Bibliofilo arcano

Le poesie di Isabella di Morra


Dopo i 10 sonetti del post precedente, completo con queste tre canzoni, abbastanza lunghe, la produzione di Isabella di Morra.11Poscia che al bel desir troncate hai l'ale,che nel mio cor sorgea, crudel Fortuna,sì che d'ogni tuo ben vivo digiuna,dirò con questo stil ruvido e fralealcuna parte de l'interno malecausato sol da te fra questi dumi,fra questi aspri costumidi gente irrazional, priva d'ingegno,ove senza sostegnoson costretta a menare il viver mio,qui posta da ciascuno in cieco oblio.Tu, crudel, de l'infanzia in quei pochi annidel caro genitor mi festi priva,che, se non è già pur ne l'altra riva,per me sente di morte i grevi affanni.ché 'l mio penar raddoppia gli suoi danni.Cesar gli vieta il poter darmi aita.O cosa non più udita,privar il padre di giovar la figlia!Così, a disciolta brigliaseguitata m'hai sempre, empia Fortuna.cominciando dal latte e da la cuna.Quella ch'è detta la fiorita etade,secca ed oscura, solitaria ed ermatutta ho passata qui cieca ed inferma,senza saper mai pregio di beltade.È stata per me morta in te pietade,e spenta l'hai in altrui, che potea sciorree in altra parte porredal carcer duro il vel de l'alma stanca,che, come neve biancadal sol, così da te si strugge ogni orae struggerassi infin che qui dimora.Qui non provo io di donna il proprio statoper te, che posta m'hai in sì ria sorteche dolce vita mi saria la morte.I cari pegni del mio padre amatopiangon d'intorno. Ahi, ahi, misero fato,mangiare il frutto, ch'altri colse, amaroquei che mai non peccaro,la cui semplicità faria clementeuna tigre, un serpente,ma non già te, ver noi più fiera e rea.ch'al figlio Progne ed al fratel Medea.Dei ben, che ingiustamente la tua manodispensa, fatta m'hai tanto mendica,che mostri ben quanto mi sei nemica,in questo inferno solitario e stranoogni disegno mio facendo vano.S'io mi doglio di te sì giustamenteper isfogar la mente,da chi non son per ignoranza intesai' son, lassa, ripresa:ché, se nodrita già fossi in cittade,avresti tu più biasmo, io più pietade.Baston i figli de la fral vecchiezzaesser dovean di mia misera madre;ma per le tue procelle inique ed adresono in estrema ed orrida fiacchezza:e spenta in lor sarà la gentilezzadagli antichi lasciata a questi giorni,se dagli alti soggiornipietà non giunge al cor del Re di Francia,che, con giusta bilanciapesando il danno, agguaglie la mercedesecondo il merto di mia pura fede.Ogni mal ti perdono,né l'alma si dorrà di te giamaise questo sol farai(ahi, ahi, Fortuna, e perché far no 'l dêi?)che giungano al gran Re gli sospir miei.12Signor, che insino a qui, tua gran mercede.con questa vista mia caduca e fralespregiar m'hai fatto ogni beltà mortale,fammi di tanto ben per grazia erede,che sempre ami te sol con pura fedee spregie per innanzi ogni altro oggetto,con sì verace affetto,ch'ognun m'additi per tua fida amantein questo mondo errante,ch'altro non è, senza il tu' amor celeste,ch'un procelloso mar pien di tempeste.Signor, che di tua man fattura sei,ov'ogni ingegno s'affatica in vano,ritrarre in versi il tuo bel volto umanoor sol per disfogare i desir miei,ad altri no, ma a me sola vorrei,ed iscolpirmi il tuo celeste velo,qual fu quando dal Cieloscendesti ad abitar la bassa terraed a tor l'uom di guerra.Questa grazia, Signor, mi sia concessach'io mostri col mio stil te a me stessa.Signor, nel piano spazio di tua frontela bellezza del Ciel tutta scolpitasi scorge, e con giustizia insieme unitade l'alta tua pietade il vivo fonte,e le pie voglie a perdonarci pronte.Ombre dei lumi venerandi e sacri,di Dio bei simulacri,ciglia, del cor fenestre, onde si mostral'alma salute nostra;occhi che date al sol la vera luce,che per voi soli a noi chiara riluce!Signor, cogli occhi tuoi pien di saluteconsoli i buoni ed ammonisci i reia darsi in colpa di lor falli rei;in lor s'impara che cosa è virtute.O mia e tutte l'altre lingue mute,perché non dite ancor de' suoi capelli,tanto del sol più belliquanto è più bello e chiaro egli del sole?O chiome uniche e sole,che, vibrando dal capo insino al collo,di nuova luce se ne adorna Apollo!Signor, da questa tua divina boccadi perle e di rubini escon di foredolci parole ch'ogni afflitto coresgombran di duolo e sol piacer vi fioccae di letizia eterna ogniun trabocca.Guancie di fior celesti adorne, e pianea le speranze umane;corpo in cui si rinchiuse il Cielo e Dio,a te consacro il mio:la mente mia qual fu la tua staturacon gli occhi interni già scorge e misura.Signor, le mani tue non dirò belleper non scemar col nome lor beltade,mani, che molto innanzi ad ogni etadeci fabricâr la luna, il sol, le stelle:se queste chiare son, quai saran elle?Felice terra, in cui le sacre piantestampâr tant'orme sante!A la vaghezza del tuo bianco piedeil Ciel s'inchina e cede.Felice lei, che con l'aurate chiomele cinse e si scarcò de l'aspre some!Canzon, quanto sei folle,poi che nel mar de la beltà di Diocon sì caldo desiocredesti entrare! Or c'hai 'l camin smarrito,réstati fuor, ché non ne vedi il lito.13Quello, che i giorni adietroNojava questa mia gravosa salmaDi star fra queste selve erme, ed oscure;Or sol diletta l' alma,Che da Dio, sua mercè, tal grazia impetro,Che scorger ben mi fà le vie sicureDi gir a lui, fuor delle inique cure:Or rivolta la mente alla ReginaDel Ciel, con vera, altissima umiltade,Per le solinghe strade,Senza intrico mortal, l' alma camminaGià verso il suo riposo,Che ad altra parte il pensier non inchina,Fuggendo il tristo Secol sì nojosoLieta, e contenta, in questo bosco ombroso.Quando dall' OrienteSpunta l' Aurora, col vermiglio raggio,E se n' annunzia dalle squille il giorno;Allora al gran messaggioDella nostra salute, alzo la mente,E lo contemplo d' alte glorie adorno,Nel basso tetto, dove fea soggiornoLa gran Madre di Dio, ch' or regna in Cielo:Così godendo nel mio petto umile,A lei drizzo il mio stile,E il fral mio vel di rozze vesti velo:E sol di servir lei,Non d' altra cura, al cor mi giugne zelo;Seguendo le vestiggia di colei,Che dal diserto accolta, fu dai Bei.Quando da poi fuor sorgeFebo, che fà nel Mar la strada d' oro,Tutta m' interno all' allegrezza immensa;Ch' ebbe del suo tesoroQuella, che tanta grazia, ora a me porge,Ch' io la riveggio con la mente intensaMirar il figlio, in caritate accensa,Nato fra gl' animai con pio sembiante:E del sangue, che manda al petto il coreNodrire il suo Signore;E scerno il duce dell' eterno amante.Sotto povere vesteSpregiar le pompe del vulgo arrogante;Colui, che sol pregiò l' aspre foreste,E fu fatto da Dio, tromba celeste;Poiche il suo chiaro volto,Alzando dalle valli, scaccia l' ombraIl biondo Apollo, col suo altero sguardo,Un bel pensier m' ingombra;Parmi veder Gesù, nel Tempio in volto,Fra saggi disputar; con parlar tardo,E lei per, ch' io d' amor m' infiammo, ed ardoVersar dagl' occhi, per letizia pianto:Questi conforti incontro ai duri oltraggiM' apportan questi faggi,Lungi schivando, di Sirene il canto,Che per solinghe vieIl bel giovane a Dio, diletto tantoCon le sue caste voglie, e sante, e pieVide il sentier dell' alte Gerarchie.Alzato a mezzo il PoloIl gran Pianeta con bollenti rai,Che uccide i fiori in grembo a Primavera.S' alcuno vide maiCrucciato il Padre, contro il rio figliuolo,Così contemplo Cristo in voce alteraPredicando ammonir la gente fera:E col cenno, del qual l' Inferno pave,Romper le porte d' ogni duro core,Cacciando il vizio fuore.Quanto ti fu a vedere, alma, soaveGl' error conversi in cenereDal caro figlio, in abito sì grave;Quanto beata fu, chi le sue tenereMembra a Dio consagrò, sagrate a Venere.E se l' eterno focoGiugne tant' alto, che al calar rimira,Ti scorgo, Signor mio, fra i tuoi fratelliSenza minaccie, od ira,Del tuo amor infiammarli a poco, a poco;E con leggiadri detti, e gravi, e belliRender beati, e pien di grazia quelli:Lor rammentando pur la santa pace.La gioja del mio cor, ch' amo, et adoroContemplo fra coloro,Che i santi esempj tuoi, raccoglie, e tace.O via dolce, e spedita,Trovata già nel vil secol fallace,E che il primiero fin dal Ciel m' additaSol dell' eremo la tranquilla vita.Per voi, grotta felice,Boschi intricati, e rovinati sassi,Sinno veloce, e chiare fonti, e rivi,Erbe, che d' altrui passiSegnate a me vedere unqua non lice;Compagna son di quegli spirti divi,Ch' or la sù stanno in sempiterno vivi,E nel solare, e glorioso lemboDella Madre, del Padre, e del suo DioSpero vedermi anch' io,Sgombrata tutta dal terrestre nembo;E fra l' alme beateOgni mio bel pensier riporle in grembo.O mie rimote, e fortunate strateDove adopra il Signor la sua pietate.Quanto discovre, e scalda il chiaro Sole,Canzon, è nulla ad un guardo sì pio;ch' è Regina del Ciel, Madre di Dio.