biglie di vetro

Post N° 29


Inizia un nuovo capitolo di questo diario, abbinera’ alle cartoline finora descritte ritagli di immagini e sensazioni astratte, chi le incontrerà non cerchi di capire il percorso della mia mente, ne viva le emozioni se vuole o si faccia una grossa risata. “C’erano solo auto scure dagli interni chiari all’aeroporto di Neukopft , inquietanti e lussuose ammiraglie che stridevano nel parcheggio deserto di un aereoporto sconosciuto della baviera.Il freddo pungente si avvertiva per connotati fisici, aleggiava greve, sfiorava i visi e strideva rispetto al luccichio della carrozzeria tirata a lucido con la polvere dei Nibelunghi. Si allonatano’ silenziosa e tirai un respiro di sollievo, il momento si stava facendo greve e solo la fuga poteva aiutarmi nel cancellare la scena che iniziava ad avvolgermi e mi avrebbe sicuramente assorbito nel suo muto e rassegnato grigiore. Ora nel silenzio ovattato del cambio automatico scorreva dietro i diaframmi di vetro, una campagna provata dal rigore dell’inverno ma a tratti verdissima per via dell’erba medica, tenace spirito di rivincita e conquistatrice di ogni singola goccia di rugiada. Strade poco trafficate permettevano di osservare le piccole case bianche agli incorci: strano costruire le case agli incroci pensavo, forse per essere meno soli, per poter avere la fortuna di brevi scatti su visi sconosciuti e quindi convincersi che il mondo non avesse avuto termine. Calore rubato tra pellicole lontane. Strano la mancanza di cancellate a difendere il giardino, continuazione muta di una campagna sconfinata, strano l’ordine che l’insieme rimandava: casa, leganaia, stendi panni, costruzioni di legno bianche probabilmente rimesse per attrezzi agricoli, in proporzione alla casa. Anche il camino proporzionato sbuffava un fumo inconfondibile di legno e torba.Un grumo lontano ai piedi della strada, innanzi presagiva il villaggio, casette ridossate all’unica via ci correvano incontro con una geometria che si animava ma che rispondeva a magiche linee proporzionate, sì che il tetto spiovente della chiesetta e la guglia sproporzionata del campanile determinava la cuspide di questa strana giostra di umanità.Konnnen Sie hier halten bitte? – si fermi per favore.Ich mochte eine tasse kaffe trinken – ho bisogno di un caffè.Come un docile gattone l’auto accosto’; la solita scritta Hausbrand, che qui però sembrava essere il nome di un anziano oste mi richiamo’ l’attenzione.Investito dalla gelida aria del vento continentale, mi avvolsi nel pastrano e incassando le spalle raggiunsi il gradino di accesso ove dietro a vetri immacolati, si notava il  calore di una gelosa ed immota serenità. Anche il caffe’ rispondeva ai desideri: scura brodaglia separata a  metà tazza, bollente ed insapore all’inizio greve e oleosa alla fine per lenire le papille rese sensibili dal liquido infernale. Non doveva essere il sapore ada ppagarmi l’anima, bensì l’insieme di immagini e  sensazioni epidermiche che malgrado gli strati di griffati abiti, si insinuavano a nutrirmi i follicoli.Mi sentivo al centro di un luogo dimenticato dallo scorrere del tempo, il perno su cui ruota la giostra della frenetica vita raccontata per immagini veloci e grezze: mi sentivo sul tetto del mondo, o forse in una sua depressa ansa dimenticata.Allora uscii, ripresi posto sulla nutria della steppa e mi feci riaccompagnare all’aereoporto mentre un pallido sole tentava di sporcare le bianche facciate dei silenziosi gendarmi che benigni sorridevano alla mia ritrovata consapevolezza...”