Creato da La_Guardiana il 08/09/2007

Beth's World

Tutta l’esistenza è cogliere l’attimo che fugge, che non vuol dire inseguire chi non esiste. In quei giorni sabbatici francamente mi convinsi di aver addomesticato le briglie della mia storia, invece stavo solo facendo una pausa, per paura di crescere, perché, alla fine, mi sembrò, così chiaro tutto. Nella vita si può fuggire da un sacco di cose o affrontarle con coraggio.

 

 

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ETERNO RITORNO

Post n°87 pubblicato il 29 Novembre 2007 da La_Guardiana
 

Sentì fiamma salire su per il vestito

Occhi d’oriente e nel ventre un figlio

ancora vivo,

guardò a lato della piazza,

accusata, marcita del suo amore,

per tutti strega pazza.

Pensò alla sua allegra vigilia,

ai pennelli,

al giustacuore di un pittore,

pensò alla terra natia,

alla famiglia lontana,

all’acqua nel pozzo,

come lei avvelenata.

Pensò che l’amore era meraviglia,

improvviso e strisciante,

raggrumava pensieri nell’ultim’ora,

ma la fiamma saliva e tutto non perdonava.

Non perdonava chi per viltà l’aveva accusata,

lui che diceva d’averla amata,

ma il suo egoismo non era amore,

sperduta e infelice quel giorno

amò il pittore.

Tutti urlavano: “Alla gogna,

questa straniera è una vergogna,

un figlio in grembo e non chiede scusa

è del demonio quel bambino e lei la sposa.”

Di chi fosse quella creatura non lo disse mai

Chè poi a saperlo, pensò lei,

poteva essere di porpora vestito,

o di porpora sporcato,

come le dita che l’avevano trafitta,

nella notte umida si sentì perduta

e maledetta sarebbe finita,

sfinita nell’amore e nel cuore rifiorita.

Ora sentiva lo stesso languore di paura,

passata da parte a parte con lama di fuoco,

che quel giorno fu carne
dentro al luogo più segreto,
un pertugio innominato,

una fiaccola di rosso,

piacere ancora addosso.

Il pittore le dipinse il viso per disegnarle quel sorriso,

di seta d’oriente la sua pelle,

il suo labbro tremante,

al primo tocco furtivo, egli pensò

“ora mi sento vivo e non perché tutto

risolve il niente, perché mi libero la mente,

un fiore da annaffiare, una sposa da sposare,

quel prete ci farà da testimone”.

Anch’egli ha voluto godere,

negli occhi senza pace lo stesso martirio,

l’apostolo di un dio che non dà scampo,

la condanna a girare nel tempo

prigioniero d’egual fardello.

A lato della piazza Amira scovò

il suo sguardo soffocante di dolore,

gli disse: “Oggi è sempre,

ti inseguirò nella tua vita

ed io sarò re e tu la mia serva.

Crescerai i figli che hai ucciso,

ti resteranno fiori appassiti

ed acqua sulfurea.

Non avrai più nulla di me,

solo cenere nel vento.

L’anima appartiene al pittore,

l’anima incisa in un sorriso di stelle,

l’anima che come neve scenderà a stille,

tu spettro errante,

oggi io muoio ma dura un istante.

Saremo le due metà della stessa medaglia,

sempre di spalle, figli di un amore esitante.

Questo rogo è la mia purificazione,

non farmi vivere è stata la tua dannazione”.

L’alto prelato a lato della piazza aprì l’uscio

del tempo che torna e inseguì il suo amore,

mentre il pittore avvinazzato col cesello infuocato

la carne della lavandaia sospirò,

con quell’acqua spense di quell’amore il suo falò.

Stasera funziona...
questa occasione mi sta nella testa da tempo...

Prima o poi questa storia sarà romanzo...ci vuole tempo ed energia!

Buon proseguimento!

 
Rispondi al commento:
CornFlakes_Girl
CornFlakes_Girl il 30/11/07 alle 15:16 via WEB
Mamma mia...cos'altro si può dire dinanzi tanto amore? :) Non so perchè ma in quel video ho immaginato i tuoi genitori!
 
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Quando io svegliandomi al mattino entravi
nella costituzione dei pensieri
che in fraseggio infinito compitavano
gli enigmi da risolvere, i sacrifici e i doni
che avrei deposto sulla soglia stretta
del tuo così diversamente ingombro
mattino di fretta e di faccende, da cui
usciva, senza che mai davvero io
la vedessi, quel solito rumore
di porta che si chiude, disperando
di me ostinata artefice di deluse chiavi,
cercavo la mia perduta grazia, quell'infanzia
che in armonia cedevole ascoltava.
Ero colpevole. Di non saper raggiungere
per troppa mira la chiusa morbidezza
del tuo cuore: passando per la mente,
sì, con le parole, le valorose mie nobili
scudiere, cui avevo sempre dato
immenso credito - che a loro era passata
la gloria delle chiavi. E adesso che cos'erano
se non le vuote prove di un avvocato
che voglia impratichirsi del mestiere?
Un'impotente e macchinosa avvocatura
per rendermi ai tuoi occhi, e ai miei,
meno colpevole. Di non saper trovare
la porta che non c'era, quella sognata porta
che ti chiudeva centuplicata in bene,
che anche tu, guardiana stanca, sapevi
che non c'era, ma che anche tu sognavi
sperando che le chiavi, la faticosa
virtù delle mie chiavi facesse esistere
quello che non c'era, che se io avessi inventato
il suono giusto, il giusto combinarsi
di parole, fossi riuscita nella
descrizione, saremmo entrate in due
in quell'invenzione. Per poi scoprire
che il piacere non ha porte e che
se mai l'avesse stanno aperte, che
potevamo allora rimanere fuori
sfornite e arrese tutte e due alla pari
giocando io alla porta tu alle chiavi.

(P. Cavalli)

 

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