BERTOLDO E GLI ALTRI

RIFLESSIONI DI BERTOLDO


Povero Bertoldo. Nelle sue notti insonni [sarebbe meglio dire "tardi pomeriggi insonni"] rifletteva intensamente su un fatto, che i suoi manoscritti non interessavano a nessuno, proprio come quelli di Messer Niccolò, il segretario fiorentino, che cominciarono ad esser noti solo dopo la sua morte. E comunque furono sempre interpretati a rovescio, come scritti da un cattivo maestro, il quale invece si limitava a descrivere la realtà che lo circondava. Una bella differenza, non è vero? Certo, pensava Bertoldo sfogliando i manoscritti degli altri, il 45% sono interessati a quella cosina là e un altro 45% a quel cosino lì, e il 10% a un'altra cosa. Ma Bertoldo sbagliava, perchè una certa percentuale non era interessata a niente. Che fare, si domandò Bertoldo. Un'altra guerra? Stupidaggini, si rispose. Meglio fare un'altra pace. Chiedere consiglio al Papa? Ma il Papa dava solo e sempre consigli che non interessavano nessuno. Allora Bertoldo andò dal Re e gli espose il suo punto di vista. Alboino gli diede ragione. Alboino si alzò dal trono, levò alta la spada e gridò: "Italiani! l'ora del destino è suonata! la dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori del Tibet e del Madagascar!" Maestà! gli disse Bertoldo, sono paesi troppo lontani per poterci fare la guerra, dobbiamo scegliere altri sistemi. Alboino rinfoderò la spada, si risedette sul trono, guardò Bertoldo, e disse: Hai ragione, sono troppo lontani. E si accese uno spinello, in barba ai divieti di fumo seminati nella sala del trono. E Bertoldo approfittò del fumo passivo.