Bibliofilo arcano

8 sonetti di Tullia D'Aragona


Quelli che seguono sono i sonetti 14-21 della raccolta delle Rime di Tullia D'Aragona.XIV.A Maria Salviati de' MediciAnima bella che dal padre eternocreata prima in ciel nuda e immortale,or vesa di vel caduco e frale,mostri quà giuso il gran valore interno:da gli alti chiostri in questo basso infernou' si n'aggrava il rio peso mortale,scendesti a torne noia e a darne l'aleal sommo bello, al sommo ben superno;chiunque te pur una volta mira,sente sgombrar da l'alma ogni vil voglia,e arder tutta di celeste amore.Dunque ver me col divin raggio spiradel disiato tuo santo favore,ch'io voli al Ciel con la terrena spoglia.XV.A Maria Salviati de' MediciCod. Magliabecchiano, II, I, IVAnima bella, che dal Padre eternopura fosti creata e immortale,e ingombra di velo oscuro e frale,pur di fuor mostri il tuo valor interno:dal ciel scendesti in questo vivo inferno,u' n'aggrava il terren peso mortale,per innalzarne dibattendo l'aleal sommo bello, e sommo ben superno.Tu di casti pensier, d'onesta vogliaingombri l'alma a chi tuo esempio mira,e le fai vaghe del verace amore.Dunque ver me col vivo raggio spiradel desiato tuo almo favore,ch'io m'erga, e inalzi al ciel da questa spoglia.XVI.A don Luigi di ToledoSpirto gentil, che dal natìo terrenola chiarezza del sangue, e dal ciel chiaraanima avesti, e a cui d'ogni più raravirtù colmar le sante Muse il seno:poi che 'l cor vostro è d'alto valor pieno,e real cortesia da voi s'impara,non mi sia, prego, vostra mente avaradi ciò, ch'altrui donando, non vien meno.Voi sete quel, ch'avete ambe le chiavidi quegli eccelsi, e gloriosi coriche fan più ch'ancor mai felice l'Arno,or volgetele a me così soavi,ch'entro raccolta, mai non esca fuori;e prego umil non sia 'l mio prego indarno.XVII.A don Pedro di ToledoBen si richiede al vostro almo splendoredel chiaro sangue, e a la virtù eccellente,che si canti Signore eternamentene' giochi di Parnaso il vostro onore;ond'è ch'a dir di voi, dentr'al mio cores'accende ognor un vivo foco ardente;ma come a l'alta impresa non si sentel'anima ugual, si spenge il novo ardore.Non s'assicura nel profondo senodi vostre glorie entrar mia navicellasotto la scorta del mio cieco ingegno.Solchi 'l gran mar di vostre lodi a pienopiù felice alma, a cui più chiara stellaporga favore in più securo legno.XVIII.A Pietro BemboBembo, io che fino a qui da grave sonnooppressa vissi, anzi dormii la vita,or da la luce vostra alma infinita,o sol d'ogni saper maestro e donno,desta apro gli occhi, sì ch'aperti ponnoscorger la strada di virtù smarrita:ond'io lasciato ove 'l pensier m'invitade la parte miglior per voi m'indonno:e quanto posso il più mi sforzo anch'io,scaldarmi al lume di sì chiaro foco,per lasciar del mio nome eterno segno.E o non pur da voi si prenda a sdegnomio folle ardir, che se 'l sapere è poco,non è poco, Signor, l'alto disìo.XIX.A Ridolfo BaglioniSignore in cui valore e cortesiagiostrano insieme ognor tanto ugualmente,che discerner non puote umana mente,di qual di lor più la vittoria sia:mia fredda Musa a voi già, non s'inviaper celebrar vostra virtute ardente:ma perch'in voi nomar conosce e sente,sorger nel vostro onor la gloria mia.Ben porta nel mio core un caldo effettoil vivo lume vostro, ch'è sì chiaro,che risplender si vede in ogni parte.Ma prenda voi per degno alto suggetto,chi al quieto Apollo è tanto caro,quanto voi sete al bellicoso Marte.XX.A Francesco CrassoLa nobil valorosa antica gente,che di novo i fratelli ancisi vede,e in acerbo esilio a pianger riede,Signore, a te, s'inchina umilemente.E potendo vendetta arditamentegridar da' monti, e piaghe, e mille prede,mercè sola e pietate a te richiede,di comune voler, pietosamente.O sanator de le ferite nostre,mira la velenosa e cruda rabbia,che 'l sangue giusto, ingiustamente sugge.Così tosto avverrà, ch'in te si mostre,com'a gran torto, tanti danni or abbiala gente, cui pietate e doglia strugge.XXI.Al MolzaPoscia (ohimè) che spento ha l'empia mortel'alma gentil, ch'in sua più verde etade,a gran passi salìa l'erte contradeche menan dritto a la superna corte:chi fia che leggi così crude e torte,spirti amici d'onor e di bontade,non pianga meco ognor, ch'a le più radevirtù die' sempre il ciel vite più corte?Molza ben pianger dei, poi ch'al caminoove ti sprona un disusato ardire,perduta hai meco la più fida scorta,per me dopo sì fero destinonon voglio altro, non deggio che morirese morir deve e puote, chi è già morta.