Bibliofilo arcano

Il sonetto napoletano


Il seguente sonetto viene attribuito ad Eleonora Fonseca Pimentel, come spiegato nelle note in calce, tratte dal già più volte menzionato volume di Elena Urgnani.Sonetto 11E biva lo Rre nnuosto Ferdenanno,guappone, che ssà ffà le ccose belle;ma vace cchiù dde tutte ll'aute cchellechella chinea, cche nn'ha frusciat'aguanno.Romma è no piezzo cche nce sta zucanno,e n'accide co bolle e sciartapelle;mo ha scomputo de fa le ghiacovelle:nc'è no Rre che ssa dice'e comm'e cquanno.Lo ffraceto de Romma lo ssapimmo;lo Rre è Rre, e non canosce a nnullo:Ddio nce ll'ha dato e nnuie lo defennimmo.Oie Ró, vi ca' no Rre mo n'è ttrastullo:dance lo nnuosto, pocca nce ntennimmo,e nnon ce sta a ccontà Lione e Cciullo.Eleonora Fonseca PimentelIl sonetto si trova al termine di un opuscolo settecentesco anonimo e privo di data, dal titolo Viaggio dell' Internunzio, che si conserva nella biblioteca privata di Alda Croce in Napoli. Il nome della de Fonseca non figura in alcun modo nell'opuscolo, ma su di esso vi è un'annotazione autografa di Benedetto Croce, che dice: «Il sonetto fu pubblicato prima in foglio volante e poi ristampato in appendice a questo opuscolo anticurialista a proposito di una scandalosa causa matrimoniale». Nella causa in questione la Corte di Roma si era opposta alle decisioni del Vescovo di Motola, Monsignor Ortiz Cortes, il quale aveva annullato il matrimonio, giudicando che non sussistessero le premesse per il contratto civile, non avendosi il quale, il sacramento non avrebbe avuto fondamento.Questo è l'unico sonetto  che si conosca in dialetto napoletano, ed esprime l'approvazione dell'autrice per l'abolizione della Chinea da parte di Ferdinando. Si trattava di un omaggio in denaro da presentarsi una volta all'anno al Pontefice: un forziere montato in groppa a un cavallo che doveva chinarsi (da cui "Chinea") sulle zampe anteriori di fronte al trono pontificio. Era il residuo di un'investitura feudale e diminuiva il prestigio che il re aveva come sovrano assoluto. Per questo re Ferdinando, con l'approvazione del Tanucci, l'abolì, ma la discussione si protrasse per almeno una decina d'anni dopo la sua abolizione. Ferdinando si dichiarò pronto a rendere alla Santa Sede il tributo, ma per pura devozione verso i Santi Apostoli, e non a titolo di censo, e senza più la chinea. La Santa Sede si irrigidì sulle proprie posizioni, e la rottura fra i due Stati divenne aperta e ufficiale. L'abolizione della chinea divenne l'elemento catalizzatore che riavvicinò gli intellettuali e la corona, anche se tutto questo sarebbe improvvisamente cambiato.Il sonetto è "Dedicato a A lo rre nuosto - Ferdenanno IV - Ddio nce lo guard'e mmantenga - a nnomme de lo fedelissimo puopolo napoletano". Il sonetto era già stato ripubblicato in appendice a Benedetto Croce, "Eleonora de Fonseca Pimentel e il Monitore Napoletano". Croce lo cita come curiosità bibliografica, dicendo di averlo trovato in un foglio volante, senza firma, recante a mano nella copia da lui veduta "Di D. Eleonora Lopez Pimentel". Successivamente alla sua pubblicazione in foglio volante, il sonetto venne ristampato nell'opuscolo anonimo Viaggio dell'Internunzio, ancora consultabile presso la biblioteca di Alda Croce in Napoli. Il foglio volante con l'attribuzione è andato purtroppo smarrito.L'allusione all'aneddoto di Fedro è particolarmente irriverente, anche se nelle intenzioni dell'autrice avrebbe dovuto funzionare come ulteriore sprone per il corso riformatore di Ferdinando, implicitamente paragonato al leone, mentre se non avesse sostenuto fino in fondo la propria posizione nei confronti del papato avrebbe fatto la figura dell'asino. Non c'è dubbio che questo sonetto è da considerarsi un precedente importante alla verve polemica di cui l'autrice avrebbe dato prova sul "Monitore Napoletano".Traduzione:Evviva il nostro re Ferdinando, / bravaccio, che sa far le cose belle; / ma vale più di tutte le altre quelle / quella chinea, che ci ha ringalluzzito alquanto.Roma è un pezzo che ci sta succhiando, / e ci uccide con bolle e pergamene; / ora ha smesso di far queste manfrine: / c'è un Re che sa dire come e quando.La corruzione di Roma la conosciamo; / il Re è Re, e non guarda in faccia a nessuno: / Dio ce l'ha dato e noi lo difendiamo.Uèi Roma, vedi che un Re ora non è un trastullo: / dacci il nostro, poiché ce lo teniamo, / e non ci stare a raccontare storie.