti e altre figure;
- l’albero nella tradizione ebraica, dove rappresenta la vita spirituale e trova espressione nell’albero delle Sefiroth, un ideogramma che collega tra di loro dieci essenze metafisiche, le Sefiroth, citate nei testi biblici.

Queste le tipologie più diffuse. Senza contare l’interpretazione delle diverse specie come espressioni di valori morali veicolati dall’attribuzione agli dei e spesso integrati successivamente dall’etica cristiana: la vite, prima consacrata a Bacco, divenuta simbolo di prosperità spirituale conquistata con il sangue di Cristo. La palma, collegata alle origini di Roma, trasformata in simbolo del trionfo conseguente al martirio. L’alloro, sacro ad Apollo e perciò attributo dello spirito solare, della musica, della poesia e segno di vittoria, in quanto albero di Giove. Il pioppo, riferito ad Ercole e allo spirito di sacrificio. Il pero, albero di Venere e di Giunone, poi ricorrente nell’iconografia mariana in relazione all’immagine della Vergine con il Figlio. La quercia, robur come forza perché associata ai fulmini di Giove e al dono della veggenza. L’ulivo della pace, fatto germogliare da Minerva al termine della contesa per il possesso dell’Attica. Il salice, albero di Giunone e delle divinità lunari, ritenuto infecondo e perciò tramandato con valenza negativa di pianta funeraria. Come pure il cipresso, pianta dei cimiteri consacrata ad Ade ma trasformata in segno di virtù spirituale dal cristianesimo e in particolare da Origene, che l’associò alla Vergine per il suo andamento svettante verso il cielo. E ancora, l’albero di acacia, pegno di resurrezione, l’acanto, simbolo di trionfo, il melograno, pianta della fertilità, il castagno, dono della provvidenza, il noce, albero della profezia, il cedro, espressione dell’incorruttibile, il banano, invito a meditare sulla fragilità umana e il melo, simbolo della conoscenza suggerita dal pentacolo che risulta dalla sezione trasversale del frutto. Tanto per citare gli esempi più famosi.

DENDRITI
Con questo termine (dal greco dendron, albero) si indicano gli asceti cristiani che, nell'Oriente bizantino, trascorrevano parte della loro vita dentro le insenature di grossi alberi. La categoria dei dendriti fu assai più ristretta di quella degli stiliti (asceti sulle colonne), né mai acquistarono la popolarità di quelli, pur conducendo un genere di vita ugualmente rigoroso e mortificato; furono pochi e solo noti in qualche regione vicina al luogo del loro ascetismo.

RITO PER LA BENEDIZIONE DEGLI ALBERI

Nella tradizione ebraica, nel mese di Nisan (marzo-aprile), con l’arrivo della primavera, viene recitata una particolare Benedizione degli Alberi (da frutto). Con questa speciale benedizione si ringrazia e loda Dio per il continuo rinnovarsi della Creazione.

Secondo la mistica ebraica (la Cabala), questa benedizione ha un significato speciale. Quando la si recita, si possono redimere le anime che sono state reincarnate nel regno vegetale, rendendo loro possibile di continuare o completare la rettificazione (purificazione) dell'anima.


(Si può accendere un cero ai piedi dell’Albero)

Ti sia gradito, Signore nostro Dio e Dio dei nostri padri, che in virtù di questa Benedizione degli Alberi, che reciteremo possa compiersi per noi ciò che è stato detto: “Dio ti conceda la rugiada del cielo e il grasso della terra, abbondanza di grano e di mosto. Ti servano i popolo e si prostrino davanti a te le nazioni, sii capo dei tuoi fratelli e si inchinino davanti a te i figli di tua madre, sia maledetto chi ti maledice e benedetto chi ti benedice” (cfr. Genesi 27,28-29). I detti della mia bocca e la meditazione del mio cuore siano graditi davanti a Te Signore, mia rocca e mio Redentore (cfr. Salmo 19,15). Possa la grazia del Signore nostro Dio essere su di noi, consolidare per noi l’opera delle nostre mani e rendere stabile l’opera delle nostre mani (cfr. Salmo 90,17)!

L’ALBERO COSMICO
 
Questo legno mi appartiene
per la mia eterna salvezza.
Io me ne nutro, me ne sazio,
mi radico nelle sue radici,
mi stendo sotto i suoi rami,
mi abbandono deliziandomene
al suo stormire, come al vento.
Fiorisco con i suoi fiori,
i suoi frutti sono per me
motivo di immenso godimento,
frutti che io raccolgo,
preparati per me
dal principio del mondo.
Per la mia fame
trovo delicato nutrimento;
per la sete una fontana;
per la nudità un vestito;
le sue foglie sono spirito vivificante.
Lontane da me sono le foglie del fico!
Ecco la scala di Giacobbe
sulla quale gli angeli salgono e scendono,
in cima alla quale sta il Signore.
Questo albero che s'allarga
come il cielo sale dalla terra ai cieli.
Pianta immortale,
si drizza nel centro del cielo e della terra,
solido sostegno dell'universo,
vincolo che lega tutte le cose,
basamento della terra abitata,
abbraccio cosmico
che chiude in sé
tutta la quasi inesauribile
varietà del genere umano;
fissato dagli invisibili chiodi dello Spirito
per non vacillare nella sua aderenza al divino;
pianta che con la sua cima tocca il cielo,
coi suoi piedi consolida la terra
e nello spazio intermedio
fra cielo e terra abbraccia l'atmosfera tutta
con le sue incommensurabili mani.
O tu che sei solo tra i soli,
e sei tutto in tutti,
i cieli ricevano il tuo spirito
e il paradiso la tua anima,
ma che il sangue tuo rimanga della terra!

(Inno di Sant’Ippolito di Roma, vescovo e martire – III secolo)

Dal libro dei Giudici (9,6-15)
In quei giorni, tutti i signori di Sichem e tutta Bet Millo si radunarono e andarono a proclamare re Abimèlec, presso la Quercia della Stele, che si trova a Sichem. Ma Iotam, informato della cosa, andò a porsi sulla sommità del monte Garizìm e, alzando la voce, gridò: «Ascoltatemi, signori di Sichem, e Dio ascolterà voi!
Si misero in cammino gli alberi per ungere un re su di essi.
Dissero all’ulivo: “Regna su di noi”.
Rispose loro l’ulivo: “Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dèi e uomini, e andrò a librarmi sugli alberi?”.
Dissero gli alberi al fico: “Vieni tu, regna su di noi”.
Rispose loro il fico: “Rinuncerò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, e andrò a librarmi sugli alberi?”.
Dissero gli alberi alla vite: “Vieni tu, regna su di noi”.
Rispose loro la vite: “Rinuncerò al mio mosto, che allieta dèi e uomini, e andrò a librarmi sugli alberi?”.
Dissero tutti gli alberi al rovo: “Vieni tu, regna su di noi”.
Rispose il rovo agli alberi: “Se davvero mi ungete re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano”».

Riflessione
Gli alberi racconta Iotam vogliono crearsi un re. Per farlo re cercano un albero di grandi qualità, di grandi capacità, perché occorre che il re sia il migliore di tutti. Si rivolgono quindi all'ulivo, che produce l'olio, derrata tanto preziosa, l'olio che nutre, l'olio che serve per preparare rimedi, per preparare profumi, l'olio che può anche dare una fiamma che illumina. Ma l'ulivo rifiuta di diventare re. Si rivolgono al fico, il cui frutto è così squisito; il fico rifiuta. Si rivolgono alla vite: "Vieni, regna su di noi!", ma anche la vite rifiuta. Perché? Perché tutti questi alberi hanno un concetto bassissimo del compito di un re: dicono che il re "si agita al di sopra degli alberi". L'ulivo risponde: "Rinunzierò forse al mio olio, grazie al quale si onorano dei e uomini e andrò ad agitarmi sugli alberi?". Così viene descritta la funzione del re, la posizione del re: agitarsi al di sopra degli altri. E il fico: "Rinunzierò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito e andrò ad agitarmi sugli alberi?". E una grande lezione di umiltà per gli ambiziosi che aspirano al potere per essere al di sopra degli altri. La vera grandezza consiste nel servire umilmente, per amore. È la grandezza di Cristo, che non ritenne come un privilegio da conservare la sua uguaglianza con Dio, ma umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte nell’Albero della Croce (cfr. Fil 2, 8ss.). Per dare la Vita in riscatto di tutti!

(Si potrà avvolgere il tronco dell’Albero con un nastro, simbolo del nostro abbraccio, del nostro omaggio e della nostra preghiera)

PREGHIERA DI BENEDIZIONE DEGLI ALBERI

Benedetto sei Tu, o Dio, nostro Signore, Re dell'Universo, che il Tuo mondo non manca di nulla e hai creato in esso buone creazioni e buoni alberi per il piacere dell'umanità.

Preghiera per le Anime

Per reincarnazione si intende la rinascita dell'anima, o dello spirito di un individuo, in un altro corpo fisico, animale o vegetale trascorso un certo intervallo di tempo dopo la sua morte terrena.

La reincarnazione nel cristianesimo fu accolta solo presso ambienti cristiani poi ritenuti eterodossi. Origene sembrava accettare la possibilità di una preesistenza dell'anima anteriore alla nascita, ma contestava che lo spirito umano potesse reincarnarsi nel corpo di animali. In seguito la reincarnazione fu ribadita dal filosofo Scoto Eriugena. Secondo i sostenitori della reincarnazione nel Cristianesimo, alcuni passi del Vangelo farebbero indurre questa possibilità, ad esempio:
Quando Gesù chiede agli apostoli: «Chi credete che io sia?», essi rispondono: «Alcuni dicono che sei Giovanni Battista, altri Elia ed altri Geremia o uno dei Profeti». Ciò testimonierebbe l'accettazione della possibilità che un profeta del passato potesse reincarnarsi nel Cristo.
L'episodio della trasfigurazione sul monte Tabor: «“Ma io vi dico che Elia è già venuto e non lo hanno riconosciuto”, allora i discepoli compresero che aveva parlato di Giovanni il Battista».
«“Tutti i profeti e la legge hanno profetato fino a Giovanni e, se volete accettarlo, egli è quell’Elia che doveva venire”».
Quando i farisei interrogano il cieco che annuncia la guarigione: «“Tu sei venuto al mondo ricoperto di peccati e vuoi farci da maestro”».
Quando i farisei interrogano il Battista su chi egli sia e con quale autorità compia il suo ministero, gli prospettano tre personaggi di cui uno sicuramente morto ovvero Elia, il Messia o il Profeta.
Nell'incontro con Nicodemo Gesù sembrerebbe suggerire una rinascita immediata ovvero una conversione dell'anima all'ipotesi di reincarnazione.
Anche in un testo gnostico denominato Pistis Sophia verrebbe prospettata la possibilità della reincarnazione, sempre però in vista di un suo superamento finale. Va però precisato che tra i tanti testi gnostici ed apocrifi la quasi totalità di questi, riprende l'idea della rinascita in questa vita e non in un'altra.

La dottrina della reincarnazione trova varie testimonianze come quella di San Gregorio Nisseno, fratello minore di Basilio di Cesarea, che affermò: «È una necessità di natura per l'anima immortale essere guarita e purificata, e quando questa guarigione non avviene in questa vita, si opera nelle vite future e susseguenti». Così Giustino: «Alcune anime che si credono indegne di vedere Dio a seguito delle loro azioni durante le reincarnazioni terrene, riprenderanno i corpi». Origene sostenne che «in quanto a sapere perché l’anima ubbidisce talvolta al male, talvolta al bene bisogna cercare le cause in una nascita anteriore alla nascita corporea attuale».

Benché sia una concezione non presente nella Torah scritta e non esplicita nel Talmud la credenza nella reincarnazione non è estranea nemmeno all'Ebraismo. Definita Ghilgul è insegnata infatti dalla Cabala, la componente mistico-esoterica della religione ebraica basata in buona parte sul valore mistico-occulto dei numeri e delle lettere alfabetiche ebraiche, grazie al quale vengono estratti dai testi sacri dei significati nascosti e più profondi rispetto a quelli ottenibili dallo studio ordinario.


Padre nostro misericordioso, agisci in nome della Tua santa Legge, in nome dei Tuoi santi Nomi scritti e allusi in essa, in nome del merito di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Aronne, Giuseppe e Davide; abbi pietà, clemenza e misericordia e agisci con la Tua grande misericordia e bontà su tutti i soffi vitali gli spiriti e le anime, che ancora non hanno la forza per giungere nel loro luogo di riposo; sui soffi vitali, gli spiriti e le anime che sono presenti nei minerali, vegetali, in esseri viventi che non hanno la facoltà di parlare o in esseri viventi che possono parlare. E Tu, Dio che conservi bontà per migliaia di generazioni, con la Tua grande bontà elargirai loro grande abbondanza di luce, nella luce della vita. Dà loro forza, sostegno e coraggio affinché si purifichino e si rettifichino nella giusta misura. Completa prontamente, con la luce del Tuo volto, la loro purificazione e la loro rettificazione, salvali da qualunque oppressore, nemico e accusatore; che i difensori raccomandino per loro il bene. Agisci nei loro confronti con bontà, poiché questa è la Tua via: prodigare il bene gratuito a ogni generazione.

Sia benedetto il Nome glorioso del Suo regno per sempre.


Al termine della Benedizione degli Alberi si possono sotterrare 3 monete per la carità, corrispondenti ai tre livelli spirituali dell’uomo: spirito, anima e corpo.

SULLA REINCARNAZIONE DELLE ANIME

- Edmond Bertholet, La Reincarnazione nel mondo antico, ed. Mediterranee, 1978.
- E. Bertholet, op. cit., pag. 280.
- Prophet, Reincarnazione. L'anello mancante del cristianesimo (v. bibliografia).
- Matteo 16,13-14.
- Matteo 15,10-15.
- Matteo 11,13-14.
- Giovanni 9, 34.
- Giovanni, 3.
- Gregorio Nisseno, Grande discorso catechetico, tom. III.
- Edmond Bertholet, La Reincarnation, Paris, 1972.

BIBLOGRAFIA

- I GRANDI ALBERI, TRA SIMBOLOGIA E MITO di Moris Lorenzi
- Le preghiere ebraiche sono state liberamente tratto dal Siddùr Sìyakh Yitzkhàk - Libro di Preghiere - Ed. Mamash.

 
 
 

Mille volte Gesù… La festa della Santa Croce del 3 maggio

Mille volte Gesù… La festa della Santa Croce del 3 maggio

Il 3 maggio la Chiesa celebrava, fino alla riforma del Calendario Liturgico, l’”Invenzione di Santa Croce”, dal popolo intesa Festa d’u Crucifissu.
La commemorazione fa riferimento al ritrovamento della Croce, nel 326, per merito di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino.
La Croce si trovava a Gerusalemme, sotto un tempio dedicato alla dea Venere, e con essa ne erano state sotterrate altre due. Si narra che per sant’Elena fu facile scoprire quale delle tre fosse quella che aveva visto morire Gesù. Ella fece avvicinare una donna ammalata che, accostandosi ad una delle croci, guarì immediatamente.
Questo è quanto riferiva il “Messale Romano Quotidiano”, prima che la riforma del Calendario Liturgico, seguito al Concilio Ecumenico Vaticano II, accorpasse l’”Invenzione di Santa Croce” con la festa del 14 settembre, data in cui la Chiesa ricorda l’”Esaltazione della Santa Croce”.
Tale celebrazione è riferita alla restituzione della Croce da parte del figlio di Cosroe II (il re persiano che l’aveva trafugata nel 614), all’imperatore bizantino Eraclito I che la riportò a Gerusalemme nel 628.
E’ proprio sulla scia dei “ritrovamenti” che la memoria popolare ci tramanda mirabolanti storie di recupero di crocifissi. Racconti che, di solito, non hanno un’esatta collocazione storica, ma sono storie che si riferiscono ad un tempo imprecisato che si racchiude nell’espressione popolare ‘na vota (una volta).

"Una volta, - riferisce lo storico Giuseppe Pitrè, nel suo libro "Feste Patronali nella Sicilia Occidentali" - nei tempi antichi, alcuni cristiani delle vicinanze di Palermo, e propriamente di Monreale, di Boccadifalco e di Altarello di Baida s’imbarcarono per andare in Barberia. Erano provvisti di molto danaro e si proponevano di tornare con grandi e preziose mercanzie. Cammin facendo s’incontrarono in una nave turca, il cui equipaggio si baloccava con un Crocifisso capitatogli non si sa donde e come. Scandalizzati a quella profanazione vollero riscattare il Crocifisso, e spesero tutte le somme che possedevano; e tornarono a Palermo; ma nel tornare sorse tra loro la questione a chi il Crocifisso dovesse appartenere, e in qual sito lo si dovesse portare, a Monreale, o a Boccadifalco o ad Altarello. Però la questione fu subito risoluta di comune accordo: adagiando la statua sopra un carro tirato da buoi, a’ quali si lascerebbe libertà di andare alla ventura senza guida e pungiglioni. I buoi,  abbandonati a se stessi, andarono dritto a Monreale, fermandosi nel punto che è ora la Collegiata, ove il Crocifisso venne senz’altro accolto e conservato."

Tutt’oggi Monreale, il 3 maggio, rende onore al Santissimo Crocifisso con grandi festeggiamenti.
Sono tanti i comuni siciliani che riservano grandi festeggiamenti al Santissimo Crocifisso, che è patrono o compatrono di: Acquaviva Platani, Lucca Sicula, Menfi e Siculiana in provincia di Agrigento; Bompensiere, Resuttano e San Cataldo nella provincia di Caltanissetta; Baronia nella provincia di Catania; Forza d’Agrò e Ucria nella provincia di Messina; Belmonte Mezzagno, Carini, Ficarazzi, Giardinello, Lascari, Monreale, Montelepre, Montemaggiore Belsito, Palazzo Adriano, Roccapalumba, Sciara, Trabia e Villafrati nella provincia di Palermo; Calatafimi e l’isola di Favignana nella provincia di Trapani. In alcuni luoghi tale festività ricorre a maggio, in altri a settembre.

ROSARIO “U MISTERU DA SANTA CRUCI”

Il “Misteru da Santa Cruci” (Mistero della Santa Croce) è un Rosario molto particolare che pare rispecchiare l’Esicasmo. Si compone da un mistero, intervallato da una giaculatoria ripetuti alternativamente 10 volte ciascuno e intervallati da 10 invocazioni del nome di Gesù. A Rosario concluso si sarà pronunciato 1000 volte il Santo Nome di Gesù.
È necessario che il conto millesimale sia esattissimo, così ci si attrezza come si può. All’antica pratica di tenere il conto con dieci sassolini o dieci pezzetti di legno, lasciandoli cadere, sembra ormai essere subentrato il metodo del rosario (prima utilizzato solo per contare le dieci invocazioni del nome di Gesù). Utilizzando infatti una comune corona del Rosario si usa recitare sul grano grande il mistero e su quelli piccoli semplicemente “Gesù”:

Posta 

In siciliano:

Arma mia,
pensa pi tia:
pensa c’hai a muriri.

Munti ribellu (Valli i Giosufà)
s’avi a ribellari,
lu nemicu 'nfernali
t’avi a scuntrari
e tu ci ha’ diri:
«Vattinni, brutta bestia ‘nfernali,
ca cu mia nun ci hai a chi fari,
ca lu iornu di la Santa Cruci
aiu dittu milli voti: Gesù, Gesù, Gesù...»


In italiano:

Anima mia,
pensa per te:
pensa che devi morire.

Monte ribelle (Valle di Giosafat)*
si deve ribellare.
il nemico infernale
ti deve scontrare
e tu ci devi dire:
«Vattene brutta bestia infernale,
che con me non hai cosa fare,
che il giorno della Santa Croce
ho detto mille volte: Gesù, Gesù, Gesù...»


Poi si dice:

In siciliano:

Santa Cruci, aiutatini Vu!

In italiano:

Santa Croce, aiutatemi Voi!

E per dieci volte: Gesù!

Quindi si comincia di nuovo con: “Arma mia...” e si finisce solo quando il nome di Gesù è stato pronunziato mille volte.

* La valle di Giosafat è un nome dato al luogo del giudizio finale Gioele 3,2-12. Siccome Giosafat vuol dire “Dio ha giudicato”, è probabile che sia una descrizione simbolica (come "valle del Giudizio" nel versetto 12) piuttosto di un luogo geografico. Se è un luogo particolare, la valle più probabile è la Chidron, che viene chiamato appunto la valle di Giosafat (a causa di questo versetto) dal quarto secolo d.C.

In siciliano

Pâ Santa Cruci, ù tri Maju

Oggi è lu jornu
di la Santa Cruci,
e n'atri dicemu
milli voti Gesù.
Santa Cruci Biniditta,
ncelu fustivu scritta,
fustivu scritta cu littri d'oru,
Santa Cruci iu v'adoru.

In italiano:

Per la Santa Croce, il tre di Maggio

Oggi è il giorno
della Santa Croce,
e noi altri diciamo
mille volte Gesù.
Santa Croce Benedetta,
in cielo foste scritta,
foste scritta con lettere d’oro,
Santa Croce io vi adoro.

(Liberamente tratto da: “A Cruna. Antologia di Rosari Siciliani”, di Sara Favarò. Ed. Città Aperta.)

 
 
 

La notte di Santa Valpurga e il giorno di Calendimaggio

La notte di Santa Valpurga e il giorno di Calendimaggio

La primavera è una risurrezione della vita universale e di conseguenza della vita umana. Con questo atto cosmico tutte le forze della creazione ritrovano il loro vigore iniziale; la vita è integralmente ricostituita, tutto comincia di nuovo; in breve, si ripete l'atto primordiale della creazione cosmica perché ogni rigenerazione è una nuova nascita, un ritorno a quel tempo mitico in cui apparve per la prima volta la forma che si rigenera.
Questi riti si svolgono anche e soprattutto il 1° maggio, e sono antichissimi. Nei paesi celtici coincidevano con la festa di Beltane (fuoco luminoso), durante la quale si usava appendere una corona primaverile a un tronco sfrondato. Si celebrava l'inizio del semestre del sole trionfante con tornei dove il vincitore, simbolo del dio che vinceva gli inferi, otteneva il diritto di sposare la damigella per la quale s'era battuto.
Il 1° maggio segnava l'inizio del trionfo della luce sulle tenebre e continuò a essere celebrato anche dopo la cristianizzazione, tant'è vero che dalle feste celtiche è derivato il Calendimaggio medievale.

Nella notte della veglia, come in ogni periodo di passaggio, si entrava in comunicazione con il mondo infero e con i morti. «Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica,» scrive Eliade «i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti, dall'opulenza e dall'orgia. Le anime dei morti hanno sete di esuberanza biologica, di ogni eccesso organico, perché questo traboccare di vita compensa la povertà della loro sostanza e li proietta in un'impetuosa corrente di virtualità e di germi. Se i morti ricercano le modalità spermatiche e germinative, è altrettanto vero che anche i vivi hanno bisogno dei morti per difendere i seminati e proteggere i raccolti. Ippocrate ci dice che gli spiriti dei defunti fanno crescere e germinare i semi.»

Per questo motivo nella notte del 30 aprile si susseguivano in un'atmosfera orgiastica banchetti e danze che terminavano con la espulsione rituale dei morti, ovvero con l'avvento della «nuova vita». Sulla notte vegliava la Grande Madre della fertilità che dominava allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti. Con la cristianizzazione dell'Europa la notte del 30 aprile subì una metamorfosi. Si diceva che vi si dessero convegno spiriti inferi, streghe e stregoni che si dovevano espellere grazie all'intervento intercessorio di santa Valpurga, una monaca inglese (710-778), diventata badessa del monastero tedesco di Heidenheim presso Eichstatt dove fu sepolta il 1° maggio 871 nella chiesa di Santa Croce: santa che ha ereditato le funzioni della Grande Madre e ha dato il nome alla notte.

Per quanto riguarda la Sicilia, non è mai esistita una festa simile al Calendimaggio anche se Giuseppe Pitrè ci racconta che: «il giorno 1° di maggio per alcuni, il giorno 3 per altri, è la festa de’ fiori. Il ciuri di Maju (fiore di Maggio), crisantemo (Chrysantemum coronarium), col suo fiorire annuncia la primavera. I ragazzi e le ragazze il 1° del mese vanno a coglierne grandissima quantità e se ne adornano il capo, il seno, ed a piene mani recano ed offrono altrui (Noto). Altri ne fan mazzolini e ne intrecciano ghirlande. I carrettieri notigiani ne parano cavalli, asini e muli. In Palazzo Adriano (Palermo) attaccano al balcone una corona di questi fiori legandovi un bel nastro di seta a colore. Altrove, in Salparuta (Trapani) per esempio, i fanciulli e le fanciulle se ne fanno braccialetti». Solo quest’ultima usanza, in maniera sempre più scolorita, sembra essere sopravvissuta fino ai giorni nostri.

INVITATORIO

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio. (Cantico dei Cantici 8,6-7)

BENEDIZIONE E ACCENSIONE DEI FUOCHI

(si accendono due fuochi, che possono essere rappresentati da due grandi ceri di colore rosso)

Sii benedetto, Signore nostro Dio:
tu hai dato agli uomini il tuo Figlio,
splendore dell'eterna gloria,
e la fiamma viva del tuo Santo Spirito;
benedici le fiamme di questi due ceri,
simboli dei fuochi nella notte di Santa Valpurga,
vigilia del Calendimaggio;
fa' che diveniamo portatori di luce
e costruttori di un mondo rinnovato nel tuo amore.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.

LA SPOSA

Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
Somiglia il mio diletto a un capriolo
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia attraverso le inferriate.
Ora parla il mio diletto e mi dice:
«Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
Perché, ecco, l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori i primi frutti
e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro».
(Cantico dei Cantici 2,8-14)

LO SPOSO

Come sei bella, amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono un gregge di capre,
che scendono dalle pendici del Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte procedono appaiate,
e nessuna è senza compagna.
Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia;
come spicchio di melagrana la tua gota
attraverso il tuo velo.
Come la torre di Davide il tuo collo,
costruita a guisa di fortezza.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di prodi.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò al monte della mirra
e alla collina dell'incenso.
Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.
Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!
Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.
Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c'è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano.
Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, sposa,
giardino chiuso, fontana sigillata.
I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
con ogni specie d'alberi da incenso;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi.
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d'acque vive
e ruscelli sgorganti dal Libano.
(Cantico dei Cantici 4,1-15)

LA CROCE DI MAGGIO

Il 1° maggio, cacciate le streghe, ovvero ricacciati i morti negli inferi, si portava e si porta ancora, dove la tradizione è sopravvissuta, un albero dal bosco collocandolo in mezzo al paese: è l'Albero di Maggio o semplicemente il Maggio. Sull'albero sfrondato, cui rimaneva soltanto una corona di foglie, venivano posti salsicce, dolci, uova e altri cibi oltre a nastri variopinti. I giovani vi si arrampicavano per impossessarsene: una sopravvivenza di queste usanze si ritrova negli Alberi della Cuccagna delle nostre fiere. Quell'albero altro non era che il simbolo dell'Albero Cosmico, le cui fronde si trovano di là dal visibile, nel non manifestato, analogo alla scala di Giacobbe, asse del mondo grazie al quale si può giungere alla comunione divina. Ma di questo simbolismo pochi erano, e sono, coscienti. Come per la notte del 30 aprile la Chiesa cercò nel corso dei secoli se non di cristianizzare per lo meno di rendere più accettabili queste cerimonie. Nacque così l'usanza di sostituire l'albero con la Croce di Maggio: Nel vecchio calendario romano al 3 di maggio si celebrava la Inventio Sanctae Crucis, il ritrovamento della Croce di Gesù nel 628.
La festa era particolarmente sentita dalla gente dei campi perché cadeva in un periodo delicato dell’anno agrario, quando stava crescendo il grano. Oltre alla processione di una grande Croce, i contadini ne piantavano in mezzo ai campi di frumento un’altra costruita con le canne o di legno duro e alla quale veniva applicata la candelina della Candelora (oppure una candela dedicata a Santa Valpurga e nastri colorati), il ramoscello di olivo della Domenica delle Palme.
La croce aveva lo scopo di tutelare il raccolto nella delicata fase finale prima della mietitura. Chi è d'altronde il Cristo se non l'Albero della Vita, colui che conduce al Padre, al non manifestato? E, all'inverso, come albero rovesciato, con le radici in cielo e la chioma sulla terra, Colui che manifesta il divino e nutre il cosmo?

L’UNIONE DELLO SPOSO CON LA SPOSA

(Si pianta nel terreno o all’interno di una vaso la Croce di Maggio, simbolo di fecondità e si accende la candela bianca dedicata a Santa Valpurga)

Un rumore! E' il mio diletto che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
«Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».
Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta.
Mi sono alzata per aprire al mio diletto
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
Ho aperto allora al mio diletto.
(Cantico dei Cantici 5,2-6)

Oppure:

Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata. (Isaia 55, 10-11)

LA TERRA NUOVA

La Madre Terra che a primavera si rinnova, può essere personificata con la “terra nuova” descritta nell’Apocalisse di Giovanni (21,1-4), dove la Gerusalemme celeste appare "pronta come una sposa abbigliata per il suo sposo".

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo (21,1-4)
Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
"Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro".
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate".

Al termine della lettura, si può danzare o girare in circolo attorno alla Croce di Maggio cantando o pregando con queste parole:

IL SIGNORE DELLA DANZA di Sidney Carter

Danzate, ovunque voi siate, dice Dio,
perché io sono il Signore della danza:
io guiderò la danza di tutti voi.
Dovunque voi siate,
io guiderò la danza di tutti voi.

Io danzavo
il primo mattino dell’universo,
io danzavo circondato dalla luna,
dalle stelle e dal sole,
disceso dal cielo danzavo sulla terra
e sono venuto al mondo a Betlemme.

Io danzavo per lo scriba e il fariseo,
ma essi non hanno voluto seguirmi;
io danzavo per i peccatori,
per Giacomo e per Giovanni,
ed essi mi hanno seguito
e sono entrati nella danza.

Io danzavo il giorno di sabato,
io ho guarito il paralitico,
la gente diceva che era vergogna.
Mi hanno sferzato
mi hanno lasciato nudo
e mi hanno appeso ben in alto
su una croce per morirvi.

Io danzavo il Venerdì,
quando il cielo divenne tenebre.
Oh, è difficile danzare
con il demonio sulle spalle!
Essi hanno sepolto il mio corpo
e hanno creduto che fosse tutto finito,
ma io sono la danza
e guido sempre il ballo.

Essi hanno voluto sopprimermi
ma io sono balzato ancora più in alto
perché io sono la Vita
che non può morire:
e io vivrò in voi e voi vivrete in me
perché io sono, dice Dio,
il Signore della danza.

Un’usanza è quella di saltare sopra i fuochi (o sopra le fiamme delle candele) per assicurarsi la fertilità, girando attorno al fuoco (delle candele) per tre volte.

PREGHIERA DI INTERCESSIONE

(Durante la preghiera di intercessione, si potrà offrire una fumigazione di incenso utilizzando al massimo 3/5 piante indicate: olibano - sangue di drago – rosmarino – rosa – limone – gelsomino – pino – robinia – papavero – prezzemolo)

Dio Creatore e Padre abbraccia con la sua provvidenza tutti i suoi figli, li nutre con la sua benedizione dà fecondità alla Madre Terra, perché produca frutti e l'uomo ne tragga alimento. Rivolgiamoci a lui con filiale fiducia.

R. Ascolta la nostra preghiera.

Divino Seminatore,
tu che ci hai scelto come tuo campo,
fa' che siamo sempre fedeli al tuo amore,
aderendo in tutto alla tua volontà. R.

Padrone dell'evangelica vigna,
che ci hai inseriti come tralci in Cristo vera vite,
fa' che rimanendo uniti a lui,
portiamo molto frutto. R.

Creatore dell'universo,
che visiti la Madre Terra con la tua benedizione
e al tuo passaggio stilla l'abbondanza,
fa' che i nostri campi producano
il nutrimento necessario a tutte le famiglie. R.

Signore delle messi,
che moltiplichi il chicco di frumento
da cui proviene il cibo e il pane quotidiano,
dona il sole e la pioggia
per l'abbondanza del raccolto. R.

Dio del cielo,
che nutri gli uccelli dell'aria
e vesti i gigli del campo,
illumina la nostra fatica quotidiana,
perché nella prospettiva del tuo regno
edifichiamo la giustizia e la solidarietà fraterna. R. 

(Si brucerà alla fiamma della candela bianca dedicata a Santa Valpurga dei foglietti di carta su cui abbiamo scritto ciò che si vuole eliminare, il male, le difficoltà o i propri lati negativi)

Signore, tu trasfigurerai il cielo e la terra
-    unisci la nostra preghiera al gemito della creazione:

Padre nostro…

PREGHIERA DI BENEDIZIONE

Padre buono, che hai affidato all'uomo la Madre Terra da coltivare e custodire: per intercessione di Santa Valpurga, in questa vigilia di Calendimaggio, allontana dai nostri campi il flagello delle tempeste e ogni altra sciagura, perché producano frutti copiosi e una mèsse abbondante. A te lode e gloria nei secoli. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Bibliografia:

- Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell'anno, di Alfredo Cattabiani. Ed. Mondadori.
- Lunario. Dodici mesi di miti, feste, leggende e tradizioni popolari d’Italia, di Alfredo Cattabiani. Ed. Mondatori.
- Spettacoli e feste popolari siciliane di Giuseppe Pitrè.
- L’albero degli sciocchi sotto una ruota di sogni” di Sebastiano Rizza.
- Benedizionale, a cura della Conferenza Episcopale Italiana. Ed. Vaticana.

 
 
 

Orazione in siciliano a San Giorgio miracoloso

Orazione in siciliano a San Giorgio miracoloso

La notte della vigilia di San Giorgio (23 aprile), martire Patrono dell’Arma di Cavalleria, particolarmente venerato in molti Comuni della Sicilia, le ragazze che aspirano a sposarsi preparano un rituale particolare, fissato da norme ben precise dettate da consuetudini religiose che si tramandano, ancor oggi, di generazione in generazione, e che – a detta delle interessate – danno sempre dei buoni risultati. La ragazza dovrà pulire ed ordinare la sua stanza con cura e attenzione, perché sia degna di accogliere l’ospite di riguardo (San Giorgio); porrà sulla panca, dov’è conservato il suo corredo, qualche capo di biancheria intima; stenderà ai piedi del letto un panno bianco di lino (mai ‘ncignatu / mai usato), accenderà una candela alla finestra e lascerà la porta socchiusa. Si scioglierà i capelli e si metterà a letto, recitando la seguente preghiera:

In siciliano:

Oh, San Giorgiu miraculusu,
martiri santu, valenti cavaleri,
fammi attruvari l’omu amurusu,
masculu onestu, beddu, sanseri.
Ti l’addumannu mansu e virtuusu,
travagghiaturi e c’avissi un misteri;
e mi purtassi puru dintra un pirtusu,
fattu di paci e d’amuri, senza pinseri.
Si apri ‘stu cori, chi tegnu scurusu,
viri arrinesciri ‘na brava muggheri;
lu to nòmi mettu a lu primu carusu,
si mi maritu, senza cchiù smaniari.


(segue un pater, un’ave e un gloria)

In italiano:

Oh, San Giorgio miracoloso
martire santo, valente cavaliere
fammi trovare l’uomo che mi ami
maschio onesto, bello , sano.
Te lo domando, calmo e virtuoso
lavoratore e che abbia un mestiere
e mi porti anche dentro un buco
fatto di pace e d’amore, senza pensieri.
Si apre questo cuore, che tengo buio
vedi diventarmi una brava moglie
il tuo nome metterò al mio primo figlio
se mi sposo senza più tormentarmi.


(segue un pater, un’ave e un gloria)

Alcune asseriscono di aver sentito distintamente il rumore degli zoccoli di un cavallo per casa, interrompersi poi davanti all’uscio socchiuso; di aver trovato spiegazzata la biancheria posta sulla panca, indizio questo che lascia supporre il suo utilizzo per l’imminente matrimonio; e per ultimo – ma la fantasia popolare accoppiata alla paura crea leggendarie storie – che sul panno disteso ai piedi del letto è stato chiaramente rilevato un alone, verosimigliante all’orma lasciata dallo zoccolo del cavallo, quasi fosse la sigla del santo, che desse la certezza di un prossimo sposalizio.

 
 
 

Orazione in siciliano a San Giorgio cavaliere

Post n°128 pubblicato il 26 Aprile 2014 da benedicaria
 

Orazione in siciliano a San Giorgio cavaliere

Si racconta in diverse zone della Sicilia che questa novena veniva eseguita dalle donne i cui mariti erano impegnati in guerra, partendo dal vigilia del giorno di San Giorgio, a mezzanotte, per nove notti consecutive (appunto: Novena) per sapere se i propri mariti erano vivi e stavano bene, lasciavano sul tavolo un foglio di carta ed una penna con relativo (calamaio all’epoca) una candela bianca o verde (speranza) accesa (che si consumasse per l’intera notte ed indicasse la via al santo) e si andava a dormire. Se si sognava San Giorgio a Cavallo, il marito era vivo e stava bene, se si sognava solo il cavallo, il marito era passato a miglior vita, se si sognava solo il Santo, senza cavalcatura, allora il marito era vivo ma per il suo ritorno bisognava aspettare. Al mattino, si controllava il foglio, poichè il Santo che passava per la casa poteva lasciare un messaggio ai suoi abitanti.

Prima versione:

In siciliano:

Giorgiu Santu e Cavaleri,
vui siti a cavaddu e iu sugnu a peri,
vui ch’istivu a lu livanti
vui chi vinistivu a lu punenti,
sta grazia m’aviti a fari
tempu nenti!


In italiano:

Giorgio Santo e Cavaliere,
voi siete a cavallo ed io a piedi
(metafora
sicula intesa a dire di essere in ambasce)

voi che andaste a levante,
voi che veniste a ponente,
questa grazia dovete farmi
tempo niente!


Seconda versione:

In siciliano:

San Giorgiu cavalieri
vui siti a cavaddu e iu a peri,
pi la vostra santità
purtatimi insonnu sta virità.


In italiano:

San Giorgio cavaliere
voi sei a cavallo e io a piedi,
per la vostra santità
portatemi in sono la verità.

Terza versione:

In siciliano:

San Giorgiu Cavalieri, beddu a cavaddu e beddu a pedi, comu liberastivu a Maria Maddalena da la vucca du Serpenti, accusì aviti a liberari a mia dalla mala genti. Pi li munti ca firriastivu e pi li munti ca aviti a firriari na grazia ma viti a fari: (si chiede la grazia o la domanda a cui si vuole una risposta) Si è SI, ma viti a fari inzunnari chiesa parata, vigna carricata o tavula cunzata. Si è NO, ma viti a fari inzunnari acqua correnti o focu ardenti.

In italiano:

San Giorgio Cavaliere bello a cavallo e bello a piedi. come avete liberato Maria Maddalena dalla bocca del serpente così dovete liberare me dalle cattive persone. Per i monti che avete girato e per i monti che dovete girare una grazia mi dovete fare: (si chiede la grazia o la domanda a cui si vuole una risposta) Se è SI (la risposta) mi dovete fare sognare chiesa imbandita, vigna piena o tavola apparecchiata. Se è NO fatemi sognare acqua corrente o fuoco ardente.

 
 
 

DEDICA...

a mia nonna Concetta e a mia mamma Domenica, memorie storiche e depositarie della Benedicaria siciliana.

 

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QUESTO BLOG è CONSACRATO A SAN MICHELE ARCANGELO

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Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio; ut non pereamus in tremendo iudicio.

 

LE FASI LUNARI

"Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo" (Qoèlet 3,1)

- LUNA NUOVA (Luna nera): in questo periodo si può pregare per la nascita di qualcosa di nuovo e che ancora non c'è.

- LUNA CRESCENTE: in questo periodo si può pregare per la crescita di qualcosa o per incrementare qualcosa che è al suo nascere.

- LUNA PIENA: in questo periodo si può pregare per ogni tipo di coronamento, compimento, fecondità, piena realizzazione.

- LUNA CALANTE: in questo periodo si può pregare per far decrescere qualcosa, eliminare degli ostacoli, pregare per la purificazione e la liberazione.

 

LA BIBLIOTECA DI BENEDICARIA

Biblioteca della Benedicaria

- Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell'anno, di Alfredo Cattabiani. Ed. Mondadori.

- Lo Stivale Magico. Magia Popolare e Stregoneria del buon paese, di Andrea Bocchi Modrone. Ed. Il Crogiuolo.

- La Stregoneria in Italia. Scongiuri, amuleti e riti della Tradizione, di Andrea Romanazzi. Ed. Venexia.

- Guida alle Streghe in Italia, di Andrea Romanazzi. Ed. Venexia.

- I Guaritori di Campagna. Tra magia e medicina, di Paola Giovetti. Ed Mediterranee.

- I Benandanti, di Ginzburg Carlo. Ed. Einaudi.

- Patri, Figliu e Spiritu Santu. Viaggio alla scoperta delle preghiere dialettali recitate a Gangi, di Roberto Franco e Salvatore Germana. Ed. Arianna.

- Nnomini Patri, Figghiu e Spiritu Santu. Antiche preghiere in dialetto siciliano, di Antonina Valenti. ilmiolibro.it.

- A Cruna. Antologia di Rosari Siciliani, di Sara Favarò. Ed. Città Aperta.

- Pasqua. Dalla terra il cielo. Simboli, numeri, misteri, preghiere e riti popolari in Sicilia, di Sara Favarò. Ed. Le Nuove Muse.

- Chisti lodi e chisti canti. Antiche preghiere siciliane delle Madonie, Nebrodi e dintorni, di Giuseppe Calmieri. Ed. Kalós.

- Dalla terra al cielo. Raccolta di antiche preghiere gelesi, di don Lino di Dio.

- Il Libro della Magia Popolare Siciliana – Anonimo.

- Magia Cristiana, di Antonello Faro. Ed. Primordia.

- Ninne nanne, detti, cantilene, tiritere, preghiere siciliane e i miei ricordi, di La Quercia di Palatolo. Dante Edizioni.

- La Magia Astrale delle Candele, di Pier Luca Pierini R. Centro Editoriale Rebis.

- La Magia Astrale degli Incensi, di Pier Luca Pierini R. Centro Editoriale Rebis.

- La Magia delle Campagne e la Stregoneria dei Pastori, di Eliphas Levi. Centro Editoriale Rebis.

- Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione, di James Frazer. Ed. Bollati Boringhieri.

- Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, di Giuseppe Pitrè.

- Antico Trattato di Magia Bianca, di Pier Luca Pierini R. Centro Editoriale Rebis.

- Magia Purificatoria, di Pier Luca Pierini R. Centro Editoriale Rebis.

- Il Potere Segreto della Preghiera, di Pier Luca Pierini R. Centro Editoriale Rebis.

- Il Libro Magico di San Pantaleone. Centro Editoriale Rebis.

- L’Enchiridion di San Giacomo, Abate Julio. Centro Editoriale Rebis.

- La Magia Astrale degli Angeli, di Pier Luca Pierini R. Centro Editoriale Rebis.

- Invocazioni e Preghiere agli Angeli, di di Pier Luca Pierini R. Centro Editoriale Rebis.

- Il Grande Sacramentarlo Magico, di Abate Julio. Centro Editoriale Rebis.

- Il Vero Libro dei Segreti Meravigliosi, di Abate Julio. Centro Editoriale Rebis.

- Il Libro dei Salmi, di Abate Julio. Centro Editoriale Rebis.

- Preghiera dei Giorni, a cura del Monastero di Bose. Ed. Qiqajon.

- Benedizionale, a cura della Conferenza Episcopale Italiana. Ed. Vaticana.

 

I MEGALITI DI ARGIMUSCO

La Stonehenge siciliana

Alla "Vergine Orante" dei Megaliti di Argimusco

I Padri ti videro in spirito come una grande montagna, o Genitrice di Dio, dalla quale si staccò una pietra che rovesciò gli idoli dei demoni.
Una pietra angolare, non tagliata da mano d’uomo, si staccò da te, o Vergine, montagna non tagliata: Cristo che riunisce le nature separate.
Il profeta ti vide sotto l’aspetto di un monte, o Vergine senza macchia; da te si staccò una pietra gloriosa che salva veramente l’universo.

 

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