Creato da livieroamispera il 03/04/2013

Bibliofilo arcano

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Non così dopo lunga...

Non così dopo lunga aspra tempesta

Non così dopo lunga aspra tempesta
Nocchier, spargendo gemiti, e querele,
Se accoglie al porto le squarciate vele,
Rasserena la fronte afflitta e mesta;

Com' io dopo la guerra atra, e funesta
Del mio antico Signore empio, e crudele,
Lieta a voi corro, o selve, a voi fedele
Albergo di riposo, e pace onesta.

Che ' n voi porre in obblio miei gravi danni
Spero, e col fiero duolo, onde mi sgaccio,
La rea memoria de' passati affanni;

E sciolto il cor da l' amoroso laccio,
In dolce libertate i miei veri anni
Scarca menar di sì gravoso impaccio.

Aurora Sanseverino Gaetani

Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), p. 126.
Sanseverino Gaetani, Aurora (1669-ca.1730) Miscellaneous Poems [1701] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1701), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K.
Rime degli arcadi, Volume 3, pag. 185

 
 
 

Già dipingea...

Già dipingea con nuovi raggi il seno

Già dipingea con nuovi raggi il seno
A la gran Madre il bel nascente giorno,
E la dolce stagion di verno a scorno
Molli fiori spargea senz' alcun freno:

Empìn di grati accenti il Ciel sereno
I canori augelletti intorno intorno,
Dolce mel distillava il faggio, e l' orno,
E di alta gioja il Mondo era ripieno:

Quando, Donna gentil, l' alma Lucina
Trasse del tuo bel seno il desiato
Fanciul, ch' egual non feo l' idea divina.

Mirollo il Sol di tanti fregi ornato,
Quinci, disse, a ragion per lui s' inchina,
Qual serva, e ancella la Fortuna, e ' l Fato.

Aurora Sanseverino Gaetani

Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), p. 129.
Sanseverino Gaetani, Aurora (1669-ca.1730) Miscellaneous Poems [1701] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1701), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K.

 
 
 

Deh qual destino...

Deh qual destino or crudelmente vuole

Deh qual destino or crudelmente vuole,
Alma mia, che sì fredda e muta resti,
E a tanta gioja stupida t' arresti,
Troncando il varco a fiato, e a le parole?

Le fiamme tue per Tirsi uniche, e sole,
Perchè non scopri, e' tuoi martir funesti?
E quella, che serbare a lui sapesti
Intatta fede, e chiara più del sole?

Ma poichè a tanto il tuo vigor non sale,
Deh mostragli tu, Amor, le tante e tante
Mie pene, e la ferita aspra, e mortale.

E ch' io non pur sarò fida, e costante
Finchè fia viva questa spoglia frale,
Ma ancora nudo spirto, ed ombra errante.

Aurora Sanseverino Gaetani

Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), p. 127.
Sanseverino Gaetani, Aurora (1669-ca.1730) Miscellaneous Poems [1701] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1701), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K.

 
 
 

Che fai Alma...

Che fai Alma? che pensi? avrà mai pace

Che fai Alma? che pensi? avrà mai pace
De' tuoi stanchi pensier l' acerba guerra,
Che in dubbia lance il viver mio rinserra,
Tra gielo ardente, e tra gelata face?

S' io miro al ben, che sì m' aletta, e piace,
Dico: chi di me più felice in terra?
Ma il geloso tormento, che m' atterra,
Ogni mia gioja poi turba, e disface.

Così muovon tra lor fiera tempesta
Contrarj venti, e ' l misero nocchiero
S' aggira indarno in quella parte, e in questa.

Oimè, ben corro io pur dubbio sentiero,
E la speme or s' affretta, ed or s' arresta,
E mi attrista egualmente il falso, e ' l vero.

Aurora Sanseverino Gaetani

Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), p. 128.
Questa poesia appare anche in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell' avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 145
Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano. Poeti Italiani Contemporanei Maggiori e Minori Preceduti da un Discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo Scritto da Cesare Cantù (Paris: Baudry, 1847), p. 1029.
Sanseverino Gaetani, Aurora (1669-ca.1730) Miscellaneous Poems [1701] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1701), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K.
Rime degli arcadi, Volume 3, pag. 186

 
 
 

Ben son lungi da te...

Ben son lungi da te, vago mio Nume

Ben son lungi da te, vago mio Nume
Qual per mancanza di vitale umore
Arida pianta, e qual senza vigore
Palustre Augel con basse, e tarde piume,

Ben son lungi da te, qual senza lume
Notte piena di tenebre, e d' orrore,
Ben son lungi da te, qual secco fiore,
Cui soverchi calore arda, e consume.

In te, mia vita, han posa i miei desiri;
Or se da te tant' aria mi diparte,
Qual pace troveran gli aspri martiri?

Ahi! dunque è ben ragion, che in mille carte
Sfoghi sue angoscie in lagrime, e sospiri
Quest' Alma, che si strugge a parte a parte.

Aurora Sanseverino Gaetani

Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), p. 127.
Questa poesia appare anche in: Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 382-383.
Sanseverino Gaetani, Aurora (1669-ca.1730) Miscellaneous Poems [1701] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1701), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K.
Rime degli arcadi, Volume 3, pag. 187

 
 
 

Aurora Sanseverino Gaetani

Foto di livieroamispera

Aurora Sanseverino Gaetani nacque a Saponara Calabrese 1669 e morì a Napoli nel1730 circa (nomi alternativi: Sanseverina, Aurora;  Sanseverina, Laura; Lucinda Coritesia; Coritesia, Lucinda): figlia di Carlo Sanseverino, principe di Bisignano e Maria Fardella, principessa di Pacecco; coniugata in primo matrimonio nel 1680 con Giangerolamo Acquaviva, conte di Contraversano e successivamente con Niccolò Gaetani d'Aragona, duca di Laurenzana; madre di due figli: Cecilia e Pasquale
Il ritratto (su Italian Women Writers) è tratto da Maria Bandini Buti, Enciclopedia biografica e bibliografica italiana: poetesse e scrittrici (Roma, 1942), vol. 2, p. 211.

Le seguenti note su Lucinda Coritesia provengono da Donne in Arcadia.

NATALI 1936, p. 148:
Aurora Sanseverino dei principi di Bisignano, nata a Saponara (1669-1731), moglie di Niccolò Gaetano d'Aragona principe di Laurenzana, bella pietosa caritatevole, cultrice delle musica e della poesia, fu chiamata dal Gimma "una delle dame più letterate del secolo". Appartenendo all'Arcadia di Roma, mandò spesso sue poesie al Crescimbeni, che la loda nei Comentarj. I suoi componimenti compresi nella Raccolta di rime d'illustri napoletani (Napoli 1701) di Giovanni Acampora parvero al Tommasèo "de' più sentiti ch'abbia la raccolta".

LOMBARDI 1832-1833 tomo V: Libro III, par. XL, p. 110:
Altra poetessa arcade qui ricorderemo, cioè Aurora Sanseverina, moglie in seconde nozze di Nicolò Gaetani d'Arragona (sic), vissuta fin dopo il 1730, la quale nelle sue rime imitò la robusta maniera del Casa con la petrarchesca soavità alquanto raddolcita; e chi desiderasse di leggerle, può vederle nella raccolta dell'Accampora, e fra quelle degli Arcadi sotto il nome pastorale di Lucinda Caritesia [sic] (2: "Biogr. degli uomini ill. del regno di Napoli, t. II").

duchessa (o principessa, come è detta nel ms arcadia 9?) di Laurenzana, da Napoli.

BERGALLI 1726, parte II, p. 185, la annovera fra le autrici viventi e la dice Principessa di Bisignano.
       
Edizioni delle sue opere:

1. Sanseverino Gaetani, Aurora, 1669-ca.1730; Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K., ed., Miscellaneous Poems (Chicago: Italian Women Writers Project, 2006)
2. Sanseverino Gaetani, Aurora, 1669-ca.1730; Bergalli Gozzi, Luisa, 1703-1779, ed., "Rime" (Venezia: Antonio Mora, 1726) in Componimenti poetici delle più illustri rimatrici d'ogni secolo, pt. 2, p. 185.
3. Sanseverino Gaetani, Aurora, 1669-ca.1730; Crescimbeni, Giovanni Mario, 1663-1728, ed., "Rime" (Roma: Antonio de' Rossi, 1716-1720?) in Rime degli Arcadi.
4. Sanseverino Gaetani, Aurora, 1669-ca.1730; Accampora, Giovanni, ed., "Rime" (Napoli: Domenico-Antonio Parrino, 1701) in Raccolta di rime di poeti napoletani non più ancora stampate, e dedicate all'illustriss. ed. eccellentiss. Sig. D..
5. Sanseverino Gaetani, Aurora, 1669-ca.1730; Gobbi, Agostino, 1686-1709, ed., "Rime" (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739) in Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo Quarta ed., con nuova aggiunta, pt. 4, p. 126-129.
6. Sanseverino Gaetani, Aurora, 1669-ca.1730, "Rime" (Venezia: Francesco Storti in Merceria, all'insegna della Fortezza, 1736) in Rime dell'avvocato Giovambattista Felice Zappi e di Faustina Maratti sua consorte. Parte prima seconda] Quinta edizione.

Indice dei sonetti

1. Ben son lungi da te, vago mio Nume
2. Che fai Alma? che pensi? avrà mai pace
3. Deh qual destino or crudelmente vuole
4. Già dipingea con nuovi raggi il seno
5. Non così dopo lunga aspra tempesta
6. Pianger teco dovrei, gentil Pastore,
7. Poichè a volger da me, Tirsi, le piante
8. Poveri fior! destra crudel vi coglie
9. Sfoga pur contro me, Cielo adirato
10. Siccome a' raggi del sovran Pianeta

 
 
 

Er pappagallo

Post n°691 pubblicato il 06 Febbraio 2014 da livieroamispera
 

Er pappagallo

Er Pappagallo d'un repubbricano,
ch'era una bestia tanto inteliggente
perché parlava mejo d'un cristiano,
da quattro o cinque giorni stava strano,
s'era abbacchiato e nun diceva gnente.
— Che t'è venuta? la nevrastenia?
— je chiese un Gatto — Hai perso la parola?
Su! Coraggio! Sta' alegro! Tira via!
— Eh! — fece lui — la córpa nun è mia,
è tutta der padrone che ciriòla!
Prima, defatti me diceva spesso
che dovevo strillà: Viva Mazzini!
Evviva la repubbrica!. Ma adesso
se lo dico me mena, e già è successo
ch'ha mannato a chiamà li questurini!
Capisco: l'interessi personali
j'avranno rotto li convincimenti,
j'avranno buggerato l'ideali;
ma lassi armeno in pace l'animali
che so' contrari a certi cambiamenti!
Fra tutte l'antre cose che m'ha imposto,
jeri m'ha detto: — Strilla: Evviva er Re!
— Ah, mó pretenni troppo! — j'ho risposto —
Riparto pe' l'America, piuttosto!
Nun faccio er burattino come te!

Trilussa

 
 
 

Isabella Mastrilli

Cercando notizie sulla Mastrilli, mi sono imbattuto in un articolo molto ben fatto ed esauriente, intitolato "Isabella Mastrilli, la prima poetessa di Marigliano" di Mariangela Barretta, datato 5/10/2008. Ho verificato che il testo è liberamente utilizzabile a condizione che si ponga la dicitura "Fonte ilmediano.it; indirizzo telematico www.ilmediano.it". Ciò premesso, non mi resta che riportare qui di seguito la breve biografia.

La nobile e bellissima Isabella Mastrilli, bisnipote di Giulio, fu autrice di molte liriche e fondatrice dell’ "Accademia di Marigliano", dedita alla poesia.

Nella duchessa Isabella Mastrilli convivevano due anime: quella antica e rassegnata di nobildonna piegata ai voleri del casato, e quella di poetessa passionale e quasi ribelle che- in un’epoca non certo favorevole alle donne- ha diffuso le sue opere acquisendo i favori dell’intellighentia secentesca.

Nata il 29 Gennaio 1682, Isabella era l’unica figlia del duca Marcello e di Giulia Alberini dei Principi di Cimitile e come tale era duchessa di Roccarainola e dei suoi casali, del feudo di Fellino, di Marigliano e dei suoi casali, di Tufino, di Saviano, di Casamarciano, di Faivano, di Vignola e di Campasano. In quanto unica figlia era anche unica erede del nobile casato dei Mastrilli e, come tale, fu chiamata in tenerissima età a salvaguardare la sopravvivenza della dinastia: per questo motivo fu costretta ad accettare il matrimonio con il Marchese Giovanni Di Gallo (imparentato alla lontana con il nobile casato di Isabella), di ventisette anni più vecchio di lei e, come se non bastasse, quando andò in sposa al marchese aveva appena dodici anni e ventisette giorni.

Crescendo, Isabella divenne una delle dame più eleganti e raffinate del suo tempo, ingraziandosi l’intellighentia dell’epoca per il suo acume ancor prima che per la sua avvenenza. A tal proposito Maria Chiara Mandanici e Samantha Vivo scrivono: "I suoi occhi neri, vivaci e luminosi,la sua alta statura e il suo aspetto gentile ispirarono i versi di numerosi letterati dei quali soleva circondarsi nella sua casa e dai quali fu eternata come donna dalla rarissima bellezza e corteggiata con insistenza soprattutto dopo la morte del marito". Rimase vedova, infatti, nel 1728, a quarantacinque anni.

Isabella Mastrilli, però, non fu solo musa ispiratrice bensì ella stessa autrice di moltissime liriche nonché di alcune commedie, firmandosi con lo pseudonimo di Elinda Zalèa. A soli vent’anni compose la commedia "Il prodigio della bellezza", che fu rappresentata per la prima volta a Tufino e dedicata dall’autrice al suo nobile genitore. Fu autrice anche della tragedia "Ottone". Date le sue doti di scrittrice, venne insignita dall’ Associazione dei Poeti Napoletani del titolo di "Accademica Unica" ed alcune sue liriche (tra le quali la malinconica "Calde lagrime mie") furono inserite nella "Raccolta dei Poeti Napoletani" nel 1723. Inoltre, frequentò l’ "Accademia del Capraio" e quella della Stadera e, dulcis in fundo, fondò "l’Accademia di Marigliano" di cui fecero parte notissimi esponenti della cultura del secolo tra i quali Carlo Pecchia.

Isabella fu anche fervente religiosa: sua, infatti, una cappella che si trova nella chiesa Collegiata "Santa Maria delle Grazie" di Marigliano. Tuttavia, la figura di Isabella fu offuscata dalla scarsa avvedutezza in campo economico. "Condusse infatti- scrivono ancora Vivo e Mandanici- una vita mondana oltremodo dispendiosa e lussuosa portando quasi in rovina la famiglia se non fosse stato per il tempestivo intervento del marito e dei figli". Alla sua morte, nel 1761, privò il suo casato di molti beni: nel suo testamento non mancò di ricordare tutti i suoi corteggiatori e lasciò molti averi alle donne della sua famiglia (le quali in presenza di fratelli maschi perdevano ogni diritto di eredità). Le sue spoglie furono sepolte a Napoli, nella chiesa del Purgatorio ad Arco.

 
 
 

Pane ar pane

Post n°689 pubblicato il 04 Febbraio 2014 da livieroamispera
 

Pane ar pane

'Na vorta ne le cronache italiane
leggevi "Pane ar pane" e "Vino ar vino",
ma mò che tutta l'acqua va a un mulino
se stampeno un fregaccio de panzane.

Tra er gioco de l'ipotesi più strane,
appena che se scopre un artarino,
er casino diventa più casino,
e nun c'è più chi scrive "Pane ar pane".

Perizie, prove, inchieste, documenti,
comunicati, identichitte, indaggini,
confronti e indizzi in tutti li momenti.

Er commissario nun pronuncia verbo
e doppo mesi e anni de lungaggini,
ancora stamo ar "massimo riserbo".


Aldo Fabrizi

 
 
 

Er marito che rinvia

Post n°688 pubblicato il 03 Febbraio 2014 da livieroamispera
 

Er marito che rinvia

Corsi in questura e dissi ar commissario:
- Venite co' du' aggenti, fate presto,
perché la mia signora... questo e questo...
in una casa a via der Seminario.

- Procederemo subbito a l'aresto!
- rispose risoluto er funzionario -
Lui, però, chi sarebbe? È necessario
che prima sappia er nome e tutt'er resto. -

Ma ammalappena je lo nominai
fece un zompo e strillò: - Caro signore,
nun sa che quello è un pezzo grosso assai?

Sarebbe er capitano... - A 'sta notizzia,
dissi: - Va bene: sarverò l'onore
in un'antra occasione più propizzia.

Trilussa

 
 
 

La galeria delle donne celebri

Foto di livieroamispera

"La galeria delle donne celebri del signor cavalier Francesco Pona", di Francesco Pona, in Roma per il Mascardi, 1641, Con licenza dei Superiori, Ad istanza di Filippo de' Rossi, è un volumetto di 260 pagine; la versione presente su Google Libri è tratta dalla Biblioteca de Catalunya e contiene un originale ex-libris della biblioteca stessa, oltre allo stemma di Filippo de' Rossi in calce alla pagina del titolo, con dedica "All'Ill.ma Signora e Padrona Colendissima La Signora Giovanna Mari".

Dopo una introduzione di Filippo de' Rossi al lettore, datata "Bologna 1641", ha inizio il testo vero e proprio che, in tre "partimenti" di quattro "pitture" ciascuno, tratteggia le biografie di 12 figure femminili.

Il partimento primo si occupa delle quattro donne lascive e, precisamente, Leda (pag. 1), Elena Greca (pag. 24), Derceto (pag. 51) e Semiramide (pag. 64).

Il partimento secondo, che inizia a pag. 81, tratta invece di quattro donne virtuose, definite "Le quattro Caste": Lucretia Romana (alla quale vengono dedicate quasi 40 pagine), Penelope (pag. 120), Artemisia (pag. 135) ed Ipsicratea (pag. 1530).

A pag. 177 ha inizio, infine, la Galeria delle quattro sante, che sono La Maddalena, S. Barbara (pag. 206), S. Monica (pag. 222) e S. Elisabetta Regina d'Ungheria (pag. 246-260).

L'intento prevalentemente moraleggiante del volumetto appare evidente sin dalla stessa struttura. L'opera non ha gran valore letterario, né storico, ma la sua lettura è comunque interessante.


Del medesimo volumetto esiste una precedente edizione del 1635, per il Corbelletti, dedicata "All'Ill.mo e Rev. mo Monsig. Farnese", che, nella parte introduttiva, contiene due sonetti dedicati ai "Signori Farnesi". L' ex-libris e lo stemma della pagina del titolo sono originali, ma esteticamente poco rilevanti.

Una edizione postuma del 1663 non reca dediche di alcun genere.

Su Francesco Pona (1595-1655) esiste una interessante pagina con notizie bibliografiche ed altra sulla Treccani online. Wikipedia se ne occupa nella versione inglese.

 
 
 

Li vecchi

Post n°686 pubblicato il 01 Febbraio 2014 da livieroamispera
 

Li vecchi

Certi Capretti dissero a un Caprone:
- Che belle corna! Nun se so' mai viste!
Perchè te so' cresciute a tortijone?
- Questo è un affare che saprete poi...
- disse er Caprone - Chè, se Iddio v'assiste,
diventerete becchi pure voi.

Trilussa

 

 
 
 

Er Companatico der Paradiso

Er Companatico der Paradiso

Dio doppo avé creato in pochi giorni
Quello che c'è de bello e c'é de brutto,
In paradiso o in de li su' contorni
Creò un rampino e ciattaccò un presciutto.

E disse: "Quella femmina che in tutto
Er tempo che campò nun messe corni,
N'abbi una fetta, acciò non magni asciutto
Er pandecèlo de li nostri forni".

Morze Eva, morze Lia, morze Ribbecca,
Fino inzomma a ttu' moje a man'a mano,
Morzeno tutte, e ppijele a l'inzecca.

E ttutte quante cor cortello in mano
Quando furno a ttajà feceno cecca:
Sò sseimil'anni, e quer presciutto è sano.

Giuseppe Gioacchino Belli
Roma, 26 gennaio 1832

 
 
 

Cammera ammobijata

Post n°684 pubblicato il 31 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

Cammera ammobijata

Quanno ne li momenti d'allegria
ripenso a quarche buggera passata,
me ne rivado co' la fantasia
in quela cammeretta ammobbijata
dove quann'ero giovane aspettai
la bella donna che nun viddi mai.

La sora Pia me disse: — Signorino,
se volesse passà verso le sei
a Via dell'Orso, dieci, mezzanino,
je manno un tipo come piace a lei:
un bocconcino propio da poeta... —
E se baciò la punta de le deta.

Perché 'sta sora Pia, che da l'aspetto
pareva una degnissima signora,
s'affittava la cammera da letto,
tutto compreso, a dieci lire l'ora,
e spesso combinava l'abbordaggio
co' quarche scampoletto de passaggio.

— Io — disse — n'ho vedute de regazze:
ma co' quell'occhi, mai! So' color celo:
che, quanno li tiè bassi, le pennazze
je fanno un'ombra blu, che pare un velo.
Eppoi che bocca! Fra le tante cose
ce se diverte a mozzicà le rose.

Ecco la chiave. Vada pure franco;
troverà scritto su la porta mia:
«Pia Sbudinfioni, cucitrice in bianco».
Entri e l'aspetti; eppoi, quanno va via,
me rimette la chiave ner cantone
dedietro ar busto de Napoleone. —

Nun ve dirò le smanie de quer giorno!
Appena entrato ne la cammeretta
smicciai le cose che ciavevo intorno:
el letto, er commodino, la toletta
capii che m'aspettaveno, ma senza
damme neppuro un po' de confidenza.

Rivedo in un ritratto scolorito
la sora Pia, coll'abbito da sposa,
arrampicata ar braccio der marito
che, propio sur più bello de la posa,
aveva fatto un segno de protesta
perché la bomba nun je stava in testa.

Napoleone, ne l'atteggiamento
de chi vede er destino da lontano,
fissava rassegnato un paravento
che invece riparava un lavamano,
e faceva una smorfia co' la bocca
quasi volesse di': sotto a chi tocca!

Co' la speranza de trovà un sorriso
me guardai ne lo specchio, ma er cristallo,
spaccato in mezzo, me sformava er viso:
me vedevo li denti de cavallo,
er naso sfranto e l'occhi stralunati
da nun conosce più li connotati.

— Va' via, ch'è mejo... — me diceva er core
che in certi casi nun se sbaja mai —
Se a diciott'anni paghi già l'amore,
quanno n'avrai cinquanta, che farai?
T'illudi forse che la gioja nasca
così, a la ceca, come casca casca?

L'amore, quello vero, se conquista.
Tu, invece, te prepari a da' li baci
su la bocca, che ancora nun hai vista,
d'una donna che forse nun je piaci,
ma te farà la stessa pantomima
ch'ha fatto a quello che c'è stato prima. —

Guardai che or'era: ce mancava poco.
Un po' de sole entrava ne lo specchio
come una freccia e lo mannava a foco.
Pensai: — Ce tornerò quanno so' vecchio... —
E rimisi la chiave ner cantone
dedietro ar busto de Napoleone.

Trilussa

 
 
 

La Bocca della Verità

Post n°683 pubblicato il 31 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

La Bocca della Verità

In d'una chiesa sopra a 'na piazzetta
Un po' più ssù de Piazza Montanara
Pe la strada che pporta a la Salara,
C'è in nell'entrà una cosa benedetta.

Pe tutta Roma quant'è larga e stretta
Nun poterai trovà cosa ppiù rara.
E' una faccia de pietra che tt'impara
Chi ha detta la bucìa chi nu l'ha detta.

S'io mo a sta faccia, c'ha la bocca uperta,
Je ce metto una mano, e nu la striggne,
La verità da me tiella pe certa.

Ma ssi ficca la mano uno in bucìa,
E' sicuro che a ttìrà né a spiggne
Quella mano che li nun vié ppiù via.

Giuseppe Gioacchino Belli

 
 
 

Li mercoledì de la Marchesa

Post n°682 pubblicato il 30 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

Li mercoledì de la Marchesa

Lei resta a casa una giornata sana
pe' riceve l'amiche conoscente:
un sacco de signore appartenente
a la più mejo società romana.

Dice ch'è un'abbitudine mondana
che le signore cianno espressamente
pe' potè parlà male de la gente
a un giorno fisso de la settimana.

E io che servo er tè ne sento tante!
Se quarchiduna tarda un momentino
è brutta, è chiacchierata, cià l'amante...

Robba da chiodi! E invece, appena arriva...
Eh, 'sto gran mondo quanto è piccinino!
'Sta bona società quant'è cattiva!

Trilussa

 
 
 

Rossaccio

Post n°681 pubblicato il 30 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

Rossaccio (V. Hugo)

 

I

Come, Rossaccio nun sapeva gnente?
Nun sapeva che Nanna l'ingannava
tutte le sante sere co' un tenente
che la portava a cena, la portava?!

Poro fijaccio! E lui che se pensava
che quella lì l'amasse veramente!
E quanno, mezzo matto, la baciava
credeva de baciasse 'n'innocente!

E coll'amichi avevi da sentillo
quanno parlava der su' matrimogno!
D'artronne bisognava compatillo:

Nanna era talecquale a 'na madonna
de quelle che se pònno vede' in sogno;
te dico ch'era 'na gran bella donna!


II

Rossaccio a poco a poco se n'accorse
che Nanna era distratta ner discore,
che nun rideva più così de core
come faceva nelle sere scorse.

Ce s'ammattiva, e un giorno che je vorse
dimannà: Ma perché stai l'ore e l'ore
senza parlà? Nun me voi bene, amore?
Lei je rispose fredda fredda: Forse.

Bastò: lui fece 'n'urlo, 'n'urlo tale
che fece arivortà 'n sacco de gente
credenno che je fusse preso un male,

e scappò via scappò: stette tre giorni,
poi riannette da Nanna come gnente,
e lei je fece: Mbè, perché ritorni?


III

«Perché ritorni? Te l'ho detto in faccia
che so' stufa de te; nun hai capito
che a te nun te ce vojo pe' marito?
nun ho voja de falla 'sta frescaccia?!»

Rossaccio nun parlò, nun movè un dito,
nun guardò manco più quella donnaccia,
se sentì spaccà er core, oprì le braccia
e cascò su' 'na sedia stramortito...

Poi se n'annette... Noi 'nder rivedello
lo trovassimo gobbo e un po' invecchiato,
e da quer giorno lui, non fu più quello.

Na matina ce disse: Lo sapete?
Ieri Nanna ha sposato, sì, ha sposato,
bevemo alla salute, amichi ho sete!


IV

Sai che davanti ar porto piccoletto
ce sta 'no scojo, che mò viè de fora
dell'acqua, mò va sotto l'ora e l'ora
e nun ne vedi più manco un pezzetto.

'Mbè Rossaccio che fa? Doppo un pochetto
ce saluta, e nun va, per dinanora,
a vede Nanna che da gran signora
partiva cor marito a fà un viaggetto.

S'imbarcarono su 'n ber bastimento?!
e insinenta giù dar posto se vedeva
s'in che modo lo sposo era contento,

e er visetto de Nanna che rideva.
Giù, Rossaccio tremava; in quer momento
essennoce marea l'acqua cresceva...


V

Rossaccio se buttò nell'acqua e annette
su lo scojo ch'aveva da sparì;
ce montò sopra e ce restò così
fino a che er bastimento se vedette.

E puro quanno l'urtime velette
nun se veddero più, arimase lì
coll'occhi fissi insino che sentì
l'acqua che je bagnava le carzette.

Ma nun se vorse move, manco fosse
diventato 'na statua, cor viso
zuppo de pianto, coll'occhiaie rosse...

L'acqua intanto vieniva sempre su...
le 'rivò ar collo... lui fece un soriso...
Doppo un minuto nun se vidde più!

Sergio Corazzini
Da Poesie sparse
 
 
 

La lucciola

Post n°680 pubblicato il 29 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

La lucciola

Una povera Lucciola, una notte,
pijò de petto a un Rospo in riva ar fiume
e cascò giù coll'ale mezze rotte.
Ar Rospo je ce presero le fótte.
Dice: — Ma come? giri con un lume
eppoi nemmanco sai
dove diavolo vai? —

La Lucciola rispose: — Scusa tanto,
ma la luce ch'io porto nu' la vedo
perché ce l'ho de dietro: e, in questo, credo
che c'è stato uno sbajo ne l'impianto.
Io dove passo illumino: però
se rischiaro la strada ch'ho già fatta
nun distinguo la strada che farò.

E nun te dico quanti inconvenienti
che me procura quela luce interna:
ogni vorta che accènno la lanterna
li Pipistrelli arroteno li denti...

— Capisco, — disse er Rospo — rappresenti
la Civirtà moderna
che per illuminà chi sta a l'oscuro
ogni tantino dà la testa ar muro...

Trilussa

 
 
 

Stornelli di Sergio Corazzini

Post n°679 pubblicato il 29 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

Stornelli

I

A te passione!
Quanno le stelle pareno ner celo
l'occhi lucenti de chi dico io,
ne le notti serene
che la luna soride e nun cià un velo,
sento sempre cantà. Canzone piene
de dorcezze che Dio
sta a sentì come me e le benedice!
e la canzone dice:
o stelle, stelle,
che a la terra mannate frezze gialle
fate luce a la bella fra le belle!...

II

Rosette belle
rose de maggio bianche rosse e gialle
che cor profumo incantate le stelle...
Come la nonna
a li bambini fa la ninna-nanna
baciannoje la testa o nera o bionna,
così 'sta sera
tra er profumo de voi che m'innamora
ve vojo ariccontà 'na storia vera.
C'era 'na vorta
na rosetta, ma come fusse carta,
s'accostò troppo ar foco, e lì c'è morta!
Tutto l'odore
ch'annisconneva tra le foje rare
se l'è perso morenno, pòro fiore!
Però un minuto
prima d'incennerisse m'ha mannato
un bacio invece de chiedemme aiuto...

Sergio Corazzini

 
 
 

Spaghettini alla scapola

Post n°678 pubblicato il 28 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

Spaghettini alla scapola

Tu moje, doppo er solito trasloco,
se gode co' li pupi sole e bagni,
e tu, rimasto solo, che te magni,
si nun sei bono manco a accenne er foco?

Un pasto in una bettola, a dì poco,
te costa un occhio appena che scastagni;
si te cucini invece ce guadagni
e te diverti come fusse un gioco.

Mo te consijo 'na cosetta cicia
ma bona, pepe e cacio solamente,
che cor guanciale poi se chiama Gricia.

E m'hai da crede, dentro a quattro mura
magnà in mutanne...senza un fiato...gnente...
se gode più de' la villeggiatura.

Aldo Fabrizi

 
 
 

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